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Smart home, domotica e sicurezza: 5 trucchi per proteggerti dagli hackers

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ll futuro delle nostre case è tutto racchiuso in un aggettivo: smart. Negli ultimi anni, c'è stata un'esplosione di prodotti e di dispositivi che promettono di rendere le nostre case sempre più "intelligenti". Tuttavia i dispositivi per la domotica possono essere un facile obiettivo degli hackers se si trascura la sicurezza della smart home quando si scelgono e installano elementi domotici e aggiornamenti. Ecco 5 trucchi per conoscere i rischi delle case intelligenti e come proteggerle.

TUTTI I VANTAGGI DELLA DOMOTICA

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Con un mercato della domotica in netta crescita, i dispositivi per la smart home rappresentano il presente e il futuro dell'Internet delle Cose (Internet of Things – IoT). Infatti, aziende come Google ed Apple hanno investito e continuano ad investire pesantemente nel campo. Google ha acquistato per 3,2 miliardi di dollari Nest Labs, società esperta nella domotica, mentre Apple ha progettato, un framework operativo e un’app per la smart home dedicata ai propri device domestici. Leggendo il report dedicato alle connected home e realizzato da “Business Insider Intelligence” si scopre che entro il 2019 il mercato dei dispositivi per la domotica varrà circa cinquecento miliardi di dollari e mostra margini di crescita di molto superiori rispetto a qualsiasi altro settore dell'hi-tech, con un aumento annuo pari al 67%.

I rischi di smart homes e domotica

Arrivare a vivere lo stile di vita della famiglia del futuro dei Jetsons ha però anche aspetti negativi. Quali insidie si nascondono dietro un'abitazione controllata e gestita da remoto? Quali pericoli derivano dall’utilizzo della rete per il controllo di tutti i dispositivi che compongo i sistemi di automazione?

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Gli analisti informatici affermano che un facile obiettivo per gli hackers siano i dispositivi per le smart home. Il motivo? Sono i sistemi informatici periodicamente meno aggiornati in assoluto dopo l’installazione e collaudo. Il rischio è davvero concreto perché mentre tutti ben conoscono e verificano gli aggiornamenti automatici del computer e la presenza dell’antivirus attivo ed aggiornato, in quanti invece si preoccupano di verificare da quanto tempo la centrale domotica non aggiorna il proprio sistema applicativo?

E il sogno della casa intelligente, interconnessa, monitorabile e gestibile da remoto potrebbe trasformarsi in un incubo: estranei potrebbero averne il controllo, facendo razzia di dati personali, immagini, video, audio e informazioni sensibili con una conseguente maggiore esposizione ad intrusioni e furti, sia fisici che di identità.

La sicurezza delle smart homes

Portando le nostre case su internet, infatti, ci imbattiamo nello stesso tipo di problemi di sicurezza che abbiamo per qualsiasi altro dispositivo connesso e cioè che l’intero sistema della casa intelligente può potenzialmente essere attaccato dei pirati informatici. Secondo il ricercatore di mercato Gartner, circa 2,9 miliardi di dispositivi consumer sono oggi collegati ad internet e buona parte di questi sono dispositivi di building automation. Purtroppo però, la corsa per fornire funzionalità sempre più specifiche di automazione domestica ha portato a sistemi scarsamente sicuri creando numerosissime vie di attacco per gli hackers. Fino ad ora tutte le aziende produttrici si sono concentrate maggiormente sullo sviluppo dei vari dispositivi smart, mettendo da parte il fattore sicurezza soprattutto a causa degli alti costi legati alla ricerca, sviluppo e supporto.

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Attualmente molti produttori sono coinvolti in un processo di democratizzazione di installazione ed utilizzo dei dispositivi domotici, dove il “plug and play” la fa da padrone: se un prodotto consumer deve avere diffusione e successo commerciale, deve essere facile da usare ed installare, questo purtroppo, talvolta a discapito della sicurezza della casa, un aspetto che passa frequentemente in secondo piano non producendo dei benefici immediati in termine di introiti sulle vendite.

E quindi nella scatola di dispositivi IoT, acquistabili ormai anche nelle grandi catene di elettronica a scaffale, non compaiono più prolissi manuali d’istruzioni, ma unicamente il classico foglio bifacciale intitolato “Getting Started Guide” in cui per brevità sicuramente non è possibile trattare con esaustività l’argomento sicurezza, tra l’altro sconosciuto ai più che si accostano alla domotica.

Nel 2015, alcune società specializzate nel campo della cyber-security hanno testato diversi dispositivi per le case intelligenti, trovando falle enormi nei firmware: un hacker con delle cattive intenzioni potrebbe manomettere l'intera casa in pochi minuti.

Ogni dispositivo ha infatti carenze di sicurezza e gli studi hanno rivelato che i dispositivi progettati per automatizzare la casa hanno gravi vulnerabilità. Il desiderio dei consumatori di controllare la loro casa dal proprio smartphone mediante applicazioni e portali web che consentono di operare da lontano, per esempio, significa che perdere il dispositivo può portare a conseguenze significative per la sicurezza domestica. E, secondo uno studio condotto dalla società di sicurezza Synack, se un utente malintenzionato è in grado di ottenere l'accesso al dispositivo, quasi tutti i dispositivi della casa intelligente possono essere facilmente compromessi e trasformati in un cavallo di Troia.

Il report della Synac sulla sicurezza dei dispositivi domotici

Uno dei primi report sulla sicurezza delle smart home è stato redatto proprio dalla Synack, azienda esperta in cyber-security. Durante la ricerca sono stati testati 16 dispostivi (tra cui telecamere di sicurezza, termostati intelligenti attivabili dallo smartphone, rivelatori di fumo e le centraline per il controllo dell'abitazione) e solamente 1 ha passato a pieni voti i test di sicurezza, tutti gli altri sono stati bocciati.

L'esperimento ha riguardato quattro diverse fasi: The Open House, The Stolen Phone, The Coffee Shop, The Malicious Modification. Nel primo caso sono state studiate le difese messe in atto dalla centralina dell'abitazione, nel caso in cui un hacker riesca ad entrarci, mentre nella terza fase è stata testata la capacità delle applicazioni installate sullo smartphone di difendere i dati personali quando si è connessi ad una Wi-Fi pubblica. Solamente durante il primo test, i devices hanno prontamente bloccato l'accesso degli hackers nella rete della smart home, negli altri casi sono stati evidenziati svariati problemi riguardanti la sicurezza e il firmware dei terminali. Ci sono voluti solo tra 5 e 20 minuti per trovare un modo per compromettere ogni dispositivo, una volta che i ricercatori hanno spacchettato l'hardware. "Le diverse aziende stanno davvero spingendo per ottenere un prodotto competitivo sul mercato dell’Internet delle Cose, ma non hanno un esperto di sicurezza nella loro squadra, trascurando così un sacco di dettagli", dice Moore Colby , analista di ricerca sulla sicurezza per Synack, "La maggior parte delle aziende sta ignorando le basi."

Ma se questa è la prospettiva sarà meglio rinunciare al sogno della smart home? Non necessariamente, perché fermare il progresso è, come in ogni ambito, controproducente ma sarà necessario prestare molta attenzione ai dispositivi domotici che si acquistano e salvaguardare in tutti i modi dati personali e credenziali di accesso alle reti. Con l'aumento dei terminali intelligenti all'interno delle abitazioni è necessario aumentare gli standard di sicurezza sia dei dispositivi dedicati alla domotica, sia degli smartphone che controllano da remoto tali dispositivi e se il settore vuole trainare l'intero apparato della tecnologia nei prossimi anni, dovrà fare grandi progressi per assicurare la protezione dei dati di milioni di utenti.

I 5 passi per la sicurezza della casa intelligente

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Per quei consumatori che intraprendono un viaggio nella domotica, nel frattempo, ecco 5 passi per mantenere la casa intelligente evitando il più possibile di esporla ad inutili rischi:

1. Il router: password, aggiornamenti e gestione remota

I router sono la porta digitale per la casa intelligente e un router mal protetto può consentire a un utente online il facile accesso a tutti i dispositivi di automazione domestica in rete. Gli utenti dovrebbero assicurarsi che sia variata non solo l’eventuale password wi-fi di default, ma altresì la password di amministratore (sufficientemente complessa) e che sia in esecuzione il firmware più recente: il firmware è il cuore applicativo del sistema e viene aggiornato periodicamente dal produttore per chiudere eventuali falle di sicurezza e correggere malfunzionamenti. Alcuni router inoltre consentono di essere gestiti dall’esterno: molto spesso lasciare abilitata questa funzione è superfluo e dannoso, poiché aumenta in maniera importante la superficie d’attacco del dispositivo ad esterni malintenzionati.

2. Evitare dispositivi obsoleti

Il ciclo di vita dei sistemi informatici e ovviamente di quelli domotici non è molto lungo come potrebbe essere quello di un elettrodomestico. Tali dispositivi ricevono durante la propria esistenza in commercio il supporto da parte del produttore che si impegna a rilevare e correggere con gli aggiornamenti non solo i malfunzionamenti funzionali, ma anche quelli legati alle falle di sicurezza. Dopo l’uscita dal commercio solitamente questo processo non avviene più, ed eventuali falle scoperte dagli hacker su dispositivi “obsoleti” non vengono corrette in quanto di interesse scarsamente strategico per il produttore. Visto tuttavia il costo rilevante dell’acquisto di tali sistemi, occorre un consiglio da parte di un esperto, che possa indirizzare l’utente finale nella scelta di un produttore specifico, poiché talvolta il fai da te, pesantemente influenzato dal marketing, non sempre risulta essere una buona pratica.

3. Cloud? Forse meglio se non si è esperti

I sistemi di home automation, sono in genere molto costosi e possono aprire falle nella privacy e nella sicurezza, se non adeguatamente protetti. Proteggerli però significa avere competenze specifiche nel campo della domotica per smart homes oppure sborsare del denaro per manutenzioni periodiche che possano assicurare tranquillità: non utilizzando eventuali servizi cloud, si diventa interamente responsabili quindi del controllo della sicurezza dei sistemi da soli. Molti aspetti di sicurezza invece vengono affrontati obbligatoriamente dal cloud provider che eroga il servizio sulla “nuvola” con l’aiuto un opportuno staff tecnico. Ovviamente la scelta di un servizio basato su cloud non giustifica un totale disinteresse da parte dell’utente per il sistema informatico e domotico, ma sicuramente aiuta non poco l’utente medio non esperto.

4. Aggiornare i dispositivi quando possibile e proposto

Molti degli sviluppatori che creano il software per i prodotti di home-automation come accennato sono relativi principianti quando si tratta di sicurezza. David Jacoby, un analista della sicurezza per Kaspersky Lab (noto brand di sistemi antivirus/antimalware), ha tentato di attaccare la sua casa e ha trovato un certo numero di vulnerabilità anche molto banali del suo prodotto di archiviazione a casa che gli ha dato una testa di ponte nella rete domestica. “Gli sviluppatori spesso usano la scusa di non essere esperti di sicurezza”, dice. Per questo l’approccio dei produttori per correggere le vulnerabilità di cui vengono a conoscenza è di collezionare i feedback degli utenti inviati spesso dai dispositivi automaticamente ed in maniera anonima al produttore. Poiché la sicurezza deve essere migliorata, l'applicazione degli aggiornamenti creati sulla scorta di questi feedbackè un passo fondamentale per assicurare che i dispositivi di home automation restino maggiormente tutelati da attacchi più semplici o datati”.

