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Channel: Architettura Ecosostenibile: bioarchitettura, design e sostenibilità
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Progresso digitale: quale futuro per la professione dell'architetto?

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Le nostre vite, oggi, sono estremamente diverse da quelle di un secolo fa. Solo una decina di anni fa, l’umanità è stata stravolta dal progresso digitale e dalle tecnologie "smart". I tablet e gli smartphone sarebbero stati fantascienza un decennio fa, ma oggi con un solo tocco riusciamo a controllare e a gestire gli spazi all’interno delle nostre case, le nostre auto, ecc. Nel prossimo secolo molto probabilmente, questo cambiamento sarà esteso anche a livello territoriale e ambientale, in modo da permettere all’uomo di essere sempre più parte dell’ambiente che lo circonda. Quale futuro aspetta allora la professione dell'architetto?

In copertina: Echoviren, installazione architettonica stampata in 3D dello studio Smith|Allen per Project 387 a Gualala (California). 

LE STAMPANTI 3D E IL MONDO DEGLI ARTIGIANI DIGITALI

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Nella cultura popolare, la città del futuro viene immaginata come una realtà fantastica, ma resa allo stesso tempo terrificante dall’insieme di quelle eccezionali tecnologie che le domineranno.

Uno studio dell’università di Oxford, a cura dei proff. Frey e Osborne (Oxford Martin School e Citi GPS) valuta il possibile impatto delle nuove tecnologie e delle scoperte in ambito tecnologico nel mondo del lavoro. La trasformazione digitale offre indubbiamente molte opportunità ma anche molti rischi.

La professione dell'architetto tra 100 anni

Molti architetti - come Vincent Callebaut - e creativi, da qualche anno hanno iniziato ad esprimersi attraverso render e disegni suggestivi per trasmetterci la loro visione futuristica. Secondo alcuni saremo in grado di andare in vacanza portando con noi la nostra casa, che si potrà spostare tramite enormi droni, secondo altri, invece di concorrere a realizzare grattacieli alti oltre un miglio, ricercheremo nel sottosuolo e nei fondali marini nuovi spazi per costruire la nostra dimora. Le persone arriveranno a scegliere l’Earth-Scrapers che più si accosta alle proprie esigenze arrivando ad abitare oltre 25 piani sottoterra.

In rete si possono trovare riferimenti a case sott’acqua in vendita a Dubai, ma nel futuro, queste saranno solamente luoghi comuni che verranno surclassati inesorabilmente da quelle che diventeranno le nuove città sottomarine, equipaggiate con pelli protettive ultra tecnologiche che assimilano energia pulita dagli elementi circostanti.

caption: © REX/Shutterstock

caption: © REX/Shutterstock

La stampa 3D per l'architettura

La maggior parte delle attrezzature, degli oggetti e degli strumenti che l'architetto utilizzerà per la professione nel mondo del futuro sarà stampata digitalmente; infatti, quello che avrà uno sviluppo oltre ogni misura sarà la capacità di produrre autonomamente, con stampanti 3D, gli oggetti che ci servono. Ad oggi, dopo il boom delle prime vendite, questa tecnologia è utilizzata per la cosiddetta progettazione scaricabile. I possessori di stampanti 3D, frequentemente, utilizzano queste macchine per stampare modellini che si trova in rete, spesso fatti da altri designer, giusto per “provare a stampare qualcosa”. Nel futuro queste ci permetteranno di stampare intere abitazioni, moduli abitativi di emergenza, arredi, accessori. Tutto verrà integrato a sistemi domotici che ci permetteranno, tramite un solo tocco, di cambiare modello o colore, di parte, o dell’oggetto desiderato.

caption: Lloyd Alter/CC BY 2.0

Seppur in maniera relativamente limitata, le macchine a controllo numerico, per oltre 30 anni, ci hanno permesso di realizzare design particolari, dagli oggetti/arredi alle finiture. Queste, con il passare del tempo, hanno annunciato l’era della produzione digitale, dove l’input umano è limitato alla redazione di un disegno a computer che viene poi convertito automaticamente in un oggetto fisico dalla macchina utensile.

caption: Lloyd Alter/ Instant kitchen/CC BY 2.0

Il progresso digitale e il passaggio dalle macchine utensili a controllo umano a quelle con controllo computerizzato avrà un impatto ambientale a livello mondiale? L’automazione ha sempre avuto un costo energetico maggiore rispetto a quello della meccanizzazione. E la storia ha insegnato quanto il passaggio dalla movimentazione animale a quella che utilizza combustibile fossile, ha inciso sull'inquinamento dell’intero pianeta. Un paragone un po' azzardato ma che può rendere l'idea. 

Sicuramente queste nuove macchine, maggiormente energivore rispetto alle precedenti, compenseranno il loro consumo di risorse attraverso il maggiore livello di efficienza, l’incremento di produttività e il considerevole risparmio di materie prime che viaggerà parallelamente alla quasi completa eliminazione degli scarti.

Architetti o computational designers?

Secondo Arturo Tedeschi - architetto, ricercatore, computational designer e pioniere dell’architettura parametrica - nei prossimi decenni, il ruolo dell’architetto verrà completamente stravolto. Molte università stanno - poco per volta - aggiornando la propria offerta formativa per cercare di arrivare a formare i professionisti di domani che saranno inevitabilmente un connubio tra architetti e computational designer. La figura classica dell’architetto rimarrà, ma diventerà molto più di nicchia. Per questo finchè possibile dobbiamo prepararci, formarci e utilizzare al meglio tutti questi strumenti di nuova generazione che un domani saranno probabilmente la quotidianità.

