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Channel: Architettura Ecosostenibile: bioarchitettura, design e sostenibilità
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Architettura dei rifugi aborigeni: tecniche costruttive e materiali a confronto

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Il testo Gunyah, Goondie & Wurleyè il risultato degli studi più dettagliati che siano mai stati condotti sull’architettura aborigena. La ricerca dell’antropologo australiano Paul Memmott rivela che gli Aborigeni potrebbero essere considerati i primi architetti del mondo perché autori di alloggi ingegnosi di cui purtroppo oggi non esiste più alcuna traccia.

ABITARE NOMADE: L'EVOLUZIONE DELLA TENDA TRADIZIONALE MONGOLA

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La loro architettura è il risultato di un lento percorso evolutivo nel quale si passa da una situazione iniziale di nomadismo (fase 1), attraverso soluzioni abitative transitorie in alloggi temporanei (fase 2), fino ad arrivare alle case di città tradizionalmente intese (fase 3). La loro dimora temporanea tipica consiste in una piccola struttura portante in metallo, ad ambiente unico, priva di servizi, in terra battuta e possibilmente provvista di porticato. L’evoluzione architettonica che porta alla fase 3 prevede l’aggiunta di ulteriori ambienti che si aggiungono a quello unico di partenza, l’impiego di materiali adatti alla costituzione di un piano pavimentato, il rivestimento esterno delle strutture portanti e un limitato numero di servizi. Tuttavia, Memmott documenta che molte delle comunità dell’Australia centrale non attraversano questa evoluzione rimanendo stabili alla fase 2, se non addirittura alla fase 1. Il pensiero generale che sottende questa convinzione diffusa parte dall’assunto che gli Aborigeni siano popolazioni poco intelligenti ed incapaci di migliorare le loro condizioni di vita sviluppando forme abitative tradizionali: ma secondo Memmott si tratta di una generalizzazione suscettibile di essere messa in discussione, in quanto non tiene conto delle differenziazioni insite nei bisogni delle comunità e nei processi di trasformazione culturale.

Secondo lo studioso, gli Aborigeni non erano dunque solo primitivi abitanti di capanne improvvisate per difendersi dal clima e dalle piogge, bensì popolazioni che si distinguevano tra loro per l’autonomia del linguaggio dell’edilizia tradizionale e delle tecniche costruttive, per l’uso di un’incredibile varietà di materiali destinati a costruzioni con destinazioni diverse a seconda delle stagioni. Anche le dimensioni e la forma dei loro rifugi cambiavano in base alle condizioni climatiche da fronteggiare e al numero dei componenti delle famiglie da accogliere.

Capanna a cupola

Tipica delle foreste del Queensland tropicale e del Nuovo Galles del Sud settentrionale, la struttura della capanna a cupola consiste in giunchi coperti di foglie di grandi dimensioni. La capanna è destinata ad ospitare le famiglie per lunghi periodi durante la stagione umida.

caption: © National Library of Australia

Rifugio su palafitte

Costruito su pali alti circa 180 cm, il rifugio su palafitte consta di un ambiente unico costruito su piattaforma in legno e coperto da un tetto a due spioventi rivestito di cortecce di eucalipto. Destinato ad ospitare le famiglie nella stagione delle piogge, si tratta di un riparo a lunga permanenza. Un piccolo focolare situato nello spazio sottostante il rifugio serve a tenere lontane le zanzare.

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Rifugio Humpy

Il rifugio Humpy è una struttura di bastoni avvolta da morbidi strati di malaleuca, deve la sua esistenza a questo particolare albero della famiglia delle Mirtacee, le cui foglie sono impiegate per molteplici usi. La morbidezza e la flessibilità della malaleuca servono per farne stuoie su cui dormire e per foderare le culle. Inoltre le sue proprietà benefiche per l’organismo ne rendono possibile l’utilizzo anche come medicinale. 

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Nel continente Australiano è quindi possibile riscontrare una ricca varietà di materiali e tecnologie che hanno originato, secondo lo studioso australiano “tetti in paglia, erba intrecciata, intonaci in argilla e fango, pavimenti scavati, piattaforma di terra, tetti zavorrati con sabbia, legacci di giunco e fogliame intrecciato”.

Fonti | J. May, Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, 2010. 


Caratteristiche del legno da costruzione

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Dopo anni in cui abbiamo utilizzato prevalentemente calcestruzzo e muratura per l’edilizia, recentemente il legno è tornato in auge e ad oggi è ampiamente utilizzato in edilizia residenziale e non, grazie ad alcune caratteristiche che lo rendono appetibile.

In copertina: Wood House di ken1983, via Shutterstock.

COSTI E CARATTERISTICHE DEL LEGNO DA COSTRUZIONE

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LE CARATTERISTICHE MECCANICHE DEL LEGNO

Le caratteristiche meccaniche del legno variano entro limiti amplissimi, che dipendono dall'essenza, dal peso specifico secco, dal grado d'umidità, dalla direzione delle fibre rispetto alla sollecitazione e dai difetti del legno stesso (nodi, cipollature, ecc.).

Il legno è caratterizzato da una forte ortotropia, dovuta all’orientamento delle fibre dell’elemento: ovviamente le sollecitazioni hanno un effetto molto diverso sul materiale se sono applicate in direzione parallela, ortogonale, o inclinata rispetto alla fibratura stessa.

Le NTC2008 e gli Eurocodici riportano tabelle di resistenza per le diverse tipologie di legname.

La classificazione del legno, in base alla resistenza, può essere effettuata secondo due diversi criteri: “a vista” o “a macchina”. La classificazione del legname a vista richiede personale di elevata esperienza e si basa sul rilievo visivo di volume, anelli, eventuali difetti o nodi. La classificazione a macchina, invece, si basa su criteri oggettivi che prendono in considerazione le reali prestazioni meccaniche dell’elemento. La macchina classificatrice misura quindi, attraverso prove non distruttive statiche o dinamiche, parametri prestazionali, attribuendo automaticamente ad ogni pezzo una classe di resistenza normalizzata evidenziata tramite apposita marcatura.

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COMPORTAMENTO AL FUOCO DEL LEGNO

Il documento normativo nazionale su cui si fonda la valutazione della resistenza al fuoco degli elementi costruttivi è la Circolare del Ministero dell’Interno n. 91 del 14 settembre 1961 elaborata per fabbricati con struttura in acciaio e, nella pratica, estesa anche ad altre tipologie. Per ogni materiale è indispensabile fare chiarezza sulla differenza tra reazione e resistenza al fuoco.

La reazione al fuoco

La reazione al fuocoè il grado di partecipazione di un materiale combustibile al fuoco al quale è sottoposto. In relazione a ciò i materiali sono assegnati alle classi 0,1,2,3,4,5 con l'aumentare della loro partecipazione alla combustione; quelli di classe 0 sono non combustibili, nel caso specifico del legno il valore è di3 o 4.

La resistenza al fuoco

La resistenza al fuocoè l’attitudine di un elemento da costruzione a conservare per un tempo determinato le proprie caratteristiche di stabilità, tenuta e isolamento termico. Il legno ha una buona resistenza al fuoco. Sottoposto ad un incendio infatti l’elemento in legno brucia formando uno strato esterno carbonizzato che funge da protezione per la parte interna. La velocità con cui lo strato bruciato progredisce si attesta sui 0,7mm/minuto.

L'IGROSCOPICITÀ DEL LEGNO

Altra caratteristica fondamentale del legno è l’igroscopicità. Il legno può contenere acqua in quantità variabili a seconda delle condizioni atmosferiche in cui si trova, in quanto la assorbe e rilascia per raggiungere l’equilibrio igroscopico con l’ambiente.

Un elemento appena segato ha un contenuto d’acqua pari al 30%, mentre contenuti standard sono attorno al 12%. Escursioni accettabili di contenuto d’acqua variano dal 6%, per cui si definisce il legno “anidro”, al 22%, per cui si definisce il legno “verde” o saturo.

Il legno strutturale, prima di essere utilizzato, subisce un processo di stagionatura o essiccazione che lo porta all’umidità media di equilibrio con l’ambiente in cui saranno utilizzati i manufatti. Per esempio un’umidità del 12% rispetto alla massa secca del materiale corrisponde all’equilibrio con un ambiente a 20°C e 65% di umidità relativa.

In base quindi all’ambiente in cui verrà collocato il materiale dovrà subire un processo di stagionatura differente.

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LA VISCOSITÀ DEL LEGNO

Nell'ambito ingegneristico strutturale si definisce poi una ulteriore caratteristica detta viscosità. La viscosità è il fenomeno per cui una struttura, dopo le deformazioni istantanee elastiche, sviluppa deformazioni differite nel tempo, nonostante sia sottoposta a carico costante. Anche il legno, come il calcestruzzo, è soggetto a questa caratteristica che deve essere correttamente valutata in fase di progettazione.

Food & Wellness club. Il concorso per il centro benessere sostenibile

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Un progetto agroalimentare ambizioso, che richiamerà a Bologna 9 milioni di turisti all’anno, aprirà le porte nel 2016. F.I.CO.®, il più grande parco didattico al mondo dedicato all’agroalimentare, in 80 mila metri quadri ospiterà piscine, fattorie didattiche e ristoranti. Un simile progetto sta già innescando meccanismi di trasformazione urbana, finalizzati a dotare F.I.CO. del proprio naturale completamento di servizi per turisti e visitatori. In quest’ottica si inserisce Food & Wellness Club, concorso di progettazione per la realizzazione di un’area benessere destinata ai visitatori di FICO. 

UN’ECCELLENZA ARCHITETTONICA INTERNAZIONALE

Food & Wellness Club, l’oasi di benessere vicina a F.I.CO.®, vuole essere un’eccellenza architettonica internazionale. I progettisti non sono chiamati a disegnare un’area satellite del prestigioso parco, ma ad ideare un punto attrattivo di per sé, in grado di raccogliere i visitatori più esigenti in un’atmosfera accogliente dove le tecnologie avanzate garantiscono il benessere dell’utente in ogni ambiente. Elementi architettonici interattivi ed un design multisensoriale dovranno far sentire i visitatori in un luogo unico ed innovativo, fortemente connesso al tema del parco.

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Il centro benessere, oltre all’acqua zone, cuore dell’intervento, ospiterà anche un’area per la meditazione, una spa, una palestra, un parrucchiere ed una zona dedicata alla vendita di trattamenti di bellezza.

La visita a Food & Wellness Club sarà un’esperienza completamente centrata sulla cura ed esaltazione del corpo, in ambientazioni sempre diversificate e stupefacenti.