5. Scegliere una marca

Una società che si è appena approcciata alla domotica è difficile che si dedichi particolarmente alla sicurezza dei suoi prodotti, poiché spesso orientata a lanciare lo stesso e profondere gli sforzi più in marketing che in supporto ed analisi sulla sicurezza contro gli hackers, tipici invece dell’azienda che deve mantenere la propria posizione sul mercato essendoci dentro da anni. Il consumatore dovrebbe concentrarsi su aziende che si sono impegnate per i loro dispositivi ed allo stesso tempo per la loro sicurezza dice Moore Colby (Synack) “L’utente vuole qualcuno che è stato in giro, qualcuno con una reputazione”, ha detto “almeno starà dietro al prodotto e ai suoi aggiornamenti”.


Flessibilità in architettura. Considerazioni

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Le leggi di pianificazione del territorio dipendono sempre più dalla rendita che derivadall'intervento edilizio. Lo sviluppo delle aree della città, le tipologie e le strutture costruite seguono leggi di mercato che mirano, ormai, solo al profitto. Inoltre, a complicare notevolmente la gestione dei suoli, ci sono spesso cambiamenti del mercato o degli obiettivi del progetto che vanificano quanto costruito già dopo pochi anni la sua realizzazione. Ecco che è quindi facile vedere nuovi cantieri per cambiare destinazione d’uso agli edifici o per attuare ampliamenti che soddisfino i nuovi bisogni. Tutto questo comporta ulteriori studi, progettazione, demolizione, smaltimento, costruzione, collaudo…

Case flessibili ed economiche: i prototipi di Avi Friedman

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L’abitare e l’uso del suolo

Questa è solamente una veloce lettura del complicato argomento della gestione delle aree urbane, una nota di riflessione, senza la pretesa di spiegare in pieno il sistema che vige dietro al governo delle nostre città; la questione necessiterebbe certamente di un approfondimento. Proviamo comunque ad ipotizzare uno scenario differente.

Notevoli cambiamenti nel tempo fanno diventare parti di città come organismi architettonici in crisi, obsoleti, abbandonati e, soprattutto, incapaci di modificarsi in armonia con il loro intorno.

Talvolta si rendono necessari notevoli ampliamenti o, viceversa, forti riduzioni dell'area edificata, ma tutto questo si scontra con la rigiditàpropria dell'attuale modo di fare architettura”, un modello che non accetta facilmente modifiche ma all’opposto è rigido ed energivoro.
Tutto questo fa si che, di solito, non ci siano cambiamenti e l’architettura costruita rimanga per decenni, senza rispondere più alle necessità delle persone e della città, fino a diventare un qualcosa di tollerato dai cittadini, non più desiderato. Gli utenti devono adeguarsi all'architettura, dal momento che il processo opposto non è previsto e quindi possibile. Un “modus vivendi” la città forzato e scorretto essendo questa pensata e costruita per e da i cittadini, non viceversa. Non è più sufficiente, o forse non lo è mai stata, la scelta ponderata del tipo di intervento edilizio che verrà adottato, le innovazioni tecnologiche e i cambiamenti sociali (quindi i differenti stili di vita dei cittadini) impongono che l'architettura sia pensata e fatta con presupposti differenti. L'edificio deve essere pronto ad accogliere ciò che accadrà nel futuro del contesto sociale, culturale e tecnologico nel quale è inserito. Una nuova architettura deve quindi fare della flessibilitàe reversibilità il proprio punto di forza. Dobbiamo pensare e progettare organismi architettonici che prevedano operazioni di addizione e sottrazione, senza la necessità di occupare nuove aree di suolo o di impiegare processi ad alta entropia, mantenendo la reversibilità dell'intervento, così da raggiungere la massima flessibilità.

John Habraken e l’open building

Alcuni interessanti spunti sulla questione possono essere tratti dal network internazionale Open Building, ideato dall'architetto olandese John Habraken.

Habraken nasce in Indonesia, viaggia tanto e comincia ad indagare la residenza olandese ed il suo “innaturale” rapporto con l’uomo. Per Heineken disegna la bottiglia WOBO (nota di approfondimento sulla storia della WOBO in calce all'articolo) a sezione quadrata: pensata come alternativa al mattone portava in sé il concetto di riciclo creativo. Nel 1961 pubblica in Olanda il libro “De dragen en de mensen”, in cui espone l'innovativa visione dell’utente come attivo protagonista del processo costruttivo dell’abitazione e della conseguente organizzazione dei processi progettuali, in un contesto storico in cui nell'architettura pervadeva un senso di potere, di voler controllare, dall’alto verso il basso. Nel ’65 Habraken fonda insieme ad altri architetti olandesi il SAR (Stichting Architecten Reserch), fondazione di ricerca architettonica che lavorando sulla scia delle tesi partecipative del testo di Habraken, sviluppa la teoria del support ed infill: la struttura di support rappresenta una responsabilità comune nella produzione di alloggi di massa, mentre l'acronimo infill definisce il controllo individuale dell’alloggio. Il support deve essere progettato da tecnici, a cui spetta un il compito e la responsabilità di definire la distribuzione degli spazi in funzione agli impianti e alle tecnologie. Gli utenti potranno modificare la propria unità abitativa secondo le diverse esigenze. La struttura di support, indipendente dall’abitazione, avrà una vita molto più lunga rispetto a ciò che viene assemblato al suo interno perché statico rispetto alla continua evoluzione delle unità abitative. Quest’idea di Open Building può essere vista in funzione di un’organizzazione urbana della città, in termini cioè di pianificazione urbanistica.

Architettura “con-temporanea”?

Il nodo concettuale del lavoro di Open Building potrebbe riassumersi in una parola, flessibilità, che nasce dalla volontà di attuare un cambiamento.

Oggi progettare è sovente un gesto fermo al presente, se non addirittura ancorato al passato, senza volgere lo sguardo in avanti, a ciò che potrebbe accadere negli anni successivi all'edificazione, senza domandarsi se il progetto possa rinnovarsi nella forma, nella funzione e nel suo significato urbano. Pensare all'architettura come un qualcosa di rigido e fisso nel tempo è chiaro che non funzioni più, non sia adeguato allo sviluppo tecnologico e socio-culturale ma anzi si rifletta negativamente sul paesaggio, sul tessuto urbano e sui cittadini.

Andrebbero progettati frammenti di tessuto urbano non rigidi, offrendo alle aree le potenzialità per acquisire un indubbio valore urbano, grazie a parti di esse modificabili nel tempo e immaginabili anche removibili, quando necessario. Tutto questo nell'ambito di proposte di riuso dei luoghi di progetto fornendo un valore aggiunto alle parti della città, mostrandone potenzialità spesso inespresse o soffocate dalla rigidità delle architetture che vi sono contenute.

Così facendo la città diventerebbe un organismo sviluppabile e pronto a ricevere gli inevitabili “upgrades” di cui avremo sempre bisogno.

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caption: Foto di Lenny Schiaretti

Il testo trae origine da un lavoro di ricerca sviluppato da B.M.Rulli, F.Pizzorusso, L.V.Schiaretti

La WOBO di John Habraken per Heineken, 1960

Nel 1957 Freddy Heineken ha un’idea rivoluzionaria mentre passeggia per le spiagge di Curaçao, nelle Antille: costruire case di bottiglie per risolvere nello stesso tempo il problema dei rifiuti e quello dell’alloggio sociale. Nelle spiagge nota che giacciono abbandonate molte bottiglie di birra, importate dall’Olanda e non rispedite in fabbrica a causa dell’elevato costo di trasporto. Inoltre gli antillani vivono in fatiscenti baracche, disponendo di scarsi materiali da costruzione, da qui l’idea di utilizzare i “vuoti” di bottiglia per risolvere il problema dell’alloggio. Heineken, tornato in Olanda, trova l’architetto che può dare forma al suo progetto: John Habraken. Il prototipo di mattone-bottiglia venne chiamato WOBO (world bottle), ha un collo molto lungo ed è destinato a impilarsi in verticale, ma non piace ai responsabili del marketing perché assomiglia a una bottiglia di vino, non sembra abbastanza virile.

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Scartata la prima idea, Habraken progetta un secondo prototipo, rettangolare e tozzo, con un collo corto e grosso. La sezione quadrata è molto meno resistente a pressione e obbliga all’uso di un vetro più spesso. La WOBO è pensata per essere collocata in fila, con i colli a direzioni alternate per ogni fila.
Come materiali di unione vengono usati malta e additivi di silicone, Habraken disegna ai lati delle bottiglie delle piccole protuberanze tondeggianti per migliorarne l’aderenza. Realizzate 60.000 bottiglie di prova viene costruito nel paese di Noordwijk un capanno molto semplice e simile a quello che avrebbero potuto costruirsi gli antillani con le bottiglie di scarto. Nonostante il prototipo funzioni bene, l’idea viene archiviata perché si teme che la world bottle possa rovinare l’immagine di Heineken, che a quel tempo, soprattutto negli Stati Uniti, rappresenta un prodotto esclusivo che rischia così di venir associato a poveri e rifiuti.

Fondazione Uhl: tecnologia, tradizione e integrazione con il paesaggio

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La sede della fondazione Elisabeth and Helmut Uhl a Laives (BZ) è stata realizzata grazie ad un concorso internazionale ad inviti bandito nel 2009. La richiesta era quella di progettare un edificio che ospitasse le attività di ricerca della fondazione. Rainer Uhl si rivolse a Thomas Herzog perché componesse la giuria del concorso e ne facesse parte in qualità di presidente. Cinque giurati, fra i quali anche i professori Vittorio Magnago Lampugnani e Andrea Vidotto e l'arch. Hermann Kaufmann giudicarono i progetti dei quindici studi provenienti dalla Germania, dalla Svizzera, dall'Italia e dall'Austria.

BOLZANO: LA SCUOLA IPOGEA SOTTO IL CASTELLO

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La competizione è stata vinta dal team modostudio di Roma convincendo la giuria con un intervento definito “attento alle caratteristiche di relazione con lo spazio circostante e al concetto di flessibilità progettuale”. Siamo, infatti, in un territorio famoso per la rigogliosa vegetazione e per le abitazioni rurali tipiche del Trentino-Alto Adige, i "masi". Il dialogo fra paesaggio e ambiente costruito e l'interazione fra la vita della natura e quella dell'uomo sono stati gli obiettivi del team di progettisti: si preserva l'ambiente circostante andando planimetricamente ad insistere sulla stessa impronta degli edifici una volta esistenti ed oggi demoliti.

A distanza di circa quattro anni, la struttura ha aperto le sue porte al pubblico.