La Digital Fabbrication ad oggi è già stata impiegata in ambito aerospaziale (Rolls-Royce ha stampato in 3D un componente incorporato nel motore di un Aereo Trent XWB-97 del diametro di 1.5 metri e dello spessore di 50 cm) in campo edilizio, uno studio inglese già realizza abitazioni con elementi lignei ritagliati da macchine a controllo numerico tenendo conto anche dei fattori climatici e ambientali, e nel campo del design con accessori come vestiti e scarpe interamente stampati in 3D (Ilabo by Ross Lovegrove e Arturo Tedeschi e Flames by Zaha Hadid)

caption: Il più grande elemento per volare mai stampato in 3D - Rolls Royce

caption: Facit Homes Limited © 2016

caption: Ilabo by Ross Lovegrove

caption: Flames by Zaha Hadid

La potenza della condivisione

Per certi design il tempo di studio risulta più elevato rispetto a quello necessario per altri, dipende dal campo di applicazione e dal risultato a cui si vuole raggiungere. La cosa positiva di questa rivoluzione digitale, a mio parere, consiste nella condivisione. Le informazioni e i progetti si condivideranno alla stessa velocità con la quale oggi si copia un mp3 sul proprio dispositivo portatile, facendoci dimenticare i vecchi tempi del design scaricabile e dell’era della scarsa ed inefficiente produttività digitale.


Promuoviamo il paesaggio Italiano

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In occasione del Convegno organizzato dal CNG,  tenutosi il 16 febbraio 2016 presso Castel Volturno (Caserta) avente come tematica Il Paesaggio Italiano, si è discusso sulla tutela e valorizzazione del paesaggio e la promozione delle bellezze naturali. Il concetto di paesaggio, le problematiche inerenti la sua tutela e valorizzazione, il campo d’azione e le fonti disponibili ancora oggi non sono ben chiare e spesso finiscono con l’essere in contrasto tra di loro.

PAESAGGIO MONTANO: LE FOTOGRAFIE DI ETTORE MONI

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Cos’è il paesaggio?

L'art. 131, comma 1 del DLgs n. 42 del 22 gennaio 2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio riporta la seguente definizione: "Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni". In termini comuni potremmo dire che esso non è altro che l’insieme degli elementi naturali ed artificiali caratteristici di un territorio.

Perché è importante studiare il paesaggio?

Capire le forme del paesaggio, la distribuzione dei suoi componenti e il rapporto che esiste tra loro equivale a dare un significato alle forme naturali e vedere come l'azione dell'uomo ha modificato l'ambiente naturale. Studiare il paesaggio porta a comprendere perché il territorio ha l'aspetto che noi oggi osserviamo. Ovviamente i fattori che ne hanno influenzato la forma sono molteplici: struttura geologica, regime idrico, copertura vegetale, clima.

Purtroppo la tutela e la valorizzazione di un paesaggio non sono annoverabili nella famiglia delle scienze esatte in quanto, a differenza di altre discipline, non è possibile organizzare un laboratorio, andare sul campo, prelevare un campione e svolgere un esperimento atto ad osservare e misurare gli effetti e verificarne al riproducibilità. Ecco perché la città, il territorio ed il paesaggio non sono fenomeni isolabili né nello spazio né nel tempo.

Tutela, valorizzazione e trasformazione del paesaggio

L’innovazione tecnologica ed il progresso scientifico degli ultimi decenni, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, hanno radicalmente trasformato il modo in cui lavoriamo, trascorriamo il tempo libero o altro. A tale trasformazione hanno partecipato tutte le componenti: economiche, politiche, amministrative, trasporti, disponibilità di risorse, etc. La velocità con cui si è attinto e con cui sono state utilizzate le risorse non rinnovabili (suolo, acqua, petrolio e così via) ne ha comportato la scarsità, con il conseguente pericolo di esaurimento definito in un arco di tempo ormai limitato. È dalla riflessione su tutto ciò che non possiamo trascurare la questione spazio quale risorsa finita, e quindi, la necessità di ri-usare ed ottimizzare l’uso del patrimonio insediativo già costruito, evitando di consumare ulteriore spazio e rispettando le istanze dello sviluppo sostenibile. Allo stato attuale la popolazione mondiale consuma in un anno una quantità di risorse la cui rigenerazione richiede circa sedici mesi (quindi ogni anno ci indebitiamo di quattro mesi con l’ambiente). I dati sono pressoché catastrofici e l’obiettivo sarebbe, quanto e se possibile, di minimizzare il segno dell’uomo sui paesaggi naturali al fine di preservarne la naturalità.