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GIURIA E PREMI

In giuria Italo Rota, designer degli spazi interni del Musée d’Orsay; Nicola Scaranaro, associato di Foster + Partners dal 2005; Edoardo Milesi, esperto in materia di tutela paesistico ambientale; Andrea Segrè, Professore Ordinario di Politica agraria internazionale e comparata nella Facoltà di Agraria dell'Università di Bologna e Donald Bates, recentemente designato quale giurato per il premio Holcim Awards for Sustainable Construction.

Al primo classificato sarà assegnato un premio di 8 mila euro; 4 mila al secondo, 2 mila euro al terzo. Al quarto e quinto classificato sarà riconosciuto un rimborso spese di 500 euro. Sono previste 8 menzioni di onore non onerose ma ottenenti visibilità e pubblicità.

La possibilità di registrarsi con la registrazione "standard" a 75 euro, termina il 20 Aprile. Dopo di allora la registrazione avrà un costo di 100 euro. 

Architettura Ecosostenibile è partner dell'evento. Gli autori dei progetti premiati avranno l'occasione di vedere pubblicata una video intervista sul sito sulla bioarchitettura più visitato in Italia.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC.

Tendenze per l'illuminazione della cucina: le lampade sospese

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L'illuminazione della cucina richiede grande attenzione. È un ambiente costituito da diverse aree (per la preparazione del cibo, il consumo delle pietanze, il relax), per ognuna delle quali è importante progettare al meglio l'illuminazione. Uno degli errori più comuni infatti, è quello di ridurre l'illuminazione della cucina ad una griglia di faretti, efficienti sì, ma che difficilmente rendono lo spazio ospitale come vorremmo. Illuminare adeguatamente il piano di lavoro è importante, ma questo non deve compromettere l'accoglienza della stanza. Tra le ultime tendenze in fatto di illuminazione della cucina ci sono le lampade sospese, perfette per personalizzare e rendere ospitale il cuore di ogni abitazione. 

In copertina: Blank cement wall with three lamps above di Pollapat Chirawong, via Shutterstock.

Esistono tantissime tipologie di lampade sospese, ne analizzeremo alcune: lampade con bulbo esposto, sospese naturali, lampade di riciclo, colorate, ad alta densità e veri e propri lampadari. 

Tutte vengono solitamente installate ad un'altezza di 70-85 cm dal piano di lavoro oppure 160-175 cm da terra. 

LAMPADE CON BULBO ESPOSTO 

Le lampade a bulbo esposto sono in grado di dare all'ambiente unaspetto industriale e ricercato allo stesso tempo. La lampada a sospensione Bulbo blu di Zuma Line disponibile su Duzzle - il nuovo shop ti arredamento per la casa e l'ufficio - è giovanile e giocosa, formata da quattro paralumi in vetro a forma di lampadina che scendono da una piastra metallica.

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LAMPADE SOSPESE NATURALI 

L'idea di avere delle piante in cucinaè perfetta soprattutto se le utilizziamo per cucinare. Spesso relegate in un angolo della cucina, installate al lampadario si aggiudicano un ruolo di prim'ordine. E le possibilità di utilizzo sono tantissime!

In questo lampadario vegetale in cui le piante crescono a testa in giù, ai vasi, di ceramica, vetro o plastica riciclata, è necessario aggiungere un disco per evitare la fuoriuscita del terreno e mantenere le radici. Ci sono poi esempi di lampade con la luce centrale ed un vaso tutt'intorno, in cui le piante creano una cascata vegetale. Nell’ultima immagine un'alternativa che reinterpreta le tecniche tradizionali messicane: un vaso di un'argilla porosa che contiene in semi di verdissimi germogli. 

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PENDENTI RICICLATI

Il riciclo è fantasia! Sono tanti gli oggetti tipicamente utilizzati in cucina che possono essere reinventati sotto forma di lampade sospese: scolapasta, grattugie, bottiglie, vecchi barattoli e perfino le linguette delle lattine delle bibite. 

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I COLORI DELLE LAMPADE SOSPESE

Le lampade sospese sono elementi di arredo e ci si può divertire giocando con i loro colori. In armonia con quelli dell'ambiente o in netto contrasto con essi, ecco qualche coloratissimo esempio.

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CLUSTER DI PENDENTI

Una regola non scritta ma generalmente diffusa è quella di installare un numero dispari di pendenti: 3 o 5 lampade sospese sono solitamente meglio di 2 o 4. Nel dubbio, optando per un "cluster" di lampade, difficilmente si sbaglia. Si può scegliere come distribuirle, se in maniera uniforme o tutte ad altezze diverse. In ogni caso, hanno sempre un forte impatto sul look dell'ambiente. Ecco qualche esempio. 

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I LAMPADARI

Se sei dell'idea che i lampadari siano adeguati solo in camera da letto, queste immagini ti faranno ricredere. Questa particolare categoria di lampada a sospensione può rivoluzionare l'aspetto di ogni cucina. Ce ne sono di classici, colorati e futuristici, e si adattano alle cucine tradizionali come a quelle più moderne. 

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Vacanze in un fienile: si recupera l'edificio e l’atmosfera di un tempo

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Un fienile del XIX secolo, situato in un piccolo villaggio nella regione di Ukermark, nella parte settentrionale della Germania, è stato trasformato in una casa per le vacanze dallo studio di architettura Thomas Kroeger.

IL RECUPERO DI UN VECCHIO FIENILE IRLANDESE

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Il recupero è un’operazione difficile, quasi un’intervento chirurgico. È necessario, da una parte, capacità di osservazione, attenzione e rispetto per le strutture, e dall’altra, destrezza nell’organizzazione degli spazi funzionali, in modo da rendere adatto l’ambiente alle esigenze di chi lo andrà ad abitare.

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Cuore del focolare domestico e dell’intervento è la maestosa sala principale, a doppia altezza, che permette di osservare le capriate in legno, vecchie di 140 anni, lasciate al grezzo, per mostrarne l’essenza. Sono stati inoltre aperti varchi ad arco che collegano la struttura al frutteto: lo spazio centrale può essere vissuto in continuità con l’esterno.

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caption: © TKA Thomas Kröger Architekt

L’intento dei progettisti berlinesi è chiaro: il vecchio fienile, trasformato in casa di vacanze non doveva perdere la propria identità di granaio. Dall’esterno, la struttura doveva mantenere l’aspetto riconoscibile per cui era stata costruita. L’idea del focolare domestico in cui riunirsi, soprattutto nei mesi invernali, è stato reso tramite l’installazione di un grande camino in mattoni rossi, in cui sono state ricavate due nicchie per potersi sedere e godere il calore e la luce emanati dal fuoco.

La struttura è suddivisa in tre sezioni: la grande sala, al cui lato è stata ricavata la zona riservata ai proprietari e, dietro il grande camino, la parte per gli ospiti. Durante i mesi freddi solo le parti private sono riscaldate, quasi ci si dovesse ricongiungere in uno spazio più raccolto.

caption: © TKA Thomas Kröger Architekt

Attraverso scalini di legno si raggiungono le aree superiori, che si affacciano sulla sala con grandi pareti vetrate. Le zone più intime, camere e bagni, sono create tramite divisori in legno.

È stata costruita una sorta di piattaforma per sopraelevare il pavimento delle parti private, in cui sono ospitati scaffali per scarpe, cappotti e anche una dispensa.

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La luce, nella parte dedicata ai proprietari, filtra tramite un lucernario a forma di piramide tronca, creata tramite listelli, che conferisce un’atmosfera intima e protetta e permette una buona visibilità nel vano scale e nel bagno al piano superiore. Una scala bianca porta al piano superiore, dove sono state ricavate tre camere da letto, i bagni e gli studi.

La scelta delle piastrelle dei pavimenti dei bagni, blu e bianche, rimanda a un motivo floreale, mentre uno specchio montato in un'apertura ad arco è stato posizionato per riflette la luce dal lucernario sopra alla zona giorno.

La zona ospiti, schermata dal grande camino, ha un ingresso autonomo e si sviluppa con soggiorno e zona pranzo a piano terra, mentre a piano superiore sono posizionate due camere da letto e un bagno; accanto alla canna fumaria c’è un corridoio che porta agli ambienti di residenza dei proprietari.

caption: © TKA Thomas Kröger Architekt

caption: © TKA Thomas Kröger Architekt

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©TKA Thomas Kröger Architekt 

Le chiese lignee di Chiloè Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco

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L’Isla de Chiloè, situata ad ovest del Cile, fa parte dell’arcipelago omonimo ed è la più grande: nel 2000 le sue chiese sono state dichiarate Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'Unesco. Si tratta di costruzioni risalenti al XVIII-XIX secolo e realizzate interamente in legno delle foreste locali. Esse rappresentano un’espressione architettonica il cui linguaggio è sintesi perfetta tra cultura religiosa europea e indigena.

CHIESE GREEN: LA CATTEDRALE FATTA DI ALBERI

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La conquista dell’isola da parte dei dominatori spagnoli iniziò fin dal XVI secolo, in cui fu fondata Castro, l’attuale capitale del paese. La costruzione delle tipiche chiese lignee si deve dapprima ai Gesuiti, incaricati dell’evangelizzazione e successivamente ai Francescani. Le prime chiese erano costruzioni rustiche con tetto di paglia, tuttavia con il potenziamento dell’opera di conversione alla cristianità da parte dei Gesuiti missionari provenienti ormai non solo dalla Spagna, ma anche dalla Baviera, dall'Ungheria e dalla Transilvania, a partire dal XVIII secolo la costruzione di chiese con tecniche più evolute e materiali più duraturi conobbe uno straordinario impulso. Da una parte i sacerdoti europei contribuivano alla trasmissione dei saperi legati all'attività edilizia propria dei contesti di provenienza, dall'altra i carpentieri locali apportavano migliorie secondo la propria esperienza costruttiva.

Dopo l'espulsione dei Gesuiti nel 1776, l'opera missionaria rimase nelle mani dei Francescani che continuarono la costruzione dei templi cristiani secondo i modelli iniziali. Si creò così una tradizione architettonica chiamata “Scuola chilota di architettura religiosa in legno”, una tradizione che si evolvette passando da uno stile iniziale riccamente ornato, a un altro, a metà del XIX secolo, più sobrio. A questa scuola appartengono 150 delle oltre 400 chiese sparse per l'arcipelago: di queste 150, solo una parte è resistita al trascorrere dei secoli. La necessità di conservarle ha spinto a dichiarare 16 di esse monumento nazionale e, nel 2000, patrimonio dell'umanità.