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Il progetto della fondazione Uhl

L’edificio della fondazione Elisabeth and Helmut Uhl è situato su un declivio e gode di una spettacolare vista panoramica e di un incredibile paesaggio. Si compone di tre volumi architettonici principali: un volume trasparente in vetro ed acciaio che ospita le attività di ricerca, un volume in legno adibito a refettorio, e il corpo inferiore, su cui questi volumi poggiano, all’interno del quale trovano collazione gli spazi ricettivi per sostenere le attività della fondazione ed una cantina vinicola.

Il progetto vuole esprimere la tensione generata dalla particolarità orografica del sito e dalle funzioni specifiche dell'edificio fondazione, una tensione generata dal rapporto visivo tra gli spazi interni e l'ambiente esterno, tra le tradizioni del luogo e l'innovazione tecnologica, tra lo spazio per lavorare e quello per vivere. La natura penetra così visivamente i luoghi della ricerca, contribuendo a generare il senso di apertura e di distensione necessari alle attività di studio. Un edificio creato per proteggere i suoi ospiti dalle particolari condizioni climatiche, ma allo stesso tempo per godere dei vantaggi creati dall'ambiente circostante e dai meravigliosi panorami.

Parte del materiale utilizzato è stato recuperato dalla demolizione degli edifici esistenti mentre altri materiali seguono volutamente le tradizioni locali, come le scandole di larice tagliato a mano o l'intonaco esterno a calce ed i ricorsi in porfido che ricordano i vecchi edifici di montagna. I materiali diventano un elemento di dialogo con la storia e la cultura dei luoghi.

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Innovative sono le soluzioni tecnologiche adottate: la struttura della parte inferiore dell'edificio fondazione è realizzata con tecnologia Thoma, dove travetti e assi di legno vengono posati a strati alternati in verticale, orizzontale e diagonale divenendo componenti compatti. Pioli in faggio privi di polvere penetrano questi strati in tutto lo spessore dell’elemento parete e assorbono, nella loro nuova posizione, l’umidità residua e fonti insolubili, come i nodi concresciuti, nel legname circostante. Il volume superiore in legno ospita invece un sofisticato sistema di movimentazione di apertura dei pannelli oscuranti.

L'edificio risulta classificato in CasaClima A con la particolarità di non avere alcun impianto di ventilazione controllata interna. Tale impianto è sostituito dalla possibilità di usare l'aria calda generata nel volume in vetro con funzione di buffer zone. Una grande cisterna di 20.000 litri, isolata termicamente, è in grado, tramite un impianto solare termico ed una caldaia a biomassa, di ospitare acqua necessaria al riscaldamento radiante in tutto il complesso.

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La Fondazione Elizabeth and Helmut Uhl

La "Elizabeth and Helmut Uhl Foundation" è stata fondata nel 2008 e prende il nome dei genitori del fondatore, Rainer Uhl. È un’organizzazione no-profit con sede a Monaco di Baviera. Scopo della fondazione è il progresso delle scienze e delle arti mediante la costruzione di reti tra le varie discipline e culture, al fine di creare innovazioni per la società. La fondazione ospita, anche mediante borse di studio, personalità di talento capaci di elaborare idee e concetti dal contenuto inedito e originale. Si organizzano incontri interdisciplinari e interculturali e si promuove un'architettura che coniuga obiettivi ecologici ed estetici.

Se la Fondazione è perciò destinata alla ricerca nei più vari ambiti disciplinari, l'architettura che la ospita è stata a sua volta il risultato di una ricerca mirata.

Il grattacielo in legno più alto degli USA: Framework Tower

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La crescente diffusione del legno come materiale da costruzione e la relativa crescita dell’informazione tecnica a riguardo hanno attirato lo sguardo di tutti i progettisti del mondo sulle infinite possibilità di questo meraviglioso materiale, a partire dalle sue caratteristiche strutturali fino alla sua sostenibilità, portando alla realizzazione di edifici altissimi come la Framework Tower, il grattacielo in legno più alto degli Stati Uniti. 

L'EDIFICIO IN LEGNO PIÙ ALTO D'EUROPA? SI CHIAMA HOHO E SORGERÀ A VIENNA

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Negli ultimi anni si sono così incrementate le sfide, che hanno portato i progettisti a cimentarsi nella progettazione e realizzazione di edifici sempre più alti, migliorando le tecniche ingegneristiche e la tecnologia.

L’ultima proposta in questo campo reca la firma dello studio americano Lever Architecture, il quale si propone di realizzare il più alto edificio in legno degli Stati Uniti.

Il progetto, chiamato Framework Tower, si colloca nella parte settentrionale dello stato dell’Oregon, nel Pearl Discrict della città di Portland, conosciuto come uno dei quartieri più frequentati e alla moda della città.

L’edificio, di 12 piani e oltre 8 mila mq, avrà una destinazione d’uso mista: il pian terreno, uno spazio a doppia altezza, sarà destinato all’uso commerciale, a seguire 5 piani di uffici, 5 piani di alloggi e per finire la copertura, che ospiterà i servizi.

La scelta del luogo non è casuale per i progettisti, ma persegue un obiettivo ben preciso: come spiega il team di progettazione, formato dagli architetti Thomas Robinson e Doug Sheets, comunicare a livello della strada l’innovazione del progetto nell’uso del legno e l’ingegnerizzazione della tecnologia nella costruzione di edifici alti, enfatizzando la connessione con lo sviluppo dell’economia rurale.”

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La Framework Tower ha un impianto lineare, diviso a metà da un corpo centrale, ed è rivestito da pannellature di vetro e di legno; il rivestimento rivela e valorizza tutti gli elementi strutturali, visibili dall’esterno e dall’interno dell’edificio.

Il materiale principe sarà, ovviamente, proprio il legno: lamellare a strati incrociati (Cross-Laminated Timber) per i solai e per un sistema di rinforzo laterale, cosiddetto LFRS (Lateral Force Resisting System), lamellare per le travi e i pilastri, mentre le fondazioni avranno un impianto tradizionale in cemento armato.

Questo progetto è uno dei due vincitori del concorsoAmerica’s first Tall Wood Building”, patrocinato dal Dipartimento dell’Agricoltura americano, in collaborazione con il Softwood Lumber Board e il Binational Softwood Lumber Council, due organismi di finanziamento alle industrie americane per la promozione dell’uso del legno nell’edilizia.

Il ricavato della vincita, pari a 1,5 milioni di dollari, sarà interamente devoluto alla ricerca nel campo dell’ingegnerizzazione del legno per la realizzazione di edifici alti.

Fondamentale è stata la collaborazione a stretto contatto con gli organi dello stato dell’Oregon preposti alla verifica di fattibilità, di collaudo e di revisione, necessari per dimostrare e confermare l’efficienza e la reale possibilità di costruzione di edifici alti in legno in America, aprendo una rosa di possibilità e figurando un panorama ottimistico in questo campo a tutto il resto del mondo.

Il mattone termodissipatore: l'evoluzione sostenibile del mattone forato

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È da decenni che il "mattone forato" è tra i protagonisti principali della scena edilizia nazionale. Come tutti i componenti e materiali edili, dovrà probabilmente evolversi nel tempo per rispondere in maniera più appropriata alle esigenze di miglioramento delle condizioni ambientali e di comfort delle strutture. Convinti del potere dell'innovazione tecnica e delle sperimentazioni, gli architetti Miguel Niño e Johanna Navarro, fondatori di Sumart Design e Architettura, uno studio che progetta e sviluppa soluzioni per l’architettura sostenibile, hanno inventato il ”mattone termodissipatore”. 

Ricette innovative: birra e argilla per il mattone isolante

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Attivi in una delle regioni della Cúcuta in Colombia, gli architetti hanno studiato le caratteristiche del mattone termo dissipatore presso il dipartimento di Norte de Santander. Ne è risultato BT (Bloque Termodisipador), il mattone dissipatore, uno dei loro progetti più riusciti: un blocco di laterizio progettato con una sezione trasversale irregolare che gli consente di dissipare più calore di un laterizio forato con una sezione standard.

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I vantaggi del mattone termodissipatore

Al contrario dei laterizi tradizionali, BT, il mattone termodissipatore, ha cinque lati anziché quattro. La sua faccia angolata e più esposta lo protegge dalla radiazione solare, mentre la struttura cellulare porosa consente all’aria di passare attraverso i fori e dissipare l’eventuale energia termica immagazzinata, migliorando il comfort termico dell'edificio in cui è installato. In posa in opera, si nota come il giunto distanziatore fra i blocchi crei piccoli spazi triangolari che consentono all’aria di circolare.

Altro vantaggio del mattone termodissipatore è quello di ridurre il rumore dissipando e riflettendo le onde sonore.

La conformazione del mattone e la possibilità di essere combinato in modi differenti, consente anche diversi giochi di facciata.mattone-termodissipatore-cmattone-termodissipatore-d

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A rendere sostenibile il prodotto è anche la struttura del laterizio: nel mattone termodissipatore, le superfici della struttura cellulare sono interrotte da una serie di sotto-canali più piccoli che rallentando il flusso di aria ne riducono la quantità in ingresso all’interno.

Il brevetto del mattone termodissipatore si è aggiudicato nell’Ottobre 2015 il prestigioso premio Lápiz de Acero Verde, il più importante colombiano che ogni anno premia i contributi più innovativi in campo architettonico a livello nazionale e internazionale.

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Riuso di pallet per un piccolo padiglione in Toscana

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Un piccolo padiglione temporaneo in pallet nel cuore della Maremma Toscana. Una struttura composta da materiali di recupero e realizzata nell’ambito del recupero dell’aerea verde della piscina estiva del piccolo comune di Gavorrano, abbandonata a sé stessa da molti anni.

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Il team di progetto, composto da tre giovani architetti, Stefano Prinzivalli, Giuseppe Lamanna e Lenny Valentino Schiaretti, ha progettato e realizzato la struttura con pallet in legno e tubi di carpenteria metallica provenienti da materiale esclusivamente di recupero, seguendo una filosofia basata sulla reversibilità del gesto architettonico, sul contenimento dei costi e sul minimo impatto sul territorio.

Il progetto del padiglione in pallet

Il chiosco ha una superficie di circa 20 mq, accoglie il bar, compreso un piccolo magazzino e il punto informazioni per i clienti della piscina ed è appoggiato al terreno, con opere che non comportano modifiche morfologiche all’area. I pallet in legno, con funzione di tamponamento ed ancorati alla struttura portante in acciaio, garantiscono velocità di costruzione e facilità nell’installazione degli impianti, grazie agli ampi spazi cavi presenti all’interno dei singoli elementi. Inoltre collaborano alla stabilità del padiglione senza appesantire eccessivamente la struttura portante.

Un processo progettuale studiato appositamente per rigenerare e valorizzare un'area di importanza strategica per il territorio del piccolo comune, garantendone in futuro il riuso dei materiali e non intaccando minimamente il territorio, essendo un processo costruttivo completamente reversibile.

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Una delle poche strutture realmente temporanee in Italia costruita esclusivamente con materiali di recupero e la partecipazione attiva di aziende locali in una logica di economia tanto sostenibile quanto solidale.

Un piccolo ma significativo intervento che ha soddisfatto in pieno gli obiettivi di progetto e può essere da esempio per quelle situazioni nelle quali è necessario mantenere bassi i costi di ideazione e costruzione, dove è richiesta flessibilità e temporaneità del manufatto e c’è la sensibilità di guardare ai luoghi intorno a noi con occhi differenti.