Cercare di sbrogliare questa complicata situazione generata da industrializzazione, consumismo e capitalismo finanziario ed economico, appare assai difficile. Ma con un impegno serio e costante da parte di bravi progettisti qualcosa può mutare. Tra le abilità richieste vi è sicuramente quella di preservare e valorizzare le specificità dei diversi territori, senza alterare l’ambiente nella sua struttura con modalità irreversibili, limitando al massimo l’impronta ecologica. Realizzare luoghi nei quali il cittadino, ossia l’uomo, a sua volta, sia capace di orientarsi e riconoscersi, luoghi ai quali sente di appartenere perché in essi ritrova la propria memoria, la propria storia, la propria cultura e la propria identità. Quindi sviluppo sostenibile e tutela e valorizzazione del paesaggio non sono concetti alienabili e devono camminare di pari passo, attraverso l’attivazione di un processo di avvicinamento e partecipazione della comunità alle scelte che si assumono, che spesso e volentieri sono condizionate da fattori esterni quali la politica.

Nel nostro bel paese sicuramente la L. 45/85 (ex condono edilizio) ha contribuito ad alimentare il divario impellente tra qualità e quantità architettonica e/o paesaggistica. Quindi la responsabilità dello scenario attuale non è esclusiva dei “cattivi progettisti” o dei “cattivi cittadini” in quanto le trasformazioni del paesaggio sono la conseguenza anche di scelte amministrativo-politiche e della pressione di gruppi di interesse che spingono verso una determinata direzione piuttosto che un’altra. Ma mettendo da parte per un momento l’abusivismo residenziale, la pianificazione e la costruzione di nuove strutture non sono sempre la scelta migliore, in quanto la ri-qualificazione urbano-territoriale attualmente prevale di gran lunga sugli aspetti quantitativi.

In conclusione con un’attenta pianificazione, un’attenta gestione e un attento contributo da parte di ogni singolo cittadino possiamo ridurre la traccia umana e tutelare e valorizzare il paesaggio, ove sia ancora possibile.

Progettare per gli ipersensibili: il centro terapeutico per autismo

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Il centro NewYork Presbyterian ha deciso di convertire una vecchia palestra a centro per l'autismo e lo sviluppo del cervello (CADB) dove progettare spazi ambulatoriali per intervenire precocemente sui bambini autistici dai 18 mesi e diagnosticare la patologia fino all'età adulta.

Il progetto nasce dalla proficua collaborazione tra personale medico e lo studio DaSilva Architects che, per la prima volta, si è dovuto confrontare con questa tipologia di utenti ipersensibili.

ARCHITETTURA PER BAMBINI: L'APPROCCIO PEDAGOGICO PER UN CENTRO ACCOGLIENZA

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Dal punto di vista funzionale era necessario dotare l'edificio, adibito a vecchia palestra sgangherata, di una reception e di ambulatori per la valutazione di diagnosi e cura dei pazienti del centro terapeutico. Analizzando i casi di autismo in letteratura, studi hanno provato che a chi è stata diagnosticata questa patologia è più sensibile di altri alla vista, al suono e alle sensazioni derivate dall’ambiente che li circonda

L’ipersensibilità dimostrata da questi soggetti rende la progettazione delle strutture una sfida per gli architetti; una formazione preventiva sul tema è stata necessaria per poter immaginare un ambiente curativo confortevole e adattare un luogo già costruito a persone condizionabili da ciò che le circonda.

L’edificio originario, risalente al 1924, il Ginnasio Rogers, era una struttura costituita da muri in mattoni e grandi finestre con inferriate.

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Il centro terapeutico come un villaggio in cui sentirsi a casa

L’interno della palestra è stato ripensato adottando un approccio più da urbanista che da architetto: la casa di cura è stata concepita come un “villaggio del trattamento”, colorata e vivace. Gli spazi per la consulenza e le sale per i trattamenti del centro terapeutico sono stati strutturati come una serie di piccoli padiglioni luminosi all’interno dello spazio unico; gli ambienti sono connessi tra loro tramite percorsi, interrotti da spazi vuoti, come piccole piazze.

Ricreare un ambiente familiare e quanto più distante dal classico modello di ambulatorio medico è stata una precisa indicazione da parte della committenza. Si è tentato di evitare di progettare quella spiacevole sequenza di porte anonime e indistinguibili tipiche degli ambienti ospedalieri. I progettisti hanno voluto ricreare, seguendo la logica del “villaggio Disney”, "un’architettura di comunicazione più che di spazio", come riporta Robert Venturi nel celebre Learning from Las Vegas, dando vita a una piccola cittadella ricca di elementi riconoscibili (la strada, le panchine, i parchi) per gli ipersensibili.

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Ogni stanza, in cui è prevista l’attività di analisi del centro, è stata progettata in modo flessibile per essere utilizzata da bambini, adolescenti e adulti. I volumi in cui si svolgono le terapie rivolte agli ipersensibili rispecchiano tre diverse figure tridimensionali, con tetti, porte e finestre che si aprono a zone di circolazione comune all'interno del più ampio spazio giorno illuminato. Colore, dimensione, forma, struttura e luce sono elementi giocati magistralmente per creare spazi adatti ai pazienti affetti da autismo e alle loro famiglie.

A soffitto è stato ricreato un cielo artificiale con nuvole e tutto l’interno ricrea un paesaggio esterno, quasi un "giardino della guarigione", comprensivo di parchi, panchine e giardini.

L'acustica, la luce e la forma nel progetto

Il segreto della riuscita del progetto è stato l'attenzione a tre aspetti: l'acustica, la luce e la forma, con un uso sapiente dei materiali.