L’ARCHITETTURA LIGNEA

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L'edificio tipico ha pianta rettangolare e si erge su fondamenta di pietra. La facciata è costituita da un portico d’ingresso ad archi, in numero dispari, e da una o più torri campanarie a pianta ottagonale sormontate da una vistosa croce. L'interno, riccamente decorato, è composto da tre navate separate da file di colonne. Il tetto a due spioventi è in tegole lignee dette tejuelas, in tempi più recenti talvolta sostituite da lamiere di zinco. Il legname usato nella costruzione di queste chiese proviene dai boschi di Chiloé: travi, pilastri e rivestimenti interni sono in legno duro e resistente all'umidità, come il larice, il cipresso, il mañío o il nothofagus (cohiue), e assemblati con picchetti di legno.

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Le chiese di Chiloè rappresentano un esempio unico in America Latina di architettura religiosa lignea. Esse incarnano le ricchezze intangibilidell’Arcipelago di Chiloè e sono testimonianza non solo della fusione tra cultura architettonica europea e indigena, ma anche di una piena integrazione dell’architettura nel paesaggio e nell’ambiente, oltre che dei valori spirituali delle comunità locali. Per la giovane protagonista del romanzo della cilena Allende “I quaderni di Maya, la preziosa ricetta per la guarigione spirituale e morale da un passato turbolento sta nel vivere lento immerso nel fascino degli scenari incontaminati di quest’isola remota, nell’ancestrale carica di spiritualità che vi si respira, e perché no, nel lasciarsi coinvolgere dalla seduzione di architetture e paesaggi senza tempo, aggiungiamo noi.

Fonti | J. May, Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, 2010. 

Vertical farm: i metodi di coltivazione. Aeroponico, acquaponico, idroponico

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Le Vertical Farm rappresentano una vera rivoluzione nell’agricoltura. Si tratta di componenti innovative per la coltivazione urbana, applicate su edifici esistenti o di nuova costruzione pensati per la produzione in verticale di cibo, grattacieli che fungono da serre o superfici inclinate che dovrebbero entrare a far parte dello skyline della città con molti benefici sia ambientali che economici.

URBAN SKYFARM: la fattoria idroponica in verticale

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I BENEFICI DEGLI ORTI VERTICALI

La percentuale di terreno fertile sulla terra va diminuendo, molti terreni producono meno e si stima una crescita vertiginosa della popolazione mondiale tale che nei prossimi decenni l’80% delle persone vivrà in città. Ovviamente queste statistiche fanno emergere alcune necessità e problematiche che si presenteranno, come l’aumento della deforestazione e il rischio di utilizzo di fertilizzanti chimici e sostanze nocive che vengono anche oggi utilizzate per una maggior produzione di frutta e verdura. La natura segue un suo ciclo e risponde a delle sue leggi, benché nell’istantaneo ci fornisca pomodori o mele apparentemente perfette grazie all’uso di insetticidi e fertilizzanti, in realtà è pura apparenza. L’uomo sta intossicando le proprie risorse di cibo causando danni notevoli alla natura e quindi a se stesso. Nelle vertical farm è possibile coltivare seguendo delle tecniche innovative, ciò permette di trarne un guadagno a livello ambientale, in quanto si tratta di tecniche che si basano su principi elementari della natura e riducono anche l'emissione di CO2 nell’atmosfera. Questo perché la produzione a Km0 riduce drasticamente quella catena di passaggi che prevede l’utilizzo di mezzi di trasporto (inquinanti). Produrre, comprare e consumare nello stesso raggio di azione è un vantaggio su tutti i fronti, anche dal punto di vista economico, come si può quindi facilmente comprendere.

Ma quali sono le tecniche utilizzate negli orti verticali? Vediamo di seguito alcuni esempi delle tre tipologie di sistemi.

LE TECNICHE DI COLTIVAZIONE NELLE VERTICAL FARM

Distinguiamo tre tecniche di coltivazione:

  • aeroponico
  • idroponico
  • acquaponico

IL SISTEMA DI COLTIVAZIONE AEROPONICO

caption: a sinistra immagine da aerofarms.com; a destra immagine da powerhousehydroponics.com

Questa tecnica prevede la coltivazione di piante senza l’utilizzo di terra, grazie ad un sistema di sostegno è possibile far crescere le piantagioni alimentandole direttamente sulle radici con acqua nebulizzata e sostanze nutritive minerali. I LED, a basso consumo energetico, provvedono a fornire la luce che di caso in caso è necessaria alle coltivazioni per la fotosintesi.

I vantaggi sono legati ad un minor spreco di acqua, in quanto nelle coltivazioni tradizionali il 95% va perso, in questo caso invece viene direttamente assorbito dalle radici della pianta. Inoltre la crescita stimata è pari al 30% maggiore e con tempi dimezzati rispetto alle coltivazioni a terra. Ma ancora più importante è che non vengono usate sostanze chimiche, dannose sia per l’ecosistema che per i lavoratori.

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Notevole è il lavoro portato avanti da AeroFarms a Newark (New Jersey), in cui sorgerà la fattoria verticale aeroponica più grande del mondo, con una produzione stimata di 900.000 kg di ortaggi prodotti in un anno. L’impianto verrà installato in una ex fabbrica in disuso, nella quale verranno installati impianti fotovoltaici per l’autoproduzione di energia.

IL SISTEMA DI COLTIVAZIONE IDROPONICO

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Anche in questo caso il sistema è basato all'assenza di terra, sostituita da inerti come possono essere la vermiculite, la perlite, l’argilla, ma anche la fibra di cocco o la lana di roccia. La vegetazione viene nutrita con vapore acqueo e sostanze minerali.

I vantaggi legati ad un risparmio dell’acqua stimato intorno al 70% rispetto ai metodi tradizionali, il che lo rende un sistema vantaggioso nei paesi con scarsa disponibilità di acqua. Anche in questo caso la crescita è due volte più veloce delle coltivazioni classiche, con notevoli benefici derivanti dalla non contaminazione del suolo e dell’aria con sostanze nocive, in quanto i fertilizzanti non vengono dispersi nel suolo.

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A Jackson Hole, negli Stati Uniti, è in corso la realizzazione del Vertical Harvest una coltivazione idroponica che occupa soli 400 mq e prevede circa 1700 mq di superficie coltivata. Non solo diventerà una fonte di produzione a Km zero ma prevede anche dei laboratori didattici e delle aree per lezioni sulla coltivazione sostenibile. Unendo così in un mix unico produzione, vendita e consumo, con il valore aggiunto dell’educazione e della didattica anche per persone disabili.

IL SISTEMA DI COLTIVAZIONE ACQUAPONICO

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Questo sistema prevede la combinazione di allevamento ittico e agricoltura, quindi acquacoltura (allevamento di pesci e crostacei) e coltivazione idroponica (coltivazione di vegetali senza utilizzo di terra).  In poche parole le acque di scarico dell’allevamento ittico, ricche di sostanze di scarto dei pesci e resti di cibo, vengono utilizzate per la coltivazione in quanto risultano essere ottimi fertilizzanti naturali. Le piante si nutrono di queste acque e nel contempo le purificano restituendo acqua pulita che può essere riutilizzata per l’allevamento, diminuendo così il numero di ricambi necessari per i pesci. In pratica un ciclo continuo dal quale si può trarre vantaggio sia per la coltivazione che per l’allevamento.

I vantaggi anche in questo caso sono legati al notevole risparmio di acqua rispetto a quella che si adopera nelle coltivazioni tradizionali, inoltre le acque essendo ricche di fertilizzanti naturali permetto una crescita del 30-50% più veloce rispetto alle colture a terra ed un vantaggio economico legato alla disposizione di fertilizzante autoprodotto e non nocivo per l’ambiente e la salute.

Ad Abu-Dhabi, negli Emirati Arabi, è stato inaugurato nel 2012 il più grande impianto acquaponico il quale vede la produzione di 300 kg di lattuga due volte a settimana e 10 tonnellate di pesce in un anno.

LE COLTIVAZIONI SOSTENIBILI ED IL FUTURO

Il futuro dell’agricoltura e della nutrizione sta diventando un tema centrale a livello internazionale. Questi sistemi sostenibili possono consentire di ridurre l’avvelenamento del suolo e dell’ecosistema che l’uomo ha portato avanti nel tempo, con notevoli benefici in ogni settore, a volte fare un passo verso il futuro vuol dire fare un passo indietro, tornando all’utilizzo di fertilizzanti naturali, perché basta osservare la natura per capirne i giusti funzionamenti.

L’edificio in legno più alto al mondo: HoHo a Vienna

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Lo skyline di Vienna verrà modificato a breve (l'inizio dei lavori è previsto per l’autunno) da un nuovo grattacielo che sarà il più alto nel suo genere. HoHo sarà il più alto edificio in legno mai costruito.

L’idea di un grattacielo costituito per il 75% da legno è degli architetti RLP Rudiger Lainer + Partner e deriva dalla volontà di ridurre le emissioni di CO2 legate alla realizzazione dello stesso. Il grattacielo infatti, rispetto ad una struttura equivalente in calcestruzzo, risparmierà circa 2.800 tonnellate di emissioni di CO2.

PRIMATI IN ALTEZZA: IL GRATTACIELO IN LEGNO DAL MONDO

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Una quantità pari al doppio di quella risparmiata per realizzare Forte Building di Melbourne, attuale detentore, con i suoi 32 metri di altezza, del titolo di grattacielo in legno più alto del mondo.

HoHo sarà costruito a Seestadt Aspern, zona a nord-est di Vienna, all’interno di un’enorme area di recente sviluppo urbano, ed ospiterà un albergo, degli appartamenti, un ristorante, un centro benessere ed uffici. Il progetto prevede due torri affiancate, la più alta delle quali misurerà 84 metri. Il prospetto sarà costituito essenzialmente da finestre di larghezza variabile ed altezza fissa, e caratterizzato da un solco a metà del lato corto, con lo scopo di enfatizzare lo slancio verticale dell’edificio. Anche all’interno i soffitti, le colonne e le pareti degli appartamenti saranno interamente in legno creando un'atmosfera naturale e rilassante.

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In merito alle prestazioni antincendio dell’edificio in legno Christian Wegner, il portavoce dei Vigili del Fuoco viennesi spiega: “Si devono effettuare analisi speciali per trovare la corretta combinazione di calcestruzzo e legno. Vogliamo anche realizzare un sistema antincendio sprinkler fail-safe (valvole automatiche antincendio). Mi aspetto che passeranno i test ma se vogliono sviluppare il grattacielo come dicono, sarà un progetto abbastanza complicato.”