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L'Asilo "Balena" di Mario Cucinella a Guastalla

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MCA Architects di Mario Cucinella firma la rinascita emiliana dopo il sisma del 2012 con l’inaugurazione a Settembre 2015 del nido comunale d’infanzia che va a sostituire due strutture esistenti danneggiate dal terremoto, con la volontà di riorganizzare e ripensare gli spazi dedicati all’educazione dell’infanzia.

“LA SCUOLA CHE FAREI": IL MODELLO DI SCUOLA SOSTENIBILE DI RENZO PIANO

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L'asilo-balena con portali in legno lamellare

L’idea di Cucinella è quella di creare un ambiente che sia teatro di molteplici occasioni di stimolo della fantasia e di esperienza per i bambini, uno spazio costituito dal susseguirsi parallelo di cinquanta telai strutturali in legno lamellareimmaginato come la balena di Pinocchio”. Ogni portale è infatti sagomato con forme armoniche che ricordano l’anatomia interna del grande cetaceo e determina il ritmo architettonico sia all’interno che all’esterno, prolungandosi sul prospetto.

L’edificio di Guastalla, ad un piano fuori terra, presenta una pianta rettangolare ed una predominante direzione longitudinale con le aule che si susseguono a due a due con zone di gioco e apprendimento sul lato Sud-Est ed annessi servizi per il riposo o il ristoro. 

Negli intervalli gli spazi didattici sono interrotti da spazi di sosta e dal giardino d’inverno e gli ambienti si percepiscono in maniera continua, grazie alla pavimentazione che sale fino ad appoggiarsi alle forme sinuose dei portali.

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Cucinella maestro di sostenibilità

Nell'asilo tutto dialoga con l’esterno grazie alle ampie vetrate che raccolgono luce diventando occasione di esperienze sensoriali.

L’architetto bolognese ci ha abituati alla scelta di materiali e soluzioni progettuali all’insegna della sostenibilità, quali il legno per le strutture (fondazioni escluse), le superfici vetrate a bassa trasmittanza che fungono da tamponamento, il recupero dell’acqua piovana  e l’installazione di impianto fotovoltaico per garantire la massima autonomia energetica.

Mario Cucinella dimostra che l’architettura non è solo quella delle riviste patinate, di Dubai o Los Angeles ma che quando si torna ad intervenire in ambiti sociali importanti come l’educazione si può fare davvero la differenza.

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I muri della gentilezza: arredo sociale per i senzatetto

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In Iran i senzatetto ammonterebbero a circa 15 mila nella sola Teheran, anche se c'è chi parla di cifre ben più alte. A fronte di tanta miseria e di una gestione opinabile dei fondi per la salvaguardia dei senzatetto, c’è fortunatamente chi si prodiga per alleviare queste situazioni, a volte con idee davvero stravaganti ma utilissime che potrebbero definirsi arredo urbano oppure “arredo sociale”.

Senzatetto: abitazioni per clochard nei cartelloni pubblicitari

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I muri della gentilezza per i senzatetto

Si tratta dei “muri della gentilezza”, un’originale idea di un abitante di Mashhad, capitale del capitale del Razavi Khorasan iraniano. Tutto è cominciato appendendo a un muro su una strada pubblica delle grucce con dei vestiti usati, ed uno slogan: "Se non ti serve, appendilo. Se ne hai bisogno, prendilo".

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Questi muri si stanno rapidamente diffondendo in diverse città iraniane grazie alle foto che circolano sui social network; si tratta di allestimenti all’aperto costituiti da semplici ganci per appendere gli abiti, attaccati al muro con accanto la frase che invita le persone a lasciare là, sul muro, gli indumenti o gli accessori di cui non hanno più alcun bisogno.

Il primo muro è stato realizzato nella città di Mashad: esso è stato applicata una mano di vernice colorata, sono stati fissati una serie di appendiabiti sui quali sono stati messi pantaloni, giacche, maglioni e scarpe che i donatori non utilizzavano più.

Un’iniziativa a dir poco virale grazie anche al contributo del quotidiano locale Hamshahri. Da qualche tempo a questa parte compaiono ovunque abiti e non solo, quasi come se ci fossero dei bazar all’aperto. Merito anche dei social network Facebook e Instagram che nelle ultime settimane hanno fatto spopolare le immagini dei “muri della gentilezza” con l'esortazione a comportarsi quanto più gentilmente possibile.

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In poco tempo il fenomeno si è allargato, liberando la creatività e la voglia di condivisione di moltissime persone. Tutto grazie ai social e alla forza della rete. Le foto, infatti, sono spuntate ovunque, facendo sì che, in tutto l’Iran, si moltiplicassero questi muri sempre più colorati e sempre più espressione di bontà.

Sembra una piccola favola dal sapore natalizio che insegna come basti poco per migliorare le condizioni in cui versano i meno fortunati.

I frigoriferi da strada per i senzatetto

E dopo i muri per i vestiti, a poco a poco, stanno facendo la loro comparsa oggetti con altri allestimenti per i bisognosi: si tratta dei frigoriferi da strada installati in un quartiere di Berlino e in cui chiunque, dal semplice cittadino al negoziante di prodotti alimentari, può mettere del cibo.  

Un’iniziativa virtuosa portata avanti anche in Spagna, a Galdakao nei Paesi Baschi e nella Comunità autonoma di Murcia, dove alcuni volontari si occupano del rifornimento dei cosiddetti “Frigoríficos solidarios” (Frigoriferi solidali) grazie ai prodotti alimentari che i proprietari di ristoranti, supermarket e i cittadini offrono quotidianamente.

Questa trovata ha permesso sia di aiutare molte persone affamate e nello stesso tempo evitare lo spreco sconsiderato di alimenti sensibilizzando tutti ad essere più attenti. Dall’Europa, la geniale idea è giunta fino a Goias, in Brasile. I frigoriferi sono a disposizione dei donatori e degli utilizzatori 24 ore su 24 e, fortunatamente, se ne è constata non solo l'utilità ma il rispetto  che per essi hanno i cittadini, che li trattano con il massimo rispetto.

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Warren Woods Ecological Field Station: i primi laboratori Passivi d'America

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Il “Warren Woods Ecological Field Station”, progettato dal gruppo Go logic, è il primo laboratorio nel Nord America certificato Passivhaus, il quinto al mondo e il primo fuori dalla Germania.

Quando l’Università di Chicago scelse come luogo per i laboratori del Dipartimento di Ecologia un sito nelle vicinanze della sponda sud del lago Michigan nessuno si sarebbe aspettato quello che è stato poi il risultato finale. Le polemiche scaturite dall’idea di realizzare una struttura altamente tecnologica in un luogo incontaminato a pochi passi dalla riserva naturale del Warren Woods State Park (Michigan) sono state spazzate via da un edificio non solo perfettamente calato nel paesaggio naturale che lo circonda ma anche a bassissimo consumo energetico.

PASSIVHAUS A VIENNA: IL PRIMO GRATTACIELO CERTIFICATO

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La scelta del sito per il Warren Woods Ecological Field Station

La scelta del luogo non è stata casuale: un legame storico e un debito di riconoscenza uniscono l’Università di Chicago con i campi di ricerca nella regione sud del Lago Michigan.

Insieme ai fondi della Divisione di Scienze Biologiche dell’Università, a finanziare in maniera significativa il progetto è stato infatti un generoso lascito da parte di Harriet Cowles Waller, figlia di Henry Cowels. Professore del Dipartimento di Botanica dell’Università di Chicago a cavallo tra il XIX e XX secolo e considerato oggi il padre dell’ecologia americana, Cowels ha condotto alcuni dei suoi esperimenti più significativi proprio nei territori a sud-est del lago.

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Il restauro ecologico e la scelta di un edificio Passivhaus

Quella di progetto è un’area strategica: connotata da differenti tipi di habitat, tra i quali boschi di latifoglie, foreste di faggi ed aceri e scampoli di prateria umida, è un luogo ideale per gli studiosi delle scienze naturali.

Un intervento di restauro ecologico aveva permesso di ricostruire gli ecosistemi danneggiati o degradati grazie all’utilizzo di materiale vegetale e animale locale ma erano necessarie nuove strutture dotate di strumenti e impianti all’avanguardia per poter condurre ricerche sulla biodiversità, traiettorie evolutive, interazioni ecologiche tra le diverse specie vegetali oltre che esperimenti botanici in siti dedicati.

L’obiettivo che bisognava perseguire, sia nella progettazione che nel funzionamento, era la sostenibilità a lungo termine raggiungibile solo attraverso un edificio dai costi operativi estremamente ridotti e con impianti a bassa manutenzione. La scelta è quindi ricaduta su una struttura accreditata Passivhaus, con standard energetici molto più rigorosi, rispetto ad una certificazione di tipo LEED (meno stringente dal punto di vista dei consumi ma più attenta alla sostenibilità globale del progetto e a uno stile di vita ecologico da parte degli occupanti).

A supportare GO logic, studio di architettura con sede a Belfast (Maine), durante il complesso iter di ideazione, realizzazione e certificazione, è stato un gruppo di progettazione locale, l’Energy Wise Homes di Lansing (Michigan).

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Le sfide del progetto Warren Woods

Il progetto, con le sue molteplici sfide, si è subito rivelato estremamente accattivante per i progettisti.

Collocato a più di 100 km da Chicago, bisognava tener conto, a livello funzionale, delle esigenze dei ricercatori in un edificio satellite dell’Università e allo stesso tempo soddisfare complessi requisiti tecnici indispensabili per la realizzazione di laboratori in un ambiente fortemente umido. Ai fini di un corretto bilancio energetico, inoltre, non potevano essere sottovalutati gli elevati livelli di occupazione da parte dei ricercatori ma soprattutto la quantità di calore generata dagli impianti di ricerca scientifica tra cui camere di crescita delle piante, un freezer a -80°C, un incubatrice e strumenti per l’estrazione del DNA.

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La soluzione finale è frutto di un proficuo colloquio tra architetti e ricercatori. In essa un laboratorio equipaggiato offre la possibilità a piccoli gruppi di studenti e a ricercatori di crescere, trattare e studiare le piante, tre piccoli alloggi consentono il soggiorno per la conduzione di progetti di ricerca a lungo termine mentre un’area per i seminari, i bagni e un cucinino rendono l’edificio ideale per lo sviluppo di programmi educativi, lezioni ma anche riunioni di dipartimento ed eventi.

Seguendo l’asse eliotermico, i laboratori veri e propri sono disposti a nord in modo da ridurre al minimo il surriscaldamento degli ambienti di ricerca (soprattutto durante i periodi più caldi) mentre l’area riservata ai seminari, con le sue ampie superfici finestrate, è completamente esposta a sud. Realizzate con vetri per il controllo solare, le generose aperture consentono alla luce di entrare ma evitano un eccessivo innalzamento della temperatura interna con la conseguente riduzione dell’uso di aria condizionata.

La doppia altezza della sala riunioni, che enfatizza l’ambiente grazie all’ulteriore apporto di luce naturale, si annulla al di sopra dei laboratori lasciando spazio ad una sala relax privata per i ricercatori.