Dal punto di vista acustico sono stati escogitati tanti piccoli trucchi per rendere l’ambiente più confortevole. Sono state accuratamente eliminate le luci fluorescenti, che emanano un fastidioso ronzio e solitamente agitano molto i soggetti affetti da autismo.
Per tentare di attutire l’effetto di disturbo provocato dal rumore dei passi e distrazioni esterne, DaSilva Architects hanno inserito materiali che rendessero gli ambienti insonorizzati, utilizzando moquette e pannelli fonoassorbenti alle pareti. Nelle zone bagno, dove la moquette sarebbe stata antigienica, sono stati posati pavimenti in gomma morbida per uniformarsi agli altri locali.

Si è intervenuto gli impianti, in modo che non influissero negativamente sull’involucro insonorizzato: i progettisti hanno deciso di trasferire condizionatori, caldaie e ventilazione in una capanna collegata all’edificio, in modo da isolare la casa di cura dai rumori delle macchine.

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Nelle aree di passaggio, le “piazzette”, create tra un padiglione e l’altro, gli architetti hanno proposto pavimentazioni in sughero per smorzare il rumore del calpestio.

L’illuminazione, importante in qualsiasi spazio, per i pazienti ipersensibili del CADB può diventare motivo di malessere. Per alcune persone affette da autismo, infatti, la luce è un problema di tono: non può essere troppo calda, troppo fredda, troppo luminosa, troppo debole, troppo dura, troppo artificiale, o addirittura troppo naturale. Ha bisogno di essere ben bilanciata.

Per il centro terapeutico CADB, DaSilva Architects ha scelto di illuminare lo spazio con una miscela di fonti naturali e artificiali. Anche se la letteratura mette in guardia dalla troppa luce naturale in ambienti dedicati all'autismo, per non fornire distrazioni all’utente, le enormi finestre dell’edificio del Rogers Gymnasium, tuttavia, si trovavano più in alto rispetto al piano dell’osservatore, e questo non disturba gli utenti, beneficiando di una luce non diretta senza distrarre i pazienti con ciò che accade al di fuori. Per l'illuminazione artificiale, DaSilva Architects ha deciso di evitare l'uso totale di luci d’ambiente come quelle che si trovano in molti uffici, preferendo un variegato mix di fonti, installando sia plafoniere che fari che illuminano lateralmente. Tutte queste lampade possono essere oscurate nel caso in cui un paziente ne sia infastidito. Il risultato è un centro più simile a un salotto che a una casa di cura.

Proprio come succede per il suono, il rumore e la luce, molti di questi utenti sono ipersensibili alla forma degli oggetti. Un paziente potrebbe essere attratto da superfici scivolose, lucide, mentre un altro potrebbe trovare una superficie leggermente abrasiva insopportabile al tatto. Per contemplare il più ampio ventaglio di possibilità, la struttura del CADB presenta tessuti e materiali naturali, come sughero, gomma, porcellana, e lana. 

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Il centro terapeutico CADB dimostra che se non si possono eliminare i fastidi che l'ambiente provoca nella mente delle persone affette da autismo, almeno, concentrando la propria attenzione su chi fruirà ciò che si progetta, si può provare a rendere lo spazio di cura più confortevole agli ipersensibili.

Interventi per il risparmio energetico: come trovare la ditta più adatta

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Contenere i consumi per risparmiare energia e denaro e ridurre la nostra impronta ecologica non è più un miraggio lontano. Che si ricorra a impianti all’avanguardia o al verde per il contenimento delle dispersioni, molti sono gli interventi e le soluzioni che contribuiscono al risparmio energetico tra le mura domestiche e gli incentivi per finanziarli ricorrendo alla ditta più adatta.

In copertina: Housing, green background, di Beeboys via Shutterstock.

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A richiedere a gran voce un aiuto concreto per fronteggiare i consumi tra le mura domestiche sono ovviamente i cittadini, in particolare quelli delle fasce medio basse, più colpiti in caso di rincari in bolletta. Secondo Norbert Lantschner, presidente della Fondazione ClimAbita e responsabile dell’area Green Habitat al Saie: “Le famiglie italiane, stressate dai costi sempre più elevati dell’energia, sono alla ricerca di sistemi che diano l’opportunità di ridurre le voci di spesa per riscaldare, raffreddare e illuminare gli appartamenti”. Che si pensi ad un impianto che ci aiuti nel risparmio, o all’impiego del verde, quale modo migliore di ridurre la spesa energetica se non quella di ricorrere a interventi progettuali che seguano criteri sostenibili? Quale strategia adottare per rendere più efficiente la nostra abitazione?

Le risposte sono molteplici, perché dipende in primis dallo stato in cui versa l’immobile e dai suoi consumi. Se la nostra casa è davvero ridotta a un colabrodo, per ottenere un vero risparmio energetico futuro è probabile che si debba chiedere l'intervento di una ditta specializzata per intervenire su molti fronti, a partire dalla coibentazione delle pareti domestiche fino alla sostituzione degli infissi con serramenti più performanti.

Il contributo del verde per il risparmio energetico

Riscaldare la casa in inverno e raffrescarla d’estate. Questi sono alcuni dei bisogni più comuni per una vita confortevole tra le mura domestiche. Richiesta ulteriore degli inquilini di un immobile sarà quella di ottenere tutti i benefici di una casa che risponda alle variazioni climatiche esterne a costi ridotti e senza incorrere in costosi lavori per i nuovi impianti di riscaldamento e raffrescamento.
Una soluzione, sicuramente green e meno invasiva, consiste nel ricorso al verde. I tetti giardino e i green walls (ovvero le pareti verdi) sono un’ottima soluzione per contenere i consumi energetici domestici e garantire il risparmio energetico.