HoHo è sostenuto dai rappresentanti dell’Övp, il Partito popolare austriaco che, pur ribadendo l’importanza di mantenere inalterato il fascino della città ex-asburgica, non dovrà né potrà esser mai profondamente stravolto con la proliferazione dei grattacieli, si dichiarano interessati e favorevoli alla sperimentazione di nuove e moderne soluzioni edilizie, soprattutto se improntate al minimo impatto ambientale.

Non ci resta che aspettare consapevoli della corretta preferenza nell’utilizzo di un materiale naturale, unico e polivalente come il legno.


Case mobili: uno degli esempi più antichi al mondo è alle Barbados

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La Chattel House rappresenta uno dei più longevi esempi di casa mobile nata oltreoceano nel XIX secolo. Tipica delle isole caraibiche, in particolare delle Barbados, essa fu costruita dagli schiavi britannici che, liberati nel 1838, continuarano a lavorare sull’isola nelle piantagioni di zucchero. La dinamicità del lavoro, che li costringeva a lavorare per diversi proprietari terrieri e a spostarsi periodicamente di appezzamento in appezzamento, costrinse i lavoratori africani a costruire per sé e per la famiglia case provvisorie e agilmente trasportabili.

TREE TRUNK HOUSE, LA CASA MOBILE E MIMETICA

caption: Stephen Mendes, 1997

Nascono così le Chattel House, da “chattel”, bene mobile, a sua volta derivante dal termine “cattle”, ovvero bestiame, un tempo infatti era il bestiame la sola proprietà di un uomo con una vita nomade. Costruite in assi di legno pretagliati provenienti dagli Stati Uniti, le case hanno dimensioni modulari che conferiscono al blocco una larghezza che è il doppio della profondità. La struttura è assemblata senza l’ausilio di chiodature ma con incastri a tutto legno, proprio per una maggiore facilità di smontaggio e rimontaggio. Le più antiche di esse sorgono su una base in pietra calcarea, risultando così semplicemente appoggiate al suolo, e presentano elevazione in struttura e rivestimento lignei, una copertura a doppia falda con manto in scandole lignee. La facciata è sempre simmetrica, con la porta d’ingresso centrale affiancata da una finestra e relativa persiana per ogni lato.

Le mutate esigenze di spazio hanno portato ad ampliamenti successivi dell’abitazione che ha assunto fisionomie sempre più evolute. Inizialmente, l’interno era solitamente composto di due soli ambienti, la casa era perciò chiamata "one-roof house" (casa ad un solo tetto). Successivamente, l’aggiunta sul retro di un secondo ambiente coperto dava vita ad una "one-roof house and shed" (casa ad un solo tetto e capanno). L’eventuale aggiunta di un ulteriore ambiente trasformava la casa in una "two-roof house and shed" (casa a due tetti e capanno). In alcuni casi, una "three-roof house" (casa a tre tetti) poteva crearsi con l’aggiunta di un’ulteriore struttura coperta sul retro, ad uso cucina.

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Nel corso dei secoli le Chattel House, avendo perso la loro originaria funzione di alloggio provvisorio, si sono evolute arricchendo il loro scarno linguaggio architettonico con porticati d’ingresso su colonne e balaustre a graticcio di legno intagliato, grondaie ornamentali e trafori attorno alle finestre, e sostituendo ai tradizionali colori beige e marrone degli intonaci tonalità più accese. Oggi esse sono rese più stabili da fondazioni permanenti che sostituiscono i semplici basamenti iniziali, e con un manto di copertura che sostituisce alle scandole lignee della tradizione ottocentesca la lamiera zincata per resistere alle avverse condizioni meteorologiche delle stagioni degli uragani. Proprio alla inadeguata resistenza di queste strutture temporanee alla furia dei venti e delle piogge stagionali, si deve il progressivo abbandono delle storiche Chattel House, ormai abitate solamente in limitati periodi dell’anno.

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Fonti | J. May, Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, 2010. 

Giardini sospesi. 5 idee originali per arredare con il verde

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Pratici e deliziosi i vasi sospesi con piante rigogliose e ricadenti! Abbelliti da corde colorate e intrecci macramè, in stile rustico o minimal-chic sono ideali per rallegrare abitazioni e balconi poco spaziosi. Diffusi negli anni ’70, sono ritornati in voga negli interni dai soffitti alti ma anche nei bagni, cucine e uffici asettici. Varietà di scelta anche per le piante da sospendere: bonsai, aromatiche e piante antinquinanti dal portamento ricadente o "a cespuglio". Così si potrà respirare la natura grazie alle rose rampicanti, cactus, bulbifere e tutte le piante che assorbono nutrimento dall’umidità dell’aria (per es. la Tillandsia). Come possiamo introdurre nuvole di verde anche negli ambienti più piccini? Di seguito 5 idee originali per "giardini sospesi", studiati per diverse specie e stili di arredamento.

UNA SCRIVANIA VERDE: ARREDARE CON LE CARTOLINE VEGETALI

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caption: Fedor van der Valk, "String gardens"

Piante zen sospese

Molti designer si sono sbizzarriti in lampadari-terrari, sacche per pareti e vasi a testa in giù per ottimizzare gli spazi senza rinunciare al verde. Nei lampadari green con paralume porta-piante, la luce e il calore aiutano anche la fotosintesi clorofilliana. Tra tutte le coltivazioni sospese, la più spettacolare e complicata è l’antica tecnicaKokedama, che consiste nell’alloggiamento delle piante in "perle di muschio". Le specie sono praticamente senza vaso, in vassoi o appese con fili invisibili. L’artista olandese Fedor van der Valk ha riportato alla moda il metodo giapponese con i cosiddetti "string gardens", eteree installazioni che portano mini oasi naturali all’interno delle abitazioni. Le sfere di terriccio sembrano volare o quasi sfiorare il pavimento, a seconda della dimensione e specie arborea. Il segreto è nel corretto bilanciamento delle parti; per i primi esperimenti è preferibile, quindi, composizioni con piccole piante, ad esempio felci e piante grasse. Inoltre, si deve utilizzare terriccio argilloso speciale (Ketotsuchi, Akadama e muschio vivo) e, come per qualsiasi pianta sospesa, è fondamentale una corretta esposizione e una regolare innaffiatura.

caption: Shane Powers

caption: Warp & Weft, Bohemi Pots

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Bocce di vetro e corde vivaci

Un singolo ramoscello mostrerà la sua delicatezza e, al contempo, sorprendente forza, all’interno di una boccia di vetro sostenuta da corde nautiche o da intrecci macramè. Giorno dopo giorno potrà essere osservato nella sua naturale evoluzione e crescita; per far posto, dopo poche settimane, ad un nuovo germoglio o ad un mini-terrario realizzato ad hoc.

caption: Logankilleninteriors, Residenza a Nashville

caption: A destra, Urban Wild Studio, Geometric Brass Plant Hanger (Cube) + Air Plant

Allegre e rigogliose

Le piante sospese e vasi di fiori possono donare un tocco di vivacità e freschezza, grazie agli economici vasi in plastica o in ceramica smaltata. Qualsiasi angolo di casa sarà completamente rallegrato da piante ancorate alle mensole, travi o telai delle finestre. In alternativa, si possono usare cestini di vimini o vasi geometrici dal gusto minimalista.

caption: Warp & Weft, Bohemi Pots

Doppio colore

Le corde colorate rallegrano e caratterizzano qualsiasi ambiente, ancor di più se si usa la stessa sfumatura per dipingere i contenitori interamente o in fasce oblique. Le verdi e plissettate felci spiccheranno sui colori pastello e sulle tinte forti dei loro vasi, in perfetto accordo con l'interior design.

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Piante in linea

Su pareti cieche, recinzioni e porticati è consigliabile sospendere piante in linea o su una griglia metallica. Le composizioni più riuscite sono realizzate con lo stesso tipo di vaso ma con diverse specie, in modo da evitare l'effetto disordinato. Si possono utilizzare anche canali di gronda, bambù e singoli contenitori riciclati e colorati, basta che siano facilmente raggiungibili per qualsiasi cura. L’orto appeso è perfetto a cielo aperto, ma anche in cucina agganciato al soffitto o alle pareti riporterà l’aria campestre nelle nostre abitazioni e sarà comodissimo per insaporire i piatti! 

La casa delle quattro stagioni

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A circa 100 km a nord di Madrid – Spagna – in una zona collinare su di un prato assolato e verdeggiante sorge un piccolo rifugio per osservare in silenzio il passaggio delle stagioni e ritrovare l’armonia con i ritmi della natura. Gli architetti Josemaria de Churticehaga e Cayetana de la Quadra-Salcedo, dopo dodici anni di riflessione, sono riusciti a realizzare un edificio che si inserisce in punta di piedi nel paesaggio agreste: la casa delle quattro stagioni.

SPAGNA: IL RIFUGIO IN PIETRA CHE GUARDA IL MARE

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IL PROGETTO DELLA CASA DELLE 4 STAGIONI

Il volume, rigorosamente in legno, è un semplice parallelepipedo orientato in modo da poter contemplare il sole nascente e il tramonto. La casa si sviluppa su due livelli: il piano seminterrato è occupato da un ampio locale versatile, da una stanza e da un bagno, mentre il livello superiore è articolato in diversi ambienti. Al centro è posizionata, in un unico spazio, la zona giorno con due ampie aperture verso il paesaggio - una a Est e l’altra a Ovest. Invece, ai due estremi della planimetria di questo livello sono collocate delle piccole camere da letto e un bagno. Inoltre, due terrazze amplificano verso i prati destinati al pascolo la superficie abitativa e creano un contatto diretto con l’esterno.

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Tutto è stato studiato per ottimizzare gli spazi e ridurre al massimo le altezze per diminuire l’impatto visivo della costruzione. Gli arredi sono stati appositamente disegnati per incastrarsi tra loro: armadi e scrivanie sono inseriti come in un Tetris senza rinunciare all’ergonomia. Il materiale utilizzato è sempre lo stesso: il legno naturale.

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I progettisti, dopo un’attenta analisi e osservazione delle variazioni cromatiche del paesaggio, prendendo in considerazione ogni dettaglio durante l’alternarsi delle stagioni, hanno scelto sia per gli interni sia per le superfici esterne una gamma di colori che varia dal giallo brillante al paglierino. Infatti, in primavera i prati si riempiono di piccoli fiorellini gialli e in estate i cereali, pronti per essere raccolti, biondeggiano al sole. In autunno il paesaggio si riveste di color ocra, mentre in inverno, quando tutto è assopito e avvolto dal silenzio, spiccano tra le brume i licheni giallastri sulle grigie cortecce dei frassini.