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Involucro e impianti per standard passivi

La volontà di un inserimento silenzioso dell’edificio nella cornice naturale in cui è immerso traspare nella scelta degli architetti di utilizzare il legno invecchiato come rivestimento esterno, mentre il carattere fortemente tecnologico della struttura si evince dalla presenza dell’acciaio perforato, impiegato come schermatura solare per le aperture vetrate e a protezione delle zone di stoccaggio dei materiali.

Al fine dell’ottenimento di prestazioni in linea con gli standard Passivhaus, l’involucro dell’edificio è fortemente isolato: ai pannelli strutturali isolati (SIP), che prevedono uno strato interno isolante intercluso tra due elementi portanti in OSB (Oriented Strand Board), è stato infatti aggiunto un’ulteriore lastra di legno coibentata con cellulosa.

La vera innovazione è però rappresentata dalla platea di fondazione il cui isolamento (20 cm di ESP) è stato realizzato con un sistema esclusivo per il quale GO logic ha ottenuto il brevetto.

Al gruppo di progettazione va anche il merito di aver ideato un sistema che sfrutta in maniera intelligente il calore prodotto dalle apparecchiature di laboratorio e grazie al quale l’aria calda generata dai macchinari, anziché essere semplicemente dispersa all’esterno, viene recuperata e distribuita in tutto l’edificio. Convinti che tale impianto sia sufficiente ai fini della climatizzazione invernale, i progettisti hanno comunque fatto installare pompe di calore supplementari utilizzate anche per il raffrescamento durante i periodi caldi, insieme ad un efficiente sistema di ventilazione notturna.

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La certificazione Passivhaus

La Warren Woods Ecological Field Station ha ottenuto la certificazione da parte del Passive House Institute di Darmstadt (Germania) il 15 giugno 2014; l’entusiasmo per il raggiungimento di tale obiettivo traspare chiaramente dalle parole di Joy Bergelson, PHD e Presidente del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell’Università di Chicago a cui i laboratori sono destinati. Bergelson ha infatti dichiarato di essere “eccitato di vedere finalmente andare a buon fine un progetto con un risultato finale che non solo pone un nuovo standard di efficienza energetica ma è anche bello”.

Oltre alle notevoli prestazioni energeticheè stato infatti il design pulito ed essenziale dell’edificio a provocare consensi unanimi a dimostrazione di come forma, funzione, tecnologia e sostenibilità possono convivere all’interno di un medesimo progetto.

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Restauro di due fienili in pietra: diventano abitazione

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In un piccolo borgo medievale della Val Bregaglia ormai semi abbandonato, che prende vita soltanto durante i periodi di vacanza, lo studio di progettazione Vudafieri Saverino Partners ha restaurato due edifici in pietradel XVI secolo. In origine i manufatti erano modesti rustici adibiti a ricovero per gli animali e a fienile, oggi sono una confortevole casa di abitazione, Mountain Stone House, anche se dall’esterno nulla sembra cambiato.

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Il progetto di restauro dei fienili

I lavori sono iniziati con il ripristino strutturale e l’adeguamento del primo edificio costituito da muri in pietra e tetto a doppio spiovente in legno. Gli ambienti sono articolati su tre livelli: al piano terra è stata collocata una camera da letto matrimoniale con annesso bagno, mentre al primo piano trova posto la zona giorno costituita da un unico ambiente soppalcato per creare un ulteriore livello con altri due posti letto. Successivamente il committente ha comprato anche la costruzione adiacente che è stata annessa al progetto attraverso una passerella in legno e vetro. L’elemento di collegamento, che ha permesso l’ampliamento della zona giorno, si armonizza con il tutto e quasi non si nota in quanto all’apparenza sembra il tamponamento di un fienile.

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Le superfici esterne non sono state alterate per non modificare l’unitarietà del manufatto e per non creare una ferita all’interno del piccolo borgo. Invece gli interni si contraddistinguono per un gusto spiccatamente contemporaneo. Il materiale utilizzato in ogni sua declinazione è esclusivamente il legno: lastre grezze recuperate e lastre nuove piallate si alternano per costituire i diversi tipi di pavimento, mentre le pareti sono rivestite in fogli di compensato trattati e opacizzati. Le ampie finestre con doppi vetri si aprono verso la vallata e sono schermate dalle pesanti imposte tradizionali.

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Cantine sostenibili: sfruttano le risorse del luogo per la produzione del vino

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Integrarsi con il territorio, acquisire le tecniche costruttive tradizionali, puntare su un'energia che parte da fonti rinnovabili significa progettare in modo sostenibile. Ed è proprio la progettazione sostenibile alla base delle cosiddette "eco-cantine", strutture che si pongono l'obiettivo di raggiungere una sostenibilità a 360°, non soltanto a livello architettonico e strutturale, ma anche dal punto di vista produttivo.

Cantine: una struttura per produrre vino in modo sostenibile

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Le cantine sostenibili, infatti, si presentano come una nuova tipologia di costruzione definibile perfettamente integrata, sia perché ha caratteri tipologici che risentono fortemente del luogo in cui sorge, sia perché ogni spazio, ogni elemento strutturale, ogni metodo di sfruttamento (responsabile) delle fonti rinnovabili a disposizione viene declinati in modo tale da risultare utili anche al processo di produzione del vino. 

Cantine tradizionali e cantine sostenibili: il confronto

Le cantine tradizionali sono dei veri e propri "edifici succhia-energia". La produzione di vino, infatti, richiede il funzionamento di macchinari ben diversi dal vecchio ecosostenibile buon tino dove si pigiava l'uva con i piedi (e ci si divertiva come pazzi!). Adesso è necessario mantenere in attività un numero cospicuo di macchinari, rigorosamente elettrici, che causano un notevole consumo di energia. Anche il luogo dove il mosto viene conservato richiede particolari impegni dal punto di vista energetico: mentre in passato si usavano le grotte che, per natura, riuscivano a mantenere un microclima costante al loro interno, adesso sono necessari dispositivi meccanici in grado di raggiungere lo stesso risultato in maniera artificiale ma dispendiosa dal punto di vista elettrico.

Anche l'irrigazione e la raccolta dell'uva, secondo le tecniche attualmente utilizzate, portano a consumo di acqua e di carburante per alimentare i mezzi agricoli, con conseguente emissione di gas nocivi per l'ambiente.

La cantina sostenibile, invece, si pone come obiettivo quello di trasformare la produzione di vino in unpercorso produttivo ciclico: l'energia per alimentare macchinari e mezzi adatti e per irrigare proverrebbe direttamente dall'attività agricola, dagli scarti che ne derivano. L'edificio che si genera sulla base di questi principi può definirsi a pieno titolo biocompatibile e completamente autosufficiente

L'utilizzo delle risorse nelle cantine sostenibili

Una cantina sostenibile svolge esattamente le stesse funzioni di una cantina tradizionale. Ciò che cambia è il mezzo con cui si raggiunge il risultato finale. Nello specifico, anche le cantine sostenibili hanno bisogno di macchinari appositi per la produzione del vino e dispositivi in grado di garantire il microclima costante in fase di conservazione. La differenza rispetto ai sistemi tradizionali risiete nell'utilizzo delle risorse rinnovabili: la luce del sole, la forza del vento, il calore naturale della terra. In altre parole, il fotovoltaico, l'eolico e la geotermia. 

L'utilizzo delle risorse energetiche

Quando queste fonti energetiche non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno dell'azienda vinicola, entra in gioco la combustione a biomasse, queste ultime ricavate direttamente dagli scarti delle vigne dopo le potature stagionali. 

Per quanto riguarda il mantenimento del microclima, invece, si agisce con l'architettura vera e propria sfruttando, nel caso siano esistenti, o realizzando strutture ipogee o parzialmente interrate. Fondamentale, in tal senso, è una progettazione responsabile dell'orientamento e della posizione rispetto all'illuminazione naturale del sole e all'incidenza del vento, caratteristiche che, opportunamente sfruttate, possono contribuire spontaneamente all'areazione e alla regolazione della temperatura interna della cantina.

Anche gli scarti di sughero possono essere utilizzati, nel rispetto del principio del riuso e del risparmio, per ricavarne materiale isolante in sughero da applicare alle pareti.

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L'utilizzo dell'acqua

Chiuso il capitolo relativo all'energia, rimane il problema dello spreco di acqua necessaria per l'irrigazione e per l'attività di produzione del vino. Sono necessari, infatti, ben 14 litri di acqua per produrre un solo litro di vino, utilizzati, oltre che per il mantenimento delle viti, anche per i numerosi lavaggi in fase di preparazione del mosto. Ne consegue che, a conti fatti, per trasformare 20 quintali di uva in vino vengono immessi nell'ambiente 60 litri di acque reflue

Per superare questo ostacolo si dovrebbe ricorrere ancora una volta ad una progettazione sostenibile, realizzando un efficiente, seppure complesso, sistema di accumulo e ricircolo della risorsa idrica, opportunamente depurata con filtri appositi prima di essere reintrodotta nel processo produttivo. 

Alternative tecnologicamente più avanzate ma ugualmente perseguibili sono la realizzazione di laghetti artificiali o installazione di piante adatte alla fitodepurazione. La fitodepurazione è una tecnica di depurazione delle acque reflue basata sull'utilizzo di specie vegetali, anche non particolarmente ricercate, purificare naturalmente l'acqua. Questo processo avviene grazie a una serie di strati del terreno che generano microrganismi in grado di degradare le sostanze inquinanti.

Questi accorgimenti sono in grado di ridurre il consumo di acqua di una percentuale pari a quasi il 50%. Se si dovesse optare anche per la soluzione della microirrigazione, inoltre, questa percentuale potrebbe continuare a salire. 

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L'imbottigliamento del vino 

La progettazione biocompatibile, la produzione di energia a partire da biomasse di scarto agricolo, una coltivazione biodinamica e il riciclo delle materie prime utilizzate in fase di imbottigliamento e confezionamento sono i pilastri che reggono la complessa struttura delle eco-cantine. Le bottiglie delle cantine sostenibili infatti, percorrono un percorso ciclico, come quello che ha portato alla produzione del vino che contengono: dal produttore passano al consumatore che, una volta finito il contenuto, le riporta al produttore. Quest'ultimo, dopo un'opportuna sterilizzazione, le riutilizza per imbottigliare il frutto di una nuova vendemmia e così via, fino al completo deperimento del recipiente semplicemente a causa dell'utilizzo. 

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In questo modo è possibile applicare una trasformazione radicale: un edificio, la cantina, che consuma energia diventa fonte di energia; un'azienda che mangia denaro, diventa autosufficiente e, addirittura, riduce i costi di produzione, con conseguente aumento dei ricavi. 

In Italia sono presenti già diversi esperimenti in tal senso, a conferma del fatto che la trasformazione è possibile e, soprattutto, conveniente.