I tetti giardino, o green roof, contribuiscono ad aumentare l’inerzia termica: durante l’inverno il manto verde contiene le dispersioni, mentre d’estate evita l’innalzamento della temperatura all’interno dell’abitazione. Altri vantaggi di questo pacchetto in copertura sono l’aumento dell’isolamento acustico dell’edificio, la capacità del verde di assorbire CO2 e filtrare l’aria inquinata, e l’assorbimento graduale e il filtraggio dell’acqua piovana per non caricare l’impianto fognario.

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Realizzare una parete verde per il risparmio energetico della casa è molto più semplice. Pannelli in PVC e feltro costituiscono il supporto su cui cresceranno essenze rampicanti che aiuteranno a mantenere costante la temperatura interna, contenendo le dispersioni di calore in inverno e il riscaldamento eccessivo delle pareti durante l’estate. È innegabile inoltre il valore estetico di queste pareti vegetali che bilancia il minimo contributo delle green wall al contenimento della trasmissione di rumore.

Molte indicazioni su questi ed altri interventi si trovano già in rete, ma la difficoltà maggiore consiste nel trovare la ditta migliore che sappia rispondere ai nostri problemi. Il portale web eTerra.it, specializzato nel risparmio energetico della casa, è un ottimo alleato per chi vuole informarsi sulle normative vigenti e tenersi aggiornato delle tecnologie legate all’edilizia sostenibile. Oltre ad articoli dedicati all’approfondimenti di varie tematiche legate al risparmio energetico, il sito mette in contatto diretto gli utenti e le aziende più competenti. Un’apposita sezione dedicata alle ditte permette loro di registrarsi gratuitamente e di essere facilmente reperibili in base alla zona di attività e all’area di competenza. Gli utenti in cerca di soluzioni potranno richiedere fino a 5 preventivi in base al servizio e all’intervento richiesto per lavori di edilizia, progettazione, ristrutturazione ed impiantistica. 

Cohousing nel bosco: vivere insieme nella natura

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Vivere insieme, coabitare, condividere vita ed esperienze. Sì, ma in un bosco. A due passi da Torino è stato infatti presentato dall’associazione CoAbitare, in collaborazione con la cooperativa Sumisura, un progetto di cohousing nel bosco di Reaglie, che si pone l’obiettivo di realizzare molto concretamente un percorso di vita immerso nella natura, con momenti di collaborazione e di condivisione degli spazi e delle risorse, pur mantenendo un forte legame di vicinanza con la città poco distante.

COHOUSING: VIVERE INSIEME A BASSO IMPATTO NEL REGNO UNITO

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Il cohousing in Italia

La coabitazione in Italia è ancora una realtà marginale perché non si è ben compreso che il modo in cui una società abita non è un dogma indiscusso ma un processo in costante evoluzione. Le configurazioni architettoniche dei condomini urbani si conciliano poco con la logica del vivere partecipato; formare un gruppo di persone capaci di coabitare, richiede conoscenza, formazione e adeguamento reciproco. In uno spazio condiviso, infatti, socialità, vivibilità e sostenibilità si compenetrano e le persone si aiutano reciprocamente, compiendo scelte autonome ma orientate al bene comune.

L’associazione CoAbitare, dopo aver avviato alcune esperienze di cohousing in città, si avvia ora a questo nuovo progetto in mezzo al verde della natura.

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Il progetto del cohousing nel bosco

L’edificio è collocato in un’antica vigna del settecento e sorge in un parco di 88.000 mq, uno dei più grandi parchi privati del comune di Torino, a pochi chilometri di distanza dal centro della città. In questo modo i cohousers potranno mantenere stretti contatti con l’area urbana e creare sinergie con privati e associazioni per lo sviluppo di progetti.

L’immobile è formato da un unico corpo, con la struttura tipica della “casa di famiglia” e ha una superficie di 600 mq, suddivisi attualmente in cinque appartamenti. A questi si aggiungono circa 250 mq di locali accessori per il cohousing formati da legnaia, box, androne e magazzino che permetteranno di riorganizzare la casa in sei o sette unità abitative, con un miglioramento dell’efficienza energetica. Infine, una cantina di 70 mq, una soffitta e uno spazio da adibire a parcheggio, completano il tutto.

Uno dei responsabili dell’associazione spiega: ”A proposito degli spazi comuni coperti, l'idea attuale prevede una cucina per cene in comune, feste, ecc., un'area bimbi, uno spazio aperto ai turisti da adibire a b&b e/o per ospitare attività di associazioni, workshop, laboratori, il recupero della legnaia in cui è presente un forno per pane e pizze e uno spazio polivalente di circa 100 mq per uso interno, coworking, laboratori, cinema, bricolage”.

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Le attività all'aperto

Essere all’interno di un grande parco, principalmente collinare e boschivo, presenta molti punti di forza, sia dal lato agricolo ed energetico che per iniziative socio-culturali. Gli spazi di cohousing attorno alla casa possono accogliere orti, frutteti, vitigni e arnie, oltre ad un impianto fotovoltaico. Mentre, per quanto riguarda la socializzazione, sarà possibile fare sport, organizzare giochi e attività per bambini nel bosco, cinema all’aperto e fare grigliate.  