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Abitazioni tradizionali del popolo del Messico, diretto discendente dei Maya

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Chukal Na è il nome della dimora degli Tzotzil, il gruppo etnico più numeroso dello stato del Chiapas e che abita i piccoli villaggi che circondano la città di San Cristobal de las Casas, nel Messico meridionale. Diretti discendenti dei Maya, questi popoli fondano la loro economia su due attività principali: l’agricoltura e l’artigianato, svolto soprattutto dalle donne che fabbricano tessuti decorati con i tipici motivi maya destinati al mercato locale.

La dimora Chukal Na fa parte di un’ampia area recintata che racchiude al suo interno una stalla per gli animali domestici, un granaio e una sauna, oltre che alberi da frutto, vigne e campi di mais e zucchine, finalizzate alle coltivazioni necessarie al sostentamento della famiglia.

LE TECNICHE COSTRUTTIVE DEGLI ABORIGENI DELL'AUSTRALIA

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La casa dei popoli Tzotzil presenta struttura quadrangolare formata da pali angolari in quercia o cipresso, scanalati in cima per l’alloggiamento delle travi orizzontali del tetto, a cui sono legati mediante tralci di vite. La struttura è infine completata da un’ulteriore orditura di pali verticali più sottili e un incannicciata formata da assi orizzontali di legno o bambù finiti con un riempimento in fango.

La caratteristica della Chikal Na risiede nell'inconfondibile struttura piramidale del tetto, formato da travi e travetti in bambù, che ne costituiscono l’ossatura, poi avvolti da incannicciata rivestita con erba mediante tralci di vite. La struttura della copertura presenta un condotto di ventilazione per la fuoriuscita del fumo del focolare, che scandisce la vita domestica della famiglia.

caption: J. May, 2010

Posto al centro della stanza quadrangolare, un unico ambiente privo di tramezzi divisori, il focolare richiama il Sole, chiamato “Nostro Padre Calore”, simbolo della cultura tzotzil. La giornata lavorativa inizia e termina con rituali svolti attorno al fuoco: a destra mangiano uomini e ragazzi mentre a sinistra trovano posto donne e ragazze, secondo quella rigida arcaica segregazione sociale tipica delle popolazioni remote dell’America centrale.  

Fonti | J. May, Architettura senza architetti, guida alle costruzioni spontanee di tutto il mondo, Rizzoli, 2010. 

La casa degli specchi

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A Izabelin, piccola cittadina rurale della Polonia situata nei pressi di Varsavia, sperduta in un bosco, sorge una casa particolare. Un parallelepipedo bianco sembra fluttuare a tre metri di altezza tra le piante: non si tratta però di un semplice gioco di prestigio. Lo studio di progettazione REFORM Architekt ha, infatti, rivestito alcune superfici dell’abitazione con degli specchi in modo da sconcertare l’osservatore e per non perturbare eccessivamente la percezione della foresta.

ABITAZIONI MIMETICHE: QUANDO L'ARCHITETTURA SI FONDE CON IL PAESAGGIO

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IL PROGETTO DELLA CASA DEGLI SPECCHI

La casa è disposta su due livelli. La zona giorno con un ampio ingresso e un soggiorno con cucina a vista occupa il piano terra insieme ad una stanza per gli ospiti e ad un bagno. Al primo piano, al quale si accede attraverso una scala interna ad unica rampa, invece sono state collocate due camere da letto con i rispettivi bagni e uno studio. Un secondo salotto all’aperto è stato ricavato a livello del terreno in una profonda loggia che mette in comunicazione gli ambienti confinati direttamente con la foresta. 

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L’idea perseguita è stata quella di realizzare un progetto dalle linee contemporanee cercando allo stesso tempo di non alterare visivamente il contesto non urbanizzato e naturale in cui la casa è stata inserita. Non sono stati quindi presi in considerazione i tipici tetti a doppio spiovente oppure i riferimenti all’architettura vernacolare. Sono state però escogitate una serie di furbizie per rendere l’edificio parte integrante del luogo. 

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I prospetti del piano terra sono stati rivestiti per la maggior parte con un materiale riflettente, mentre per le restanti porzioni è stato scelto un legno di marrone scuro, che riproduce il colore del terreno circostante. Anche i pavimenti sono stati trattati nel medesimo modo per creare un tutt’uno con il sottobosco: non esiste soluzione di continuità tra interno ed esterno. Invece, il volume del primo piano è stato tinteggiato di colore bianco, anche se prevalgono i vuoti delle ampie finestre, anch’esse riflettenti, e delle logge sui pieni. Anche l’autorimessa è stata integrata nel volume del piano terra e si mimetizza nel sottobosco: il portellone di accesso al doppio posto auto è in legno ed è praticamente invisibile.

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Sughero a faccia a vista. Rivestirà il padiglione del Brasile per Expo 2015

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Il sughero è l'unico isolante impiegato anche come rivestimento per facciate architettoniche, sfruttando al 100% le proprie potenzialità estetiche. I visitatori di Expo 2015 lo potranno ammirare a rivestimento del padiglione del Brasile, di cui in esclusiva, vi mostriamo le prime foto.

EXPO 2015: IL PADIGLIONE ITALIANO

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Il primo utilizzo del sughero a faccia vista

Era l'anno 1998, quando si vide il primo edificio rivestito di sughero: era il padiglione del Portogallo all'Expo di Lisbona. La soluzione permetteva l’efficienza energetica della struttura senza trascurare l’espressione architettonica.

Per la prima volta, un isolante avrebbe mantenuto la propria identità, senza essere nascosto dietro uno strato di intonaco, dando vita ad una completa esperienza percettiva, fatta di cromie cangianti, coinvolgendo tatto e olfatto.

Caratteristiche tecniche del sughero in esterno

Come può il sughero essere utilizzato in esterno? Deve essere trattato? Queste domande trovano immediata risposta osservando quanto avviene in natura: il sughero, ovvero la corteccia della quercia, riveste il fusto di legno, proteggendo la pianta da intemperie, freddo, caldo e fuoco. Il sughero ha una struttura a cellula chiusa, le sue cellule sono insensibili all'acqua, ma traspiranti, resistenti al fuoco e sufficientemente elastiche da assorbire ogni tipo di shock termico.

Chiarite le caratteristiche intrinseche della materia prima, va però aggiunto che il solo sughero utilizzabile in esterno è quello tipo ICB, ovvero quello “bruno” o “tostato”, in quanto l'agglomerazione dei granuli è ottenuta esclusivamente tramite il processo termico di tostatura.

Infatti, solo attraverso le elevate temperature raggiunte durante la tostatura si ottiene un rilascio di suberina e sostanze cerose in quantità sufficiente ad agglomerare i granuli, senza dover aggiungere alcun tipo di collante.

L'assenza di collanti aggiunti garantisce l'uniformità di comportamento anchein caso di contatto con umidità ed acqua, caratteristica fondamentaleper garantire durabilità nell'impiego esterno.

I pannelli migliori per l’utilizzo a faccia vista sono più densi, e derivati da una più accurata selezione dei grani di corteccia; il tutto finalizzato ad avere una superficie più uniforme ed omogenea ed una maggior resistenza meccanica.

Detto questo, anche il pannello ICB standard può essere utilizzato in esterno senza alcun problema, come dimostrato dall'installazione realizzata ad Assisi, dallo studio n.o.v.a. civitas, risalente ad alcuni anni fa e ancora perfettamente efficiente.

caption: Installazione dellostudio n.o.v.a. civitas ad Assisi, foto Michele Milesi

Valore architettonico e realizzazioni

L'impiego del sughero ICB faccia a vista piace agli architetti di tutto il mondo perché è una soluzione naturale per personalizzare i volumi di un qualunque tipo di edificio. Rappresenta un'opportunità per caratterizzare un edificio, giocando su modularità, geometrie e spessori differenti, valorizzando la materia prima.

Tra i primi ad utilizzare questa soluzione è stato l'Arch. Alvaro Siza Vieira, che lo ha impiegato in diversi interventi, tra cui la prestigiosa cantina vinicola Quinta do Portal.

caption: Quinta do Portal

Gli architetti dello studio portoghese PMC Arquitectos lo hanno utilizzatoper rivestire la Cantina Logowines ad Evora. Sempre ad Evora è stato realizzato lo splendido e-cork hotel, una struttura ricettiva dove il sughero è protagonista in ogni dove.

caption: Logowines

caption: Ecork hotel Evora. Foto, Fernando Guerra

In Italia, la prima installazione importante risale al 2012 ed ha interessato la cantina vinicola Derbusco Cives ad Erbusco (Franciacorta | BS)

caption: Cantina Derbusco

Il sughero faccia a vista è una scelta sempre più interessante anche per edifici ad uso comunitario, formativo e sociale, per via dell'abbattimento dei costi di manutenzione. È il caso del Collegio Pedro Arrupe di Lisbona, un istituto scolastico omnicomprensivo, rivestito da 8 mila mq di pannelli di sughero.

caption: Collegio Pedro Arrupe, Lisbona.

Sul piano residenziale il sughero faccia a vista sta diventando una concreta realtà, anche per via dell'abbattimento di ogni futuro costo di manutenzione della facciata. A Montesilvano (PE), l'Arch Pierluigi Natalucci ha realizzato un cappotto termico in sughero faccia a vista su una moderna villa, realizzata con struttura in legno XLAM.

caption: Villa Montesilvano

In altri casi, le facciate a vista vengono alternate a parti di facciata in sughero ICB intonacata.

caption: Villa di Besano

Il sughero a faccia vista è una soluzione ideale anche per interventi di riqualificazione, come nel caso di questa villa degli anni 70, recentemente riqualificata.

caption: Villa Belas

Sughero faccia a vista all’Expo 2015

Dopo l'esperienza del 1998, il Portogallo rivestì il proprio padiglione di pannelli di sughero, anche ad Hannover, nel 2000, con un progetto dell'Arch.Alvaro Siza Vieira. E così fece anche nel 2010 all'Expo di Shangai.

caption: padiglione del Portogallo, Expo di Shangai 2010

Immancabile la presenza del sughero a vista anche all'Expo 2015, dove sarà protagonista al padiglione del Brasile.

Il progetto iniziale, abbozzato dagli studi brasiliani Arthur Casas e Atelier Marko Brajovic, è stato poi perfezionato dallo studio di architettura e ingegneria milanese MOSAE, che ha scelto il rivestimento esterno in sughero faccia a vista, anche per soddisfare le linee guida di EXPO sul riutilizzo dei materiali a fine evento.