Campo Baeza firma la nuova residenza Cala House

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Non smette mai di lasciarci a bocca aperta la folgorante poetica di Alberto Campo Baeza, con le sue geometrie irriducibili e la sua razionale perfezione, incarnata in volumi semplici ma sorprendenti, intagliati magistralmente e sempre in grado di arricchire il contesto. Non fa eccezione la “Cala House”, appena terminata a seguito di un progetto del 2012, inserita nel paesaggio urbano a est di Madrid. Il volume bianco puro è posizionato su un terreno in pendenza e dall’ultimo piano si può godere il panorama della capitale spagnola, che incontra all'orizzonte la catena montuosa occidentale.

STAIR HOUSE: LA CASA PROGETTATA INTORNO ALLA SCALA

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Cala House: il progetto di Campo Baeza

La residenza si presenta come un volume puro e candido all’esterno, nella migliore tradizione di Campo Baeza, ma la vera innovazione è racchiusa tra le sue mura.

La richiesta, nel rispetto della normativa spagnola per le costruzioni, era quella di partire da una pianta quadrata, di 12 metri per lato. La pianta è stata poi divisa in quattro moduli, ciascuno di 6 metri per lato: seguendo questa trama, i piani si innalzano e si rincorrono in altezza, riconducendosi ad un semplicissimo schema elicoidale. Gli spazi sono tutti a doppia altezza e intersecati l’uno con l’altro, e seguono sempre lo stesso schema.

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L’ispirazione proviene, ovviamente, dalla soluzione spaziale inventata da Adolf Loos nel primo decennio del Novecento, sperimentata nella costruzione di residenze come Villa Steiner e Casa Scheu: il Raumplan. Le analogie sono evidenti, tanto da valere alla villa di Campo Baeza il soprannome di Raumplan House.

Il risultato raggiunto, una concatenazione elicoidale di spazi uniti tra loro a due a due da collegamenti verticali, conduce il visitatore a un’esperienza spaziale formata dal susseguirsi di tre diagonali che salgono, seguendo una spirale. Questo spiega il concetto dei progettisti stessi, che affermano “2+2+2 is much more than 6!”.

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Strategie bioclimatiche e spazi interni

L’estetica della Cala House si presenta contemporanea e lineare, e la semplicità dell’esterno viene ripresa anche all’interno: gli spazi sono ariosi, disposti per favorire la ventilazione e l’illuminazione naturale e dotati di ampie aperture, che contribuiscono allo scopo. 

Le aree comuni della casa di Campo Baeza sono posizionate ai piani superiori, per favorire la comunicazione con la copertura verde, trattata con essenze adatte al clima del luogo, come gelsomino e vite, che provvede ad un controllo della temperatura interna e favorisce il raffrescamento.

Lo spazio esterno è completato da una piscina posizionata su un basamento, nella parte discendente del lotto.

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La struttura lignea tridimensionale della libreria-biblioteca Conarte di Anagrama

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Lo stereotipo del topo di biblioteca, che immaginiamo passi il tempo a studiare e a divorare libri tra vecchi scaffali polverosi, potrebbe essere messo in discussione: lo studio messicano Anagrama ha realizzato una libreria con annesso spazio di lettura decisamente particolare a Monterey, in Messico. 

Il lavoro è stato commissionato da Conarte, il locale consiglio per lo sviluppo della cultura e dell’arte, che ha come obiettivo quello di proteggere, promuovere e stimolare l’espressione artistica, supportando e sostenendo la conservazione e l’arricchimento della cultura del luogo.

THE PINCH: SOPRA PARCO GIOCHI, SOTTO BIBLIOTECA

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Questo senso di protezione è simbolicamente espresso dalla proposta progettuale di Anagrama che, in collaborazione con il team di Artiplano, specializzato in design d’interni e nella realizzazione e l'allestimento di spazi commerciali, ha realizzato un guscio ligneo che avvolge il lettore creando uno spazio singolare sia dal punto di vista architettonico che dell’esperienza di lettura: lo scopo è di fornire uno spazio del tutto personale, libero da ogni distrazione.

Il design della struttura in legno di pino, progettata ovviamente anche per soddisfare la funzione ordinaria degli scaffali di una libreria, avvolge l’intero ambiente, evocando una sensazione di distacco dal mondo esterno: lo spazio che ne risulta è dedicato esclusivamente al lettore e ai volumi che circondano affinché l’esperienza di lettura risulti straordinaria.

Oltre ad alloggiare numerose pubblicazioni in modo ordinato ed equilibrato, la struttura, autoportante e indipendente dalle murature, simula una cupola, giocando con gli effetti della prospettiva, dell’illuminazione e di illusioni ottiche.

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Al centro della stanza una gradinata, cosparsa di cuscini, è rifinita con un gradiente di colore sulle tonalità del verde acqua che guida il visitatore dal basso verso l’alto e attribuisce all’ambiente una maggiore profondità: il semicerchio illuminato sul fondo della stanza simula il punto di fuga della struttura lignea, creando un perfetto equilibrio tra colore e prospettiva mentre la stessa forma del manufatto distorce la percezione del visitatore dandogli una sensazione di movimento.

La scelta del legno, oltre ad offrire un elevato valore estetico-formale e a soddisfare sia le esigenze tecnologiche che le caratteristiche di un ambiente emozionante, caldo e confortevole, è senza dubbio valida considerando i numerosi aspetti ecologici ad esso legati. In legno sono anche gli altri arredi della libreria: il grande bancone espositivo nella lobby e le mensole in MDF, tutti rifiniti in bianco.

La libreria-biblioteca Conarte, sebbene di dimensioni ridotte e caratterizzata da un disegno pulito ed essenziale, risulta molto accogliente: le cose sembrano mettersi certamente meglio per i topi di biblioteca. 

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La Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese presto realtà

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Il progetto per il completamento della Ciclovia dell’Acquedotto Puglieseè stato introdotto nella Legge di Stabilità 2016, e questo porterà finalmente alla realizzazione di questa passeggiata verde, in tutto il suo percorso che si snoda dalle dalle fonti del massiccio del Cervialto, in Irpinia, fino ad arrivare a Santa Maria di Leuca, attraverso una “Via Verde” costituita da uno straordinario percorso che offre al visitatore, a piedi e a pedali, colori e profumi unici. Un primo tratto della Ciclovia dell’Acquedottoè già stato completato: si tratta dei 10 km che vanno da Ceglie Messapica a Figazzano.

il progetto del Grab: 44 KM ciclabili sul raccordo di di Roma

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Con i suoi 244 km di lunghezza (3000 km comprese le diramazioni) il “Canale Principale” ovvero l’acquedotto del Sele Calore è il più grande del mondo, e potrebbe presto diventare una delle vie verdi più belle di tutta Europa.

Una fitta rete di strade, tratturi, parchi, riserve, viuzze sterrate di campagna, strade di manutenzione di canali e acquedotti, zone pedonali e strade comunali permette un’esplorazione lenta e dolce del paesaggio naturale, lontano dalle vie trafficate e inquinate ad alta percorrenza: esse vengono dedicate ad un traffico veicolare lento, rispettoso di pedoni e ciclisti, ed in grado di garantire la loro sicurezza; fondamentale è la segnaletica che può creare continuità tra i percorsi per permettere a tutti una facile leggibilità.

Per l’orientamento orografico del terreno, il leggero dislivello del percorso dell’Acquedotto, combinato con le condizioni climatiche eccezionali, può rappresentare un vantaggio competitivo straordinario: da tempo i fiumi del nord Europa vengono utilizzati per attrarre milioni di turisti in bicicletta, con i 300 km della ciclovia del Danubio che attraversano l’Austria generano ogni anno 71,8 milioni di euro di indotto per il tessuto economico locale, o considerando ciascun chilometro della ciclovia della Loira genera ogni anno 37 mila euro di indotto per l’economia locale.

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La proposta di progetto messa a punto da FIAB (Federazione Italiana Amici Bicicletta) Puglia prevede che le vie verdi dell’acquedotto siano realizzate attraverso la messa a punto di un sistema di mobilità integrato, che presenti particolare attenzione ad alcune caratteristiche:

  • Realizzazione delle infrastrutture per la ciclabilità e la sicurezza, per la fruizione di percorsi protetti da parte dei visitatori;
  • Realizzazione di segnaletica per e nelle Vie Verdi, per l’indicazione dei percorsi e la descrizione dei siti di interesse naturalistico;
  • Valorizzazione dell’Acquedotto all’insegna dell’intermodalità, favorendo gli scambi in particolare con le varie stazioni ferroviarie;
  • Integrazione tra turismo rurale e cicloturismo lungo la via dell’acquedotto, per permettere un’offerta integrata favorevole economicamente alle attività che aderiranno all’iniziativa.

Alcune proposte di itinerario sono state già elaborate da parte dell’associazione, offrendo un ricco ventaglio corrispondente alla diversità di paesaggi presenti in Puglia: l’idioma architettonico e paesaggistico della Murgia dei Trulli, La puglia Sveva di Federico II, Percorsi dedicati al paesaggio agrario e ai prodotti agroalimentari tipici, così come percorsi specifici dedicati alla vegetazione locale.

Questo progetto è stato condotto da FIAB (Federazione Italiana Amici Bicicletta) Puglia dapprima sotto forma di proposta, e raccordato al progetto di Aquedotto Pugliese, è ora stato inserito nella Legge di Stabilità 2016: auspichiamo una rapida realizzazione dello stesso, in modo da renderlo fruibile a breve sia per i visitatori che per le persone del luogo. È indubbio che tale progetto favorirebbe lo sviluppo di un turismo sostenibile pugliese in grado di rifuggere dallo sfruttamento intensivo e indistinto di un numero limitato di siti snaturati e inquinati da flussi turistici di massa, per realizzare quella tutela e la valorizzazione di una rete viaria secondaria che possa consentire al turista attento e rispettoso la possibilità di raggiungere luoghi di grande interesse naturalistico, archeologico, storico e enogastronomico.

La durezza dell’acqua in Italia e i benefici degli addolcitori

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Per durezza dell’acqua si intende la concentrazione di sali quali carbonato di calcio [CaCO3] e solfato di magnesio [MgSO4] presenti in essa. Acque con un’elevata presenza di sali sono dette dure, al contrario, tenere. Gli addolcitori sono apparecchi progettati per addolcire l’acqua, cioè diminuirne la durezza.

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Misurare e valutare la durezza dell’acqua

La durezza dell’acqua intesa come somma del contenuto di carbonato di calcio e solfato di magnesio si misura generalmente in gradi francesi (°F), dove 1 grado di durezza francese equivale a 10 mg/l di CaCO3, ovvero 10 milligrammi di carbonato di calcio per litro d’acqua.  

Non c’è ancora un criterio di misura riconosciuto universalmente e in molti misurano la durezza dell’acqua anche in gradi tedeschi (°D), considerando il contenuto di ossido di calcio anziché di carbonato. Un grado di durezza tedesca equivale a 10 mg/l di CaO (ossido di calcio).

L’equivalenza tra le due unità di misura è la seguente:

1 grado di durezza francese (°F) = 0,56 gradi di durezza tedesca (°D)

Non esiste un minimo di legge per la durezza dell’acqua, ma è preferibile che questa rientri tra i 15 e i 50°F, per via della variazione del gusto dell’acqua superati questi valori.

A seconda della durezza le acque si dividono in dolci, medie e dure (prima, seconda e terza classe).