Un modo diverso di vivere in un bellissimo contesto naturale.  

Michael Reynolds per la prima scuola sostenibile in Uruguay

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Riciclo, riuso e recupero sono le parole chiave che meglio descrivono i progetti Michael Reynolds, ma la sua ultima opera in Uruguay vanta un primato che la rende un modello da seguire: "Una escuela sustentable"è la prima scuola completamente ecosostenibile del paese, costruita secondo i consolidati criteri della Earthship Biotecture.

In copertina: immagine da UnaEscuelaSustentable.uy

LE EARTHSHIP DI MICHALE REYNOLDS: ABITAZIONI CON PNEUMATICI E LATTINE

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Per molti Paesi nel mondo non sembrerebbe una novità la realizzazione di un edificio interamente sostenibile e autosufficiente, grazie alla capillare diffusione della progettazione secondo regole rispettose del pianeta. Per l'Uruguay, invece, la situazione è un po' diversa. Soltanto da pochi giorni, infatti, lo stato sudamericano può vantare nel suo territorio un edificio, ancora in fase di realizzazione, sostenibile, autosufficiente e basato sul concetto del riciclo.

Una escuela sustentable è un progetto firmato dall'architetto Michael Reynolds che si fonda sulle tre "R" di Riciclo, Riuso, Recupero per dare vita ad una scuola ottenuta dall'applicazione di materiali altrimenti destinati allo smaltimento e al deperimento. Il progetto vanta la proposta della prima scuola al 100% ecosostenibile nell'Uruguay

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Michael Reynolds per la sostenibilità in Uruguay

Michael Reynolds, fondatore dell'associazione a scopo umanitario Earthship Biotecture, si reca a Jaureguiberry e decide di costruire un edificio per i bambini del luogo, così che anche loro possano avere un'istruzione adeguata e uno spazio dove potersi dedicare alle attività proprie della loro età. 

L'edificio si trova in una zona completamente rurale e, proprio per questo, ha come obiettivo quello di far crescere i bimbi a diretto contatto con la natura. Non a caso, prima di procedere alla realizzazione della scuola, il progetto è stato presentato a insegnanti, genitori e abitanti di Jaureguiberry attraverso una serie di conferenze e workshops volti a sensibilizzare la popolazione rispetto ai principi del riciclo e del riuso da applicare all'architettura. Il coinvolgimento degli abitanti della piccola cittadina di appena 500 anime, inoltre, non si è limitata all'aspetto "teorico", ma si è esteso anche alla partecipazione attiva alla costruzione e al reperimento dei materiali costruttivi. I "rifiuti" impiegati per la realizzazione dell'edificio, infatti, sono quegli stessi rifiuti che, quotidianamente, le famiglie di Jaureguiberry producono e inviano allo smaltimento.

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I materiali di riciclo della scuola di Reynolds

Una escuela sustentable ha un'ampiezza di 270 metri quadri per ospitare ben 100 bambini all'anno. La sua struttura è costituita da pneumatici, bottiglie, lattine e cartoni riciclati abbinati a terra cruda e legno. La sua copertura prevede l'installazione di pannelli solari e di mulini del vento che permetteranno all'edificio di produrre energia elettrica e di presentarsi come un sistema completamente autosufficiente. Il progetto inserisce, inoltre, un apposito sistema di raccolta e ricircolo dell'acqua oltre ad una serra utile alla coltivazione di specie vegetali fruttifere e alla produzione di cibo. 

La costruzione dovrebbe durare circa 7 settimane, durante le quali si alterneranno gruppi di operai uruguaiani e volontari provenienti da tutto il mondo desiderosi di imparare e applicare il metodo costruttivo promosso dall'associazione di Reynolds. 

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Earthship Biotecture

Earthship Biotecture, attraverso le earthship (ovvero "navi della Terra"), si impegna a realizzare, grazie al contributo di volontari provenienti da tutto il mondo, case bio, autosufficienti ed ecosostenibili nei punti più disagiati della terra. 

L'obiettivo dell'associazione è di fornire un servizio assente nel luogo coinvolgendo le popolazioni locali e, soprattutto, sensibilizzando a quella che non è una semplice tecnica costruttiva ma un vero e proprio stile di vita. Il ricorso a materiali di scarto, infatti, è frequente nelle costruzioni di Earthship Biotecture, che punta buona parte del suo programma sulla sostenibilità economica, oltre che ambientale e sociale

Con questa nuova sfida, il progetto di Una escuela sustentable, l'associazione e, soprattutto, il suo fondatore si sono caricati di una missione speciale, che va ben oltre la semplice realizzazione di una nuova scuola: l'obiettivo è quello di dare un'opportunità migliore ai ragazzini della città, ma anche a genitori, insegnanti e abitanti tutti, offrendo loro l'occasione di imparare non soltanto dai libri che si leggono a scuola, ma anche dalla costruzione della scuola stessa. 