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caption: Padiglione del Brasile, dettagli del pannello di sughero alternato ad acciaio Corten.

Serra bioclimatica: principi per la progettazione di un sistema solare passivo

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La serra bioclimatica è un sistema solare passivo, un sistema cioè, che migliora le condizioni di comfort interne all’abitazione senza l’ausilio di impianti. La serra solare si configura come un semplice ambiente racchiuso all’interno di vetrate ad alta efficienza energetica e confinante con l’edificio di cui ridurre i consumi.

PRINCIPI PER LA PROGETTAZIONE DI UNA SERRA BIOCLIMATICA

Non si tratta di un semplice box vetrato: perché una serra solare migliori le condizioni di comfort di un’abitazione è importante progettarla sapientemente, tenendo conto dei fenomeni di effetto serra, diffusione del calore e radiazione solare e della capacità dei materiali di accumulare calore.

I punti principali per la progettazione di una serra bioclimatica sono: l’orientamento, i materiali e le schermature.

  • L’orientamento ottimale per una serra solare varia in un arco compreso tra sud–est e sud–ovest. È importante che la serra sia così orientata per godere dell’irraggiamento solare per quanto più tempo possibile nell’arco dell’anno.
  • Il materiale di cui sono costituite principalmente le serre solari è il vetro. Le serre solari, a meno che regolamenti locali non impongano una percentuale del 100%, devono essere costituite per almeno il 70% di vetro. I vetri dovranno essere apribili per consentire la ventilazione naturale.
  • Schermature estive sono indispensabili per ridurre il guadagno termico diurno in estate.

Tutte le caratteristiche tecniche delle serre solari

LA LEGISLAZIONE IN MATERIA

Per quanto riguarda la legislazione in materia, in Italia si rimanda a Leggi Regionali e Regolamenti Edilizi ed Urbanistici locali. La realizzazione di serre solari è talvolta incentivata ed ogni caso agevolata dal fatto che le serre sono considerate volumi tecnici, pertanto vengono escluse dai computi urbanistici ai fini dell’accatastamento.

L’INFOGRAFICA DI BALTERA

L’infografica di Baltera sulle serre bioclimatiche fa il punto della situazione e risponde a qualche dubbio e curiosità a riguardo.

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Giardini terapeutici: il verde che guarisce

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Il benessere che offre il contatto con qualsiasi spazio verde è immediato. I giardini terapeutici nascono proprio perchè si usufruisca di questo benefico contatto. Si tratta di luoghi progettati in modo che gli individui si sentano a proprio agio e possano raggiungere una migliore condizione fisica, psicologica, sociale e spirituale.

L'American Horticultural Therapy Association  (AHTA) definisce i giardini terapeutici come le zone dominate dalle piante, destinate ad agevolare l'interazione con gli elementi di guarigione della natura. Questi luoghi riescono a rilassare, calmare e stimolano il sistema immunitario. 

GIARDINI E SPAZI VERDI, IL MANUALE PER PROGETTARE IN ITALIA

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Kevan Busa, un sopravvissuto di leucemia che ha ricevuto un trapianto di midollo osseo nel 2012, ha dichiarato che questi spazi verdi possono essere efficaci per quelli che attraversano la stessa operazione e devono avere tempi di recupero lunghi senza poter avere contatti con l'esterno. Il paziente sostiene che "la soluzione potrebbero essere giardini che si possono apprezzare da un luogo chiuso attraverso una vetro camera. Forse questa idea non suona molto attraente, ma è molto meglio di 100 giorni di muri di mattoni" .

Esistono molte varietà di giardini terapeutici divisibili in due macro-gruppi, quelli educativi e quelli riabilitativi. I giardini educativi sono focalizzati verso la riduzione dello stress e mirano a fornire sostegno emotivo, mentre quelli riabilitativi puntano allo sviluppo delle capacità fisiche, cognitive, sociali e psicologici attraverso l'interazione con le piante.

In relazione alle caratteristiche specifiche di questi spazi, la AHTA indica la programmazione delle attività, come ad esempio esercizi fisici di terapia e la terapia, l'orticoltura o altri progetti che incoraggiano l'interazione tra gli utenti. Allo stesso tempo, si cerca di creare siti accessibili con perimetri ben definiti, al fine di migliorare l'esperienza degli utenti. 

I giardini terapeutici devono generare un senso di sicurezza e comfort. Per questo, l'uso di erbicidi, fertilizzanti e pesticidi è evitato. È favorita la creazione di zone d'ombra, in cui sentirsi al riparo. 

L'ideale sarebbe che i progetti dei giardini terapeutici fossero universalmente condivisi, in modo che tutti, in qualsiasi parte del pianeta, si possano lasciar ispirare. 

caption: Jacqueline Fiske Healing Garden, Jupiter Medical Center, Jupiter (Florida)

caption: Ortoterapia presso Orto dei Semplici RAF Bellinzago, progetto arch. Botta

caption: Percorso storico-sensoriale, RAF Bellinzago

Secondo il Scientific American, molte strutture sanitarie come ospedali e cliniche ormai mettono in atto terapie utilizzando questo tipo di giardini. Ma anche le prigioni e le scuole stanno cominciando ad ampliare i loro programmi in modo da includere le attività in giardino. Lo scopo è quello di aumentare l'autostima e migliorare il comportamento sociale. I centri socio-rieducativi  e quelli religiosi sono i nuovi pionieri dell'inserimento di spazi verdi, con la premessa di tornare alle radici e spianare la strada per la guarigione spirituale attraverso una maggiore contatto con la natura. I giardini terapeutici possono essere utilizzati in case di cura, centri per i malati di cancro o ospizi.

caption: Giardino Alzheimer centro diurno Chiavenna

Il benessere legato alla corretta realizzazione di paesaggi e spazi verdi parte da chi li progetta ed è per questo che in Italia e all’estero sono in aumento i corsi di specializzazione in questa disciplina. Capire quali esigenze sono richieste dall’utenza, quali e quanto grandi siano gli spazi a disposizione e poi conoscere le essenze e le loro proprietà per poterle associare al meglio e comporre nelle più svariate forme.

Applicazioni del bambù nei giardini, nell’architettura e nelle costruzioni

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Alle nostre latitudini è stato introdotto relativamente da poco ma ormai è conosciuto ed apprezzato per le sue molteplici qualità: elastico, leggero ma resistente, dal portamento raffinato ed elegante, ecologicamente sostenibile e dall’impiego multifunzionale. Il Bambù (Bambuseae) nome generico di sempreverde arbustivo, comprendente un’ampia (oltre 1250 specie e 68 generi) famiglia appartenente alle Poaceae, viene scelto sempre più frequentemente per la progettazione di eterei giardini ed è utilizzato, oltre che nel paesaggio progettato contemporaneo, per un’infinità di usi: dalla cucina, poiché i germogli sono un alimento ricco di proteine e molti sali minerali, al design, per approdare al mondo delle costruzioni, passando anche per la medicina orientale.

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Culturalmente viene considerato nella tradizione religiosa delle Filippine un elemento legato alla creazione, mentre in Giappone è elemento sacro, secondo solo al pino. La medicina indiana ne fa uso tramite l’estrazione del Tabascir, concrezione silicea all’interno delle canne, che ha proprietà rinvigorenti e antiossidanti, così come la cosmetica lo utilizza estraendone la linfa dalle proprietà emollienti.

La sua versatilitàè data soprattutto dalle sue caratteristiche materiche ed organiche; Il suo elevato potere di assorbimento di anidride carbonica, la rapidità di propagazione per rizomi, la sua rusticità ne fanno un ottimo elemento vegetale copri suolo, potenzialmente utilizzabile anche in quelle situazioni di dissesto idrogeologico. Il suo impiego potrebbe infatti anche essere esteso in ambienti inquinati sia atmosfericamente che nel suolo, come versanti di discariche o aree da bonificare, essendo specie robusta, in grado di tollerare anche, per alcune varietà, temperature molto rigide (fino a -30°), così come molto resistente ad attacchi di insetti e funghi.

Applicazione del bambù nei giardini

Tornando alla sua presenza nei giardini si deve citare l’imponente Bambouseraie di Prafrance poco distante da Nimes nel sud della Francia, parco tematico esteso su 12 ettari in cui si può osservare varietà e dimensioni differenti di questa erbacea speciale. Forse però l’immagine più conosciuta per una foresta di bambùè quella spettacolare di Sagano a Kyoto, in cui un sentiero si avventura nel fitto delle imponenti canne.

Applicazione del bambù in architettura

Focalizzando invece l’attenzione sulle realizzazioni architettoniche in giro per il mondo, soprattutto asiatico, a Bali, Indonesia è stato progettato e realizzato dalla Green School, un interessante villaggio ecologico interamente costruito con il bambù: edifici e un ponte dimostrano la sua duttilità.

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Il Vietnam è un altro paese in cui poter apprezzare “esperimenti” di architettura con il bambù: due esempi da citare sono sicuramente il Bambu Wing e il Water and Wing Cafè, entrambi realizzati interamente con strutture di bambù e poggiati elegantemente sull’acqua. La cattedrale in bambù costruita in Colombia dall’architetto Simon Velez, realizzata il sole 5 settimane e con un budget di soli $30.000 dimostra infine come questo materiale potrebbe essere fondamentale per architetture di emergenza in paesi in cui si rendano necessari interventi rapidi ed economici.

Altri esempi di architettura in bambù

Applicazione del bambù nel settore delle costruzioni

È infatti nel campo delle costruzioni che dimostrata la sua maggiore resistenza, in trazione e compressione rispetto a quella del legno, maggiore trazione di quella dell’acciaio, maggiore in compressione di quella del calcestruzzo, utilizzato sia come struttura portante per edifici fino a due piani, che per le impalcature, come condotta per le acque, soprattutto per l’irrigazione di orti e risaie, o trasformato in truciolato ed in parquet per interni. Il Wood Plastic Composit, per citarne solo uno, materiale non ancora presente in Europa, assembla il 30% di plastica PE ad un 60% di bambù e relativi additivi, per un prodotto finale molto resistente ed utilizzabile soprattutto in esterni.

Articolo dell’Arch. Micol Terzaghi per Blossomzine 

n°3 Winter issue

Casa JP: la casa passiva per il programma di indipendenza energetica 2050

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Conservazione e gestione delle risorse, materiali ecologici ma anche scelte lungimiranti e attente all’intero ciclo di vita dell’edificio sono i capisaldi che hanno portato alla realizzazione di una casa passiva nella città austriaca di Dornbirn, nella suggestiva valle del Reno.