1a classe < 15°F acqua dolce
2a classe > 15°F e < 25°F acqua media 
3a classe > 25°F acqua dura

La durezza dell’acqua in Italia

Per conoscere la durezza dell’acqua della propria zonaè possibile riferirsi al sito Assocasa Federchimica dove, inserendo i dati relativi alla propria provincia e comune, vengono restituite le informazioni sulla durezza minima, massima e media dell’acqua del comune.

In generale per le regioni d’Italia vale l’elenco seguente: 

  • Acqua dolce o quasi dolce: Friuli, Sardegna e Umbria
  • Acqua media: Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Trentino, Veneto, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata
  • Acqua dura: Lombardia, Toscana, Lazio, Calabria e Sicilia
  • Acqua molto dura: Emilia Romagna, Marche

Volendo essere certi della quantità di calcare presente nell’acqua di casa, la si può anche testare con cartine tornasole: delle striscette reagenti che si vendono in farmacia.

Cosa sono e come funzionano gli addolcitori

Per addolcire l’acqua è possibile servirsi di addolcitori, degli apparecchi atti a diminuirne la durezza riducendo la quantità di sali in essa presenti.

Gli addolcitori più diffusi oggi funzionano con delle resine a scambio ionico che hanno la peculiarità di contenere una parte che è in equilibrio chimico tra la resina stessa e gli ioni disciolti nell'acqua.

Accade quindi che quando l’acqua dura attraversa una resina, il calcio ed il magnesio presenti nell’acqua vengono trattenuti dalla resina, che a sua volta rilascia il sodio (Na) nell’acqua.

R-Na + Ca (schema della resina in forma sodio a contatto con il calcio del’acqua)

R-Ca + Na (la resina, dopo il contatto con l’acqua si “prende” il calcio e rilascia il sodio).

Questo processo per cui la resina “prende” il calcio ed il magnesio dell’acqua non dura all’infinito e si arriva ad un punto in cui la resina si definisce esaurita, poiché non riesce più ad assorbire i sali. Si deve quindi attuare il processo di rigenerazione dell’acqua dell’addolcitore utilizzando dell’acqua in cui è disciolto del cloruro di sodio (sale da cucina). La resina, a contatto con quest’acqua detta di rigenerazione, scarica i sali che aveva assorbito e li trasferisce all’acqua.

L’acqua in uscita dall’addolcitore risulta priva di calcare.

Io Guadagno Ora, con un’esperienza decennale nel settore, è specializzato nell’installazione di addolcitori idromeccanici. 

I benefici di addolcire l’acqua

La durezza dell’acqua, dovuta alla presenza di sali quali solfati, cloruri, nitrati, carbonati o idrogeno-carbonati, può avere diversi risvolti negativi, motivo per cui spesso può essere consigliabile addolcire l’acqua di casa quando troppo dura.

  • Formazione di calcare - quando l’acqua si riscalda o evapora, i sali in essa presenti tendono a precipitare, formando incrostazioni di calcare (carbonato di calcio CaCO3) e causando talvolta la corrosione dei componenti idraulici con conseguenti malfunzionamenti degli elettrodomestici (lavatrici, lavastoviglie, caldaie…) che costringono alla sostituzione dei pezzi.
  • Lavaggio dei capi– con un’acqua dura il lavaggio dei capi viene influenzato negativamente. Accade infatti che gli ioni calcio, combinandosi con le molecole del detergente utilizzato per il lavaggio formino dei composti non solubili in acqua che costringono ad aumentare la quantità di detersivo necessario e, talvolta, depositandosi nelle fibre, causano l’infeltrimento dei tessuti.
  • La cura della persona– È credenza diffusa che la durezza dell’acqua possa togliere brillantezza, elasticità e salute ai capelli. In realtà, uno studio condotto dal dipartimento di dermatologia del PSG Institute of Medical Science and Research di Tamil Nadu, in India, ha dimostrato proprio il contrario. Molti però notano che lavandosi con acqua calda e dura, la pelle, soprattutto se delicata, ne risenta negativamente, inaridendosi.

È importante valutare la durezza dell’acqua anche quando ci si dedica alla cura delle piante, si produce birra artigianale, si possiede un acquario o si cucina e realizza l’impasto per pane o pizza. 


La Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese presto realtà

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Il progetto per il completamento della Ciclovia dell’Acquedotto Puglieseè stato introdotto nella Legge di Stabilità 2016, e questo porterà finalmente alla realizzazione di questa passeggiata verde, in tutto il suo percorso che si snoda dalle dalle fonti del massiccio del Cervialto, in Irpinia, fino ad arrivare a Santa Maria di Leuca, attraverso una “Via Verde” costituita da uno straordinario percorso che offre al visitatore, a piedi e a pedali, colori e profumi unici. Un primo tratto della Ciclovia dell’Acquedottoè già stato completato: si tratta dei 10 km che vanno da Ceglie Messapica a Figazzano.

il progetto del Grab: 44 KM ciclabili sul raccordo di di Roma

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Con i suoi 244 km di lunghezza (3000 km comprese le diramazioni) il “Canale Principale” ovvero l’acquedotto del Sele Calore è il più grande del mondo, e potrebbe presto diventare una delle vie verdi più belle di tutta Europa.

Una fitta rete di strade, tratturi, parchi, riserve, viuzze sterrate di campagna, strade di manutenzione di canali e acquedotti, zone pedonali e strade comunali permette un’esplorazione lenta e dolce del paesaggio naturale, lontano dalle vie trafficate e inquinate ad alta percorrenza: esse vengono dedicate ad un traffico veicolare lento, rispettoso di pedoni e ciclisti, ed in grado di garantire la loro sicurezza; fondamentale è la segnaletica che può creare continuità tra i percorsi per permettere a tutti una facile leggibilità.

Per l’orientamento orografico del terreno, il leggero dislivello del percorso dell’Acquedotto, combinato con le condizioni climatiche eccezionali, può rappresentare un vantaggio competitivo straordinario: da tempo i fiumi del nord Europa vengono utilizzati per attrarre milioni di turisti in bicicletta, con i 300 km della ciclovia del Danubio che attraversano l’Austria generano ogni anno 71,8 milioni di euro di indotto per il tessuto economico locale, o considerando ciascun chilometro della ciclovia della Loira genera ogni anno 37 mila euro di indotto per l’economia locale.

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La proposta di progetto messa a punto da FIAB (Federazione Italiana Amici Bicicletta) Puglia prevede che le vie verdi dell’acquedotto siano realizzate attraverso la messa a punto di un sistema di mobilità integrato, che presenti particolare attenzione ad alcune caratteristiche:

  • Realizzazione delle infrastrutture per la ciclabilità e la sicurezza, per la fruizione di percorsi protetti da parte dei visitatori;
  • Realizzazione di segnaletica per e nelle Vie Verdi, per l’indicazione dei percorsi e la descrizione dei siti di interesse naturalistico;
  • Valorizzazione dell’Acquedotto all’insegna dell’intermodalità, favorendo gli scambi in particolare con le varie stazioni ferroviarie;
  • Integrazione tra turismo rurale e cicloturismo lungo la via dell’acquedotto, per permettere un’offerta integrata favorevole economicamente alle attività che aderiranno all’iniziativa.

Alcune proposte di itinerario sono state già elaborate da parte dell’associazione, offrendo un ricco ventaglio corrispondente alla diversità di paesaggi presenti in Puglia: l’idioma architettonico e paesaggistico della Murgia dei Trulli, La puglia Sveva di Federico II, Percorsi dedicati al paesaggio agrario e ai prodotti agroalimentari tipici, così come percorsi specifici dedicati alla vegetazione locale.

Questo progetto è stato condotto da FIAB (Federazione Italiana Amici Bicicletta) Puglia dapprima sotto forma di proposta, e raccordato al progetto di Aquedotto Pugliese, è ora stato inserito nella Legge di Stabilità 2016: auspichiamo una rapida realizzazione dello stesso, in modo da renderlo fruibile a breve sia per i visitatori che per le persone del luogo. È indubbio che tale progetto favorirebbe lo sviluppo di un turismo sostenibile pugliese in grado di rifuggere dallo sfruttamento intensivo e indistinto di un numero limitato di siti snaturati e inquinati da flussi turistici di massa, per realizzare quella tutela e la valorizzazione di una rete viaria secondaria che possa consentire al turista attento e rispettoso la possibilità di raggiungere luoghi di grande interesse naturalistico, archeologico, storico e enogastronomico.

Wildwood Plaza: tre piazze lignee nel bosco di Uster in Svizzera

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Boschi di latifoglie, colline moreniche e stagni con canneti sono i tre eco-sistemi alle porte della città di Uster, sul canton Zurigo. Ogni scenario ha caratteristiche singolari e atmosfere evocative. In Svizzera, residenti e turisti sono sempre più desiderosi di natura e di emozioni paesaggistiche. Cercano immagini ed esperienze per ritrovare se stessi, ad un passo dalla propria abitazione. Con queste premesse lo Studio Vulkan progetta un intervento poetico, battezzato Wildwood Plaza (piazza della foresta selvaggia), che segue una moderna comprensione e pianificazione dello spazio urbano e del paesaggio.

Percorsi nella natura: PASSEGGIARE SU UN FIUME DI PIETRA

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L'intervento per la Wildwood Plaza consiste in tre piccole piazze pavimentate con legni circolari, che differiscono leggermente per grandezza e altezza. Il resto è dato dalla magia del posto, dai raggi obliqui che oltrepassano le chiome verdi, dalle sfumature di colori e ombre che frammentano gli spazi. Lo scrittore John Fowles descrive tale inafferrabilità:"Il paesaggio forestale sconfigge la lente, la carta, la tela, non può essere catturato. Anche le parole risultano inutili, senza speranza troppo laboriose... gli alberi deformano il tempo o meglio creano una varietà di tempi: qui densi e bruschi, lì, calmi e sinuosi".

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Wildwood Plazaè una passeggiata tortuosa per percepire la natura sensuale, una chiave di accesso al bosco di Uster selvaggio e mutevole. È il nuovo turismo ecosostenibile che vuole ripensare gli spazi naturali con interventi minimi e dolci, per assaporare le stagioni, per spiare tra gli alberi e, in generale, le varie prospettive paesaggistiche grazie a piccole piattaforme privilegiate. La prima fase progettuale è terminata nel 2014. Camminando lentamente nella foresta svizzzera, appaiono a poche centinaia di metri, scenari del tutto diversi: laddove gli alberi erano fitti, qua si torcono e si restringono lasciando spazi aperti. La foresta è simbolo per eccellenza dell'effimero, della crescita e della decadenza, dell'adattamento e della fragilità di un apparato che è vivo e reattivo.

caption: © Robin Winogrond

caption: © Studio Vulkan

Il primo spiazzo circolare è coperto dai faggi con i tronchi argentei e il fogliame leggiadro: ha resistito alle tempeste grazie alla posizione riparata sul versante ovest. Il secondo è un "vuoto in corso" con giovani pionieri in crescita poiché in passato uragani hanno sradicato le specie esposte sulla collina orientale; tale area conserva ancora quell'atmosfera esotica. Il terzo cerchio rappresenta la bizzarra bellezza della deformazione della natura e della sua capacità di adattamento. L'attuale tipografia mostra, infatti, la violenza degli eventi atmosferici che hanno sradicato le superficiali zolle dei noccioleti e sparpagliato ovunque rizomi e radici di vecchi alberi.