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FONTE IMMAGINI

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http://lapalomahoy.uy/05-2015/resize_1431473128.jpg

http://arq.clarin.com/arquitectura/MIKE-REYNOLDS-arquitecto-permanecera-Uruguay_CLAIMA20150904_0162_8.jpg

http://domusrobotica.com.ar/blog/wp-content/uploads/2015/07/1_build_0321.jpg

http://www.entornointeligente.com/images-noticias/2016/02/shaune-fraser-URUGUAY--Una-escuela-hecha-con-lo-que-la-gente-tira.jpg

http://neturuguay.com/wp-content/uploads/2015/08/becas-formacion.jpg

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Perché scegliere il legno per le costruzioni? I pregi degli edifici in legno

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Progettare e costruire con il legno è tra le operazioni più antiche nella storia dell'uomo. Tuttavia oggi sono cambiati bisogni e leggi da rispettare, per cui l'atto progettuale deve accompagnarsi ad una profonda conoscenza del materiale da costruzioni, dei suoi pregi e dei suoi punti deboli per poter scegliere in tutta sicurezza.

LEGNO: IL MANUALE PER COSTRUIRE IN ITALIA

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Gli edifici costruiti negli ultimi decenni consumano il 40% delle risorse non rinnovabili disponibili in natura, producono il 40% dei rifiuti, assorbono il 45% dell’energia complessiva prodotta e generano il 40% dell’inquinamento atmosferico.

Anche attualmente, l’uso di cemento armato e di componenti edilizi sempre più leggeri e inconsistenti, determinano grossi problemi di ponti termici e dispersione di calore, provocando un enorme spreco energetico. A questo si aggiungono altri aspetti negativi, come la poca attenzione verso i sistemi di ventilazione naturale che causa un eccessivo surriscaldamento estivo degli ambienti e obbliga il ricorso a sistemi di climatizzazione notoriamente energivori.

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Occorre allora ripensare globalmente a nuovi criteri di progettazione, sviluppare una diversa sensibilità che promuova un cambiamento verso edifici costruiti con regole ecosostenibili e biocompatibili, che indirizzi il mercato e la società all’uso di elementi ecologici come il legno, dalla scelta delle materie prime alla loro trasformazione, uso e smaltimento, che siano rispettosi della salute e dell’ambiente e utilizzino energia proveniente da fonti rinnovabili.

Soprattutto, occorre abbandonare quella visione antropocentrica che vede l’uomo come unico padrone di tutto ciò che lo circonda e tornare a pensare e agire nel rispetto di quello che la terra produce.

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Perché scegliere il legno per le costruzioni

Il legno è stato sempre presente nella storia dell’evoluzione umana, dimostrandosi valido e affidabile in ogni situazione e, per capire le sue potenzialità energetiche, non dobbiamo far altro che riconoscere le proprietà di cui dispone in natura.

Esso è, infatti, il materiale naturale per eccellenza perché presenta caratteristiche di durezza, resistenza, durabilità e per questo è considerato tra i materiali più importanti per le costruzioni. Alcuni oggetti usati dagli antichi romani si sono conservati intatti per secoli, preservati grazie a situazioni favorevoli che li hanno protetti dagli agenti atmosferici.

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Il legno è anche un ottimo isolante, capace di contenere le dispersioni di calore durante l’inverno e mantenere fresco l’ambiente in estate; questa peculiarità, già da sola, basta a garantire il massimo risparmio energetico.

In Italia si sta lentamente riscoprendo la potenzialità delle strutture in legno; il consorzio Promo Legno stima che nel 2016 ci sarà una crescita del 50% sul nostro territorio, pesantemente colpito dalla crisi economica e che ha visto il settore edilizio tra i più penalizzati.

Nel luglio 2015 poi, è entrato in vigore il nuovo decreto che definisce, per gli edifici da ristrutturare e per quelli di nuova costruzione, le metodologie di calcolo, l’uso di fonti rinnovabili e gli standard energetici minimi, ottimizzando il rapporto costi/benefici in modo da giungere alla progettazione di edifici Nearly Zero Energy Building, in altre parole edifici capaci di ottenere un bilancio fra energia consumata ed energia prodotta prossimo allo zero.

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Nonostante sia un materiale combustibile che ha aiutato l’uomo a riscaldarsi, illuminare gli ambienti e alimentare forni, camini e stufe, è scorretto pensare che il legno sia un materiale vulnerabile. Al contrario, esso presenta un’elevata resistenza al fuoco perché ha una combustione più lenta rispetto ad altri materiali come l’acciaio e il calcestruzzo armato, con una carbonizzazione che procede alla velocità di 0,6-0,8 mm/min e, di conseguenza, il processo di rottura avviene con più ritardo.

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Un altro elemento che consente il ritardo del collasso strutturale del legno è il suo basso coefficiente di conducibilità termica; l’acciaio presenta invece un alto rischio di collasso in caso d’incendio perché, in funzione della temperatura, subisce un rapido decadimento fisico-strutturale. È per questo motivo che in Svezia i vigili del fuoco hanno il divieto di intervenire in edifici di questo tipo.

Lo stesso ragionamento vale anche per le costruzioni in cemento armato, la cui ossatura metallica tende a cedere improvvisamente in presenza di temperature elevate.

Un altro importante aspetto da privilegiare nella scelta di questo materiale elastico e assorbente, è la sua idoneità alla costruzione di edifici in zone sismiche. Basti pensare che in Giappone, terra di grandi eventi sismici, si costruirono fin dall’antichità numerosi templi di legno che hanno superato indenni i secoli e, soprattutto, i numerosi terremoti, compreso quello del 1995 di magnitudo 7,2 della scala Richter. Poggiando su piattaforme di cemento, le strutture in legno “galleggiano” sul terreno riportando danni minimi, perché in grado di assorbire le deformazioni. La forza di un terremoto è proporzionale alla massa dell’edificio e il legno, essendo più leggero degli altri materiali, è sollecitato molto meno. In ogni caso, eventuali danni possono essere riparati facilmente, sostituendo le parti danneggiate.