Il progetto di Casa JP, che porta la firma dello studio Hein Architects, è stato reso possibile grazie alla cooperazione e ad un dialogo costruttivo con i committenti che volevano sostituire una vecchia e fatiscente casa di famiglia con un’abitazione sostenibile e durevole nel tempo.

HUDSON PASSIVE PROJECT: LA PRIMA CASA PASSIVA DELLO STATO DI NY

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COLLOCAZIONE ED ESPOSIZIONE PER UN APPROCCIO INTEGRATO ALLA PROGETTAZIONE

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Le caratteristiche estrinseche del sito, ovvero una vista panoramica sul Lago Costanza e sulle Alpi, e quelle intrinseche, date dalla forte pendenza del terreno, hanno giocato un ruolo fondamentale nel progetto. Prima di procedere alla demolizione del vecchio fabbricato è stato infatti condotto un attento studio sia degli assi visuali che della luce naturale a quote differenti.

Il risultato è stato un edificio fortemente integrato con il terreno che si articola su tre livelli: il piano di accesso, con il garage e il patio coperto, assicura un adeguata protezione rispetto alla strada; il piano intermedio, con l’ampia zona giorno, è caratterizzato da generose vetrate sul fronte sud e da un cortile riparato; il piano più basso è stato concepito per rispondere all’esigenza di flessibilità dei proprietari ed essere quindi utilizzato in futuro come appartamento indipendente.

IL LEGNO COME PRODOTTO A KILOMETRO ZERO

Predominante è l’uso del legno, impiegato sia come materiale strutturale che di finitura.Tale scelta ha consentito tempi rapidi di realizzazione, impatto ambientale minimo e sfruttamento di risorse locali, come l’abete bianco che riveste sia internamente che esternamente l’edificio, evitando trasporti a lunga distanza.

IL PROGRAMMA “INDIPENDENZA ENERGETICA 2050”

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La casa risponde ai requisiti delle norme “Indipendenza energetica 2050” ovvero il programma con il quale lo stato del Vorarlberg ha fissato un obiettivo molto ambizioso: soddisfare, entro il 2050, l’intero fabbisogno energetico regionale tramite fonti rinnovabili.

Un impianto di ventilazione meccanica con recupero di calore, consente di ridurre al minimo le dispersioni garantendo una costante igiene dell’aria. Una pompa di calore geotermica con sonda a terra fornisce riscaldamento in maniera del tutto sostenibile mentre il sistema di raffrescamento combinato con l’uso di tende garantisce un adeguato comfort durante il periodo estivo.

Inquinamento indoor: quali elementi mettono in pericolo la nostra salute?

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È con l'informazione che si può fare il primo passo per rendere più salubri gli spazi in cui viviamo. È proprio negli ambienti confinati infatti, che si verificano le maggiori emissioniinquinanti attentando alla nostra salute. Per cercare di risanare questo “edificio malato” la bioarchitettura propone varie soluzioni in relazione ai tre tipi di inquinamento indoor:

  • Biologico
  • Fisico
  • Chimico

INQUINAMENTO INDOOR E SINDROME DA EDIFICIO MALATO 

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INQUINAMENTO BIOLOGICO

È causato da polvere, batteri, virus, muffe, funghi, pollini e soprattutto dalla presenza di persone ed animali.

Rimedi contro le muffe

Le muffe si formano in ambienti con elevata umidità e i rimedi sono molteplici: utilizzare superfici interne permeabili al vapore d'acqua; garantire una ventilazione periodica che riduca l'umidità relativa; permettere la circolazione dell'aria nelle zone colpite scostando mobili dalla parete e creando passaggi ventilati; utilizzare pitture antibatteriche naturali a ph basico (evitare invece vernici e tempere antimuffa convenzionali poiché contengono fungicidi e battericidi di sintesi molto dannosi per la salute); ottenere una stratigrafia dell'involucro che consenta la dispersione  del vapore d'acqua.

Rimedi per sconfiggere gli acari

Anche per gli acari il consiglio è quello di evitare superfici che mantengono a lungo l'umidità quali quelle imbottite e le moquettes.

Come combattere l’inquinamento biologico

In generale, quindi, l'inquinamento biologico si può combattere attraverso opportune accortezze, con particolare riguardo alla ventilazione, naturale e/o meccanica, ed al controllo dell'umidità relativa negli ambienti che dovrebbe mantenersi intorno al 50%. È importante, inoltre, evitare il sovraffollamento dei locali e scegliere superfici facilmente pulibili e che non raccolgono molta polvere.

INQUINAMENTO FISICO

Racchiude vari fattori che, accumulandosi in un pericoloso cocktail, mettono a repentaglio il nostro benessere psico-fisico.

Le fibre minerali

Una prima minaccia proviene dalle  fibre minerali, particolarmente utilizzate per l'isolamento termo-acustico e come rinforzo nei prodotti plastici e calcestruzzi. Esse hanno preso piede a partire dal bando dell'amianto poiché giudicate meno pericolose; tuttavia, in seguito a molteplici studi da parte della Agency for Research on Cancer (IARC), si pensa possano costituire un pericolo per la salute ed il loro utilizzo è subordinato a dei limiti normativi (direttiva europea 97/69/CE; Dir 2009/2/CE; DM 01/09/1998, nota R e Q della circolare n.4 del 15/03/2000 del Ministero della Sanità). Le lane minerali con funzione isolante possono essere sostituite da materiali naturali vegetali e animali come isolanti di canapa, lino, fibra di legno e lana di pecora.

Le nanoparticelle

Altro possibile inquinante è rappresentato dalla nanotecnologia, la quale, in poche parole, corrisponde ad un nuovo modo di controllare la materia e di realizzare dispositivi, il tutto su scala dimensionale inferiore al micrometro. Questo ramo della scienza applicata e della tecnologia farà parte del futuro, ma gli effetti sull'uomo delle nanoparticelle non sono ancora chiari e secondo alcuni studi rappresentano un rischio per la salute; hanno provocato, infatti, nelle cavie da laboratorio, lesioni e problemi simili a quelli che causa l'amianto. I nanomateriali, essendo di dimensioni ridottissime, vengono assorbiti dal corpo umano in modo maggiore rispetto a particelle di grandi dimensioni. La questione su come queste particelle agiscano all'interno del corpo è dibattuta e oggetto di studi ma si pensa che esse potrebbero provocare infiammazione e indebolimento delle difese del corpo contro altri agenti patogeni. Oltre che su questi aspetti, gli studi stanno indagando sulle possibili interazioni di queste particelle con i processi biologici all'interno del corpo. I nanomateriali sembrano essere tossici anche sotto altri aspetti: composizione chimica, forma, struttura superficiale, carica superficiale, aggregazione e solubilità, presenza o assenza di gruppi funzionali di altre sostanze chimiche (Andre Nel, Toxic Potential of Materials at the Nanolevel in “Science”;  Arnaud Magrez, Cellular Toxicity of Carbon- Based Nanomaterials in “Nano Letters”).

Gli ioni positivi

La qualità dell'aria, in termini fisici, è condizionata anche dagli ioni positivi che, se presenti in quantità eccessive, provocano malessere e alla lunga possono portare a vere e proprie malattie. Avete presente la sensazione di disagio presente prima dei temporali, o in presenza di venti caldi e asciutti, o comunque quando ci sono particolari situazioni meteorologiche? Questi fastidiosi ioni positivi possono provocare sensazioni molto simili! La loro presenza negli ambienti confinati è dovuta soprattutto a: radiatori, aria condizionata, schermo di televisione e computer, materiali plastici, apparecchi elettronici, abiti sintetici, fumo di sigaretta. Al contrario, quando l'aria abbonda di ioni negativi, si producono molteplici effetti positivi sugli esseri viventi, migliorandone lo stato di benessere generale, l'umore, l'insonnia e varie altre patologie.

Rumori e vibrazioni

Suonidi elevata intensità possono provocare disturbi alla qualità del sonno e sfavorire concentrazione e apprendimento. Per ridurre suoni e vibrazioni  è necessario interporre tra sorgente e ricevitore pareti assorbenti in modo che il rumore ricevuto venga assorbito o riflesso. I materiali da utilizzare sono quelli ad elevata massa, per le basse frequenze, e quelli fibrosi,  per le alte frequenze.Tra questi, la bioedilizia consiglia: rotoli di fibra di lino, di canapa, di fibra di legno a bassa densità, cellulosa in fiocchi da insufflaggio.

L’illuminazione

Un uso scorretto dell'illuminazione, invece, può causare disturbi alla vista, cefalee e capogiri. Si deve sempre preferire la lucenaturale analizzando e progettando attentamente le aperture vetrate e la posizione di ogni piano degli edifici. Quando questa viene a mancare, bisogna ricorrere alla luce artificiale la quale dovrebbe evitare di avere una forte diffusione (per raggiungere tale scopo, dovremmo preferire lampade al sodio a bassa o alta pressione evitando quelle con una forte componente di luce blu, come i led). In generale, una buona luce artificiale, in tema di inquinamento luminoso, dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

  1. Essere molto simile alla luce naturale.
  2. Evitare o ridurre la produzione di calore.
  3. Illuminare in modo ottimale gli ambienti in relazione ad ogni tipo di esigenza, senza abbagliare.
  4. Evitare di rilasciare prodotti di combustione ( anidride carbonica, acqua e altre sostanze volatili).

L’elettromagnetismo

Altro inquinante molto attuale, dato il continuo aumento di innovative tecnologie negli spazi confinati è quello elettromagnetico; una soluzione adottata per combattere gli effetti dannosi delle radiazioni non ionizzanti è la schermatura, tramite l'utilizzo di intonaci terra cruda o pitture a base di grafite, la quale però ha un “piccolo” effetto collaterale: un cellulare in casa avrà difficoltà a trovare campo e aumenterà al massimo la sua potenza provocando un inquinamento ancora maggiore! Meglio quindi usare solo cavi schermati o twistati. Altri accorgimenti da attuare se si vogliono dormire sonni tranquilli sono:  evitare di far passare cavi elettrici vicino alla zona letto e al divano, dal momento che il nostro corpo risente maggiormente dei campi elettromagnetici durante il sonno; evitare di installare lampade a basso consumo o dotate di un trasformatore in posti vicino ai quali una persona passa molto tempo; fare attenzione a collegare l'interruttore alla fase diretta; installare un disgiuntore di corrente nelle camere da letto, il quale annulla la tensione da tutte le apparecchiature o le prese collegate, quando non sono in funzione. 