Nuovo campus Amazon: riscaldato con il calore di scarto del data center

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È passato quasi un anno e il visionario progetto per il nuovo campus di Amazon sembra ormai prossimo all'inaugurazione. Stiamo parlando di un'idea che inizialmente sembrava impossibile da realizzare ma che oggi sta per diventare realtà: il nuovo campus sarà riscaldato dal data center del grattacielo adiacente. 

IL PROGETTO DEL CAMPUS AMAZON

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Denny Triangle, il nuovo campus di Amazon

I protagonisti di questo progetto sono il nuovo campus Denny Triangle, voluto dal colosso dello shopping online e il Westin Building. Il primo è un complesso costituito da tre biosfere di dimensioni diverse distribuite su una superficie complessiva di 300.000 metri quadri, mentre il secondo è un grattacielo che svetta nello skyline della città di Seattle. È alto ben 34 piani e, al suo interno, ospita un enorme data center, in continua attività e in grado di generare, inconsapevolmente, una grande quantità di energia.

Il calore generato dai computer utilizzati per l'attività quotidiana del centro, infatti, può essere sfruttato per riscaldare l'edificio del campus durante la stagione invernale. In questo modo sarà possibile ridurre notevolmente gli sprechi, diminuendo di fatto la quantità di calore altrimenti necessaria per riscaldare l'edificio e si effettuerà un vero e proprio riciclo energetico. L'energia in eccesso non verrà dissipata nell'ambiente ma verrà riutilizzata e sfruttata appieno.

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Il teleriscaldamento

Il sistema utilizzato per raggiungere l'obiettivo del progetto è un impianto di teleriscaldamento. Il calore del data center, infatti, verrà impiegato per riscaldare l'acqua che sarà trasferita al campus di Amazon. Una volta raffreddata, l'acqua tornerà indietro fino al Westin Building, dove verrà nuovamente portata a temperatura maggiore per essere rimandata ancora una volta all'edificio adiacente.

In termini di risparmio energetico questo intervento dovrebbe permettere al re dello shopping online di risparmiare circa 80.000.000 di kW/h nell'arco di 25 anni. Considerando che Amazon sfrutta quasi 10.000 kW/h all'anno, il risparmio dovrebbe essere decisamente notevole. 

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Nel teleriscaldamento tradizionale il calore è solitamente generato da una centrale di cogenerazione che, a seconda del tipo di combustibile utilizzato per la produzione di energia termica, può essere a gas naturale, a combustibile fossile o a biomasse. In alcuni casi vengono sfruttati, per l'alimentazione della centrale, anche la geotermia e i panelli solari. 

Il calore viene utilizzato per riscaldare un fluido termovettore distribuito all'interno di tubazioni opportunamente isolate e interrate. Il fluido termovettore più utilizzato è l'acqua. L'acqua viene inviata all'edificio da riscaldare quando raggiunge una temperatura di circa 90° C, attraverso le tubazioni di mandata, e torna quando la sua temperatura è scesa a 30°- 60°, attraverso le tubazioni di ritorno. L'acqua che arriva all'edificio può essere utilizzata per il riscaldamento oppure nell'impianto igienico-sanitario.

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Sicuramente, in un clima come quello che caratterizza i nostri tempi, quando qualcuno sembra finalmente essersi accorto di quanto sia importante evitare gli sprechi energetici, non lascia più a bocca aperta pensare ad un sistema in grado di sfruttare il calore che altrimenti verrebbe dissipato nell'aria. E' quanto ammesso anche da Ash Awad, direttore del settore marketing della McKinstry, nonchè ideatore del sistema. La novità del progetto presentato risiede, infatti, non nel recupero del calore, ma nel suo recupero tra edifici diversi con proprietari diversi. Il sistema, infatti, è diventato quasi abituale all'interno della stessa abitazione, ma non aveva mai oltrepassato le mura domestiche. Ora, invece, per la prima volta, è possibile pensare più in grande e capire se si potrà applicare questa tecnologia anche a situazioni di entità maggiore. La speranza è quella di aver aperto un varco, di aver fatto entrare un po' di luce nel tunnel buio dell'eccessivo spreco energetico e di poter allargare sempre di più quel fascio luminoso. La strada è in salita, ma Awad è positivo e, intanto, si gode il meritato successo per l'esperienza condivisa con Amazon.

L'edificio in legno lamellare più alto d’Europa: The Cube

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Nell'analisi dei costi di costruzione di un edificio residenziale la voce di spesa maggiore è la realizzazione della struttura, soprattutto in relazione alle tematiche di manodopera. Ecco perché la ricerca ha spinto sull’utilizzo di materiali prefabbricati in officina e velocemente assemblati in cantiere, come avvenuto nel cantiere di The Cube, l'edificio in legno lamellare realizzato a Londra che si appresta diventare il più alto mai realizzato in Europa con questo materiale.

Grattacieli lignei da record: la Framework tower è il più alto negli uSA

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Quando incrociamo le esigenze legate alla velocità di assemblaggio in cantiere con la sostenibilità il risultato porta ad uno stretto numero di materiali tra cui il legno. Il primo materiale, assieme alla pietra, utilizzato dall’uomo è da qualche anno oggetto di una nuova vita grazie agli sviluppi del legno lamellare.

Hawkins/Brown porta la sperimentazione ad “alti” livelli, realizzando ad Hackney, UK “The Cube”, l’edificio di 33 metri con struttura ibrida in legno lamellare ed acciaio; il più alto d’Europa, vincendo il London Evening Standard New Homes Award per sviluppi di particolare pregio architettonico nel 2015.

Lo schema planimetrico di 6750 mq si articola su una pianta cruciforme ruotata che permette ad ognuno dei 49 appartamenti di godere della vista sul canale limitrofo ad ovest o attraverso il parco ad est.

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Il layout trasforma tradizionale cortile e crea quattro spazi che si affacciano sulla città su punti di vista unici e fornisce la migliore apertura in termini di aerazione e luminosità.

Al piano terra sono stati inoltre ricavati 1190 mq di spazi commerciali che renderanno più dinamica ed attiva quella zona del quartiere.

Il legno lamellare a strati incrociati l'acciaio

Per ottenere l'esclusivo schema cruciforme di The Cube, che ha pavimenti a sbalzo dalla massa principale dell'edificio, HawkinsBrown ha collaborato con specialisti del settore per sviluppare una struttura di legno lamellare a strati incrociati (CLT) e acciaio ibrido costruito attorno ad un nucleo di cemento armato .

Questo tipo di pannelli viene realizzato sovrapponendo in maniera incrociata i singoli strati, incollati per diventare elementi in legno massello di grandi dimensioni. La disposizione incrociata delle lamelle trasversali e longitudinali permette aumentare la resistenza statica e la stabilità del materiale oltre che di ridurre a livelli minimi i tipici rigonfiamenti e ritiri del legno.

Gli elementi del telaio in acciaio sono stati prodotti fuori sede sono stati assemblati in cantiere, riducendo al minimo i tempi di realizzazione. 

I pannelli in legno lamellare a strati incrociati CLT sono poi inseriti nel telaio in acciaio che diventa parte integrante della struttura. La struttura ibrida fa uso intelligente delle migliori proprietà di entrambi i materiali per creare una costruzione leggera, forte e moderna che consente di ottenere emissioni di carbonio molto più basse rispetto ad un telaio equivalente in calcestruzzo.

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I prospetti dell'edificio sono stati rivestiti in doghe di cedro rosso occidentale mentre il mattone nero crea una griglia ortogonale che avvolge l'edificio creando un'armonia visiva con l’area circostante.

The Cube, l'edificio in legno lamellare più alto d'Europa, spinge avanti la ricerca sulla struttura, aprendo il campo della fattibilità economica e delle soluzioni architettoniche alle strutture ibride.

In Giappone, la casa come una tenda nel bosco

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Nasu si trova nella prefettura Tochigi, in Giappone, una località estiva molto conosciuta caratterizzata da fitte foreste di diverse specie arboree. Lo studio Hiroshi Nakamura & NAP  è incaricato di costruire l'abitazione per una coppia amante della natura e dedita nei weekend all'agricoltura biologica. Il loro desiderio era di preservare il più possibile l'ambiente naturale, gli alberi snelli e alti di cui godere le stagioni, appendere amache e curare un piccolo giardino. Da qui l'idea dei progettisti di evitare costruzioni invasive a larga scala, realizzando diverse stanze sulle superfici in pendenza ricucite per ottenere un'unica abitazione. La forma del tetto è primitiva, le stanze si concludono con "cappelli a punta" per catturare la luce diretta ma permettono la crescita radiale dei rami. Tale sistema riduce, inoltre, i costi di riscaldamento e raffredamento degli ambienti. Dall'esterno spuntano tra i tronchi piccole case, mentre all'interno si coglie la coesione, la raffinatezza progettuale e gli spazi luminosi e confortevoli.

In copertina: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

LE TENDE DEI NOMADI EMBLEMA DELL’ABITARE TEMPORANEO

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caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

Estesa su una superficie di circa 156 mq, la casa ricorda le tende dei nativi americani e del popolo Jomon (antichi giapponesi), con volumi ridotti ad un terzo: le altezze variano così da un massimo di 8 m agli standard minimi di 2,6 m. La famiglia può riunirsi attorno al tavolo centrale o al camino, seduti lungo i muretti uno di fronte all'altro: il legame è rafforzato dall'architettura degli interni e ricorda le case dei nostri nonni. Durante le notti scure, la luna illumina gli interni finestrati, flebili si sentono gli animali selvatici e i tetti appuntiti tutelano dall'umidità, dagli insetti e dalla neve.

I bianchi soffitti e i pannelli di legno chiaro rendono le stanze luminose e calde, finestre triangolari opportunamente posizionate riescono a catturare la luce anche se l'abitazione giace sotto il fitto baldacchino di alberi.

"Abbiamo eliminato lo spazio non necessario", spiega il progettista giapponese, "è un dato di fatto, la gente non può stare a ridosso delle mura, così abbiamo semplicemente trasformato gli spazi in zona notte e salotto."

caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

caption: © Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc

caption: © Sin: Koji Fuji - Nacasa & Partners Inc; Dx:Hiroshi Nakamura & NAP

La bellezza dei doni della natura è visibile nelle vetrate delle stanze: all´interno dei divisori, tra lastre di 4 mm, sono pressati fiori selvatici. Le viole, gli anemoni e i gerani sono preservati dalla pellicola ultravioletta, in modo da non decolorarsi con il tempo e con l'esposizione solare.

I pavimenti riscaldati, il camino e i doppi vetri garantiscono spazi ermeticamente isolati: in inverno l'aria calda della parte superiore viene aspirata e espulsa a livello del pavimento. In estate, invece, l'aria calda fuoriesce attraverso un'apertura laterale.

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caption: © Hiroshi Nakamura & NAP

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