INQUINAMENTO CHIMICO

Sempre più nuove sostanze chimiche apportano all'edilizia vantaggi di tipo economico, prestazionale ed estetico con effetti negativi su salute ed ambiente. Vi siete mai chiesti, ad esempio, qual è il “prezzo” da pagare per avere un pavimento a basso costo che imiti materiali quali legno, pietra o marmo? E qual è il rovescio della medaglia nella produzione e nell'utilizzo di colle, sigillanti e guarnizioni che offrono prestazioni ottimali in brevissimi tempi? Vogliamo parlare poi dei possibili effetti dei prodotti per la pulizia, dei detergenti e dei cosmetici? Di certo, chi parla della straordinarietà di questi prodotti innovativi dalle prestazioni ottimizzate in termini di tempi, costi e resa, non tiene conto delle esternalità negative. Di seguito, farò un elenco dei  maggior agenti inquinanti imputati in questo contesto.

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  • Pvc: materiale che, dalla produzione allo smaltimento, può emettere composti tossici inquinanti in aria, acqua e terra, con conseguenti rischi per la salute. Esistono, per quasi tutte le applicazioni del pvc, alternative più sostenibili che prevedono l'uso di materiali tradizionali. A tal proposito Greenpeace ha creato un database dove si possono trovare i prodotti sostitutivi e i fornitori idonei.
  • Voc: sono “composti organici volatili” derivanti da molti materiali edili e da vari prodotti per la pulizia della casa e della persona. Fanno parte di essi anche gli idrocarburi policiclici aromatici rilasciati da stufe a cherosene, stufe a legna, caminetti con tiraggio difettoso, fumo di sigaretta.
  • Particolato: è rappresentato da sostanze sospese in aria come fibre e particelle inorganiche.
  • Metalli pesanti: mercurio, cadmio, cromo e piombo sono i maggiori responsabili dei danni ambientali. Il cromo esavalente, che si trova in edilizia in vernici, pitture, trattamenti di cromatura e impiegato anche per evitarne la corrosione e l'usura delle superfici, è irritante per occhi, pelle e mucose. Si consigliano dunque pitture e verniciecologiche caratterizzate da colori molto più vicini alle tonalità che si trovano in natura e da dinamicità cromatica che si manifesta quando i muri vengono illuminati dalla luce nelle diverse ore del giorno. In generale, le vernici sono composte da pigmenti, per dare il colore al prodotto, e da aggrappanti, per garantire l'attaccatura al supporto; l'alternativa ecologica ai normali prodotti in commercio, prevede l'utilizzo di prodotti naturali tra cui: 
    - Pigmenti : polvere di grano (per i gialli), alghe (per gli azzurri), terre colorate (per le tonalità che vanno dal rosso al marrone), caseina ( per le varie tonalità del bianco); a quest'ultimo pigmento devono prestare attenzione, solo nei primi giorni dopo il trattamento, le persone che sono intolleranti al latte.
    - Aggrappanti ( albume, resine naturali vegetali).
  • Radon: questo gas nobile radioattivo incolore e inodore, rappresenta la seconda causa di cancro al polmone in Italia. I locali seminterrati e quelli al pian terreno sono i più interessati da questo inquinante soprattutto negli edifici che sorgono su suoli di origine vulcanica o fortemente permeabili. L'impiego di materiali da costruzione e da rivestimento quali tufo, pozzolane, graniti e l'uso di acqua  ad alto contenuto di radon ne rendono possibile la presenza anche in ambienti che stanno a piani più alti. La soluzione è duplice: impermeabilizzare l'edificio e favorire la ventilazione naturaleo meccanica del suolo.

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In conclusione, facendo attenzione alla qualità di materiali, sostanze e arredi di cui ci circondiamo, unitamente alla correzione di cattive abitudini, proteggiamo la nostra salute e l'ambiente nel presente e nel futuro.

Fonti |

ISPESL, Il radon in Italia: guida per il cittadino, 2007.

U. Wienke, La salute in casa, una sfida per l'edilizia, Nuovi strumenti, Perugia, 1996.

E.Fea, Inquinamento microbiologico degli ambienti confinati, H.S.A., Bologna 1994.

U.sasso, Isolanti si, isolanti no, Alinea, Firenze, 2003.

L'Expo nella storia: tra cultura e tradizione

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A distanza di 164 anni dalla prima esposizione universale di Londra, il prossimo 1 Maggio Milano aprirà le porte al mondo intero per inaugurare Expo 2015. La 35° edizione della manifestazione sarà sviluppata sul tema: “Nutrire il pianeta”. Tutte le esposizioni universali precedenti hanno affrontato temi riguardanti l’intera umanità e focalizzati sull’ambiente, l’emergenza alimentare, ecc.

A partire dal 1923 l’Ufficio Internazionale Esposizioni tracciò le linee guida delle esposizioni universali, decidendo di svolgerle ogni cinque anni per una durata di almeno sei mesi. Nonostante la natura temporanea, la maggior parte delle Expo hanno lasciato una forte impronta nei diversi paesi in cui sono state ospitate.

A questo proposito ripercorreremo la storia delle esposizioni universali soffermandoci su alcune edizioni che storicamente lasciarono il segno.

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Le esposizioni universali nella storia

Il 1851è ricordato come anno della prima esposizione universale a Londra, intitolata Great Exhibition of the work of Industry of all Nations; fu un’occasione per mostrare al mondo intero la potenza industriale inglese. Questa edizione rimase nella storia per il noto Crystal Palace, grazie all’uso innovativo di ferro e vetro, in seguito distrutto da un incendio.

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Nel 1876 Expo sbarca per la prima volta negli Stati Uniti a Philadelphia, con un’edizione visitata da circa 11 milione di visitatori, in cui viene presentato per la prima volta al pubblico il Ketchup.

In seguito ricordiamo l’Expo del 1889, come la più famosa tra le esposizioni universali, tenutasi a Parigi per la ricorrenza del centenario della rivoluzione francese. In tale occasione fu costruita la Tour Eiffel (alta 324 m) che doveva essere smontata al termine dell’esposizione e invece ancora oggi rimane come uno dei maggiori simboli di Parigi e della Francia. La capitale francese ospitò anche nel 1900 una successiva edizione divenuta popolare per il record di oltre 50 milioni di visitatori e il cinematografo dei fratelli Lumière. Tuttora la città porta i segni di questa esposizione, poiché furono costruite la Gare de Lyon, la Gare d’Orsay (attuale Musée d’Orsay), il Petit Palais, il Grand Palais e il ponte Alessandro III.

Il 1906 invece è l’anno dell’Italia, in particolare di Milano, che ospita per la prima volta Expo per celebrare l’apertura del traforo Sempione che permise il collegamento ferroviario tra Milano e Parigi. In seguito a tale esposizione rimasero il parco Sempione e l’acquario Civico.

Nel continente asiatico la prima esposizione avvenne nel 1970 a Osaka; i visitatori poterono ammirare per la prima volta un treno ad alta velocità che raggiunge i 500Km/h ,la prima versione di un telefono cellulare e un reattore nucleare; in questa edizione si sviluppò il tema del miglior utilizzo delle risorse naturali.

Il 2000è particolarmente importante per la storia di Expo, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità. Questa edizione si svolse per la prima volta in Germania, ad Hannover, lasciando alle future Expo un nuovo approccio: “i principi di Hannover”  grazie ai quali si inizio a porre maggior attenzione alla costruzione di padiglioni sostenibili e a ridotto impatto.

La 34° edizione di Expo, tenutasi nel 2010 a Shanghai,è segnata dal record di oltre 73 milioni di visitatori. L’esposizione a tema “Better city, better life” affrontava il tema dello sviluppo delle città sotto un’ottica sostenibile. In questa edizione si proposero nuovi modelli di città per dare una speranza di vita migliore a tutta l’umanità.

Questo percorso attraverso la storia di Expo si conclude con l’apertura di Expo 2015 a Milano, edizione in cui si tratterà il tema dell’alimentazione focalizzandosi sul diritto ad un’alimentazione sana e sufficiente. I padiglioni presenti, provenienti da tutto il mondo affronteranno questo argomento giocando con i temi della creatività, tradizione e innovazione tecnologica.

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IL PADIGLIONE ITALIANO

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L’Italia ha scelto di sviluppare, per il proprio padiglione, il tema dell’alimentazione attraverso il concept del “vivaio” metaforicamente concepito come uno spazio protetto che aiuta i progetti e i talenti dei giovani a germogliare, offrendo loro un terreno fertile. Le linee guida sono la trasparenza, l’energia, l’acqua, la natura e le nuove tecnologie.

Il padiglione italiano si propone come un landmark all’interno del villaggio Expo, collocato su uno dei quattro punti cardinali. La struttura, progettata in un’ottica sostenibile e a impatto quasi zero, é composta da quattro blocchi espositivi, rivestiti esternamente da 900 pannelli di cemento biodinamico. Questo materiale, prodotto all’80% da aggregati riciclati provenienti da scarti di lavorazione del marmo di Carrara, ha la proprietà di “catturare” gli inquinanti presenti nell’aria trasformandoli in sali inerti. Questo processo provoca la riduzione dello smog presente nell’aria.

GLI ALTRI PADIGLIONI DELL'EXPO

La maggior parte dei padiglioni presenti interpreta il tema della nutrizione in chiave sostenibile. L’Austria, per esempio, intitola il suo padiglione “Breathe” considerando il nutrimento primo dell’uomo, l’aria. Questo padiglione avrà una performance equivalente ad una foresta di 1,3 ettari, per opera di centinaia di alberi impiantati che produrranno 62 kg di ossigeno all’ora.

Israele sviluppa diversamente la tematica del nutrimento planetario, intitolando il suo padiglione “Fields of Tomorrow”. L’obiettivo é trasformare i terreni aridi in campi fertili grazie all’innovazione tecnologica del “Vertical planting” che propone la coltivazione di alimenti primari come riso, mais e grano su moduli verticali attraverso l’irrigazione a goccia computerizzata. Grazie a questa innovazione tecnologica, il padiglione israeliano si presenterà ricoperto da un campo verticale lungo 70 m e alto 12.

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Tanti altri saranno i padiglioni che svilupperanno in chiave sostenibile il tema della nutrizione e porteranno le loro specialità alimentari per sostenere e promuovere un evento di scambio culturale che soltanto pochi eventi universali come Expo possono consentire.

Saremo tutti curiosi di vedere se anche questa edizione lascerà il segno come le precedenti.

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