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Rapidità di montaggio e costi

Una casa in legno può essere montata molto rapidamente, riducendo i tempi di cantiere del 60-70% rispetto a un’abitazione tradizionale. Molti elementi, infatti, sono pre-assemblati in fabbrica eliminando il rischio di fattori climatici che possono rallentare i tempi di avanzamento della costruzione. In questo modo, da un lato è più facile per l’impresa rispettare i tempi di consegna e, soprattutto, i costi preventivati, dall’altro il committente può avvalersi di minori costi a suo carico, senza correre il rischio di trovarsi brutte sorprese, dovute a imprevisti non calcolati, nel prezzo finale. 

La durata

Il legno è un materiale organico e, come tale, soggetto all’azione di muffe, funghi, insetti, termiti e agenti atmosferici, soprattutto le piogge che provocano infiltrazioni e umidità di risalita.

Dunque è di fondamentale importanza curare tutti i dettagli strutturali del progetto, facendo in modo che il legno si bagni il meno possibile o che riesca ad asciugarsi rapidamente, sia sulle pareti esterne che su quelle interne dove si deposita il vapore acqueo generato dalla respirazione, dalla cottura dei cibi e dall’utilizzo della doccia.

Per evitare questi problemi, si possono utilizzare diverse soluzioni che vanno dalla ventilazione meccanica controllata per l’interno, all’uso di prodotti specifici per la bioedilizia, come speciali resine innovative, che proteggono il materiale preservandolo nel tempo, non trascurando ovviamente una costante e continua manutenzione. Solo così la nostra casa di legno potrà durare decenni ed essere considerata un eccellente investimento.

Si può affermare che, in generale, un edificio in legno, oltre ad essere conveniente, offre un maggiore comfort abitativo, cioè quella particolare condizione di benessere derivante dalla somma di quattro elementi: ambiente termo igrometrico, acustica, qualità dell’aria e illuminazione.

La scuola materna che insegna a coltivare: Nursery Fields Forever

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Non si è mai troppo piccoli per imparare ad occuparsi delle piante e degli animali. È questa il motto della Nursery Fields Forever, l'asilo dove si impara anche a coltivare l'orto, progetto vincitore del concorso di idee londinese AWR International Ideas Competition. L'obiettivo dell'iniziativa è stato quello di trovare una proposta interessante e innovativa per una nuova scuola materna nella città di Greenwich, alle spalle della più famosa accademia di danza Laban Centre, firmata da Herzog & De Meuron. 

E così, dopo gli asili nido nel bosco, le fattorie didattiche e altri esperimenti progettuali nati con l'intenzione di portare sin da subito i piccoli a contatto con la natura, nasce la scuola che inizia all'agricoltura, che riesce a mixare perfettamente l'agricoltura urbana, la pastorizia e l'istruzione materna.

FATTORIE URBANE: A SINGAPORE ORTI E ALLOGGI PER GLI ANZIANI

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La scuola che insegna a coltivare: un team tutto italiano

Il tema del concorso lanciato da AWR e che ha visto trionfare il progetto della scuola materna Nursery Fields Forever è attuale più che mai. Al giorno d'oggi i bambini, che dovrebbero essere lasciati liberi di vivere la propria innocenza e la propria ingenuità, oltre che la spensieratezza tipica della loro tenera età, vengono costantemente spinti nell'inferno della tecnologia. In questo modo i piccoli tendono ad allontanarsi sempre più dalla natura e a cercare sempre meno nuove tecniche per curarla e, soprattutto, per rispettarla. In questo scenario, se il presente appare triste, ancora peggio sembrerebbe il futuro che, molto probabilmente, verrà lasciato nelle mani di giovani, ora bambini, incapaci di comprendere fino in fondo quanto è stata buona e clemente con l'uomo Madre Natura e inadatti ad impegnarsi per sfruttare le risorse naturali a loro disposizione rispettandone l'essenza. 

È per questo motivo che il team tutto italiano, precisamente romano, composto da Edoardo Capuzzo Dolcetta, Gabriele Capobianco, Davide Troiana e Jonathan Lazar per per la scuola materna di Greenwich ha pensato di presentare un progetto forte e innovativo, nato dall'intenzione di preservare l'infanzia dei bambini, ma anche la bellezza della natura. L'asilo con il suo orto didattico insegna ai piccoli umani a coltivare il giardino imparando così la reale provenienza del cibo. 

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I tre principi della scuola "agricola"

Secondo i componenti della squadra vincitrice, l'istruzione materna dovrebbe avere tre approcci paralleli: imparare dalla natura, imparare dalla tecnica, imparare dalla pratica. È soprattutto quest'ultimo principio a fare la differenza, a guidare verso una progettazione che permetta ai piccoli di comprendere, praticamente, un aspetto molto importante della vita dell'uomo, qualunque sia la sua età: la provenienza del cibo che si mangia

Il progetto Nursery Fields Forever, infatti, non prevede aule chiuse e tutte uguali tra di loro, ma ampi spazi aperti, adibiti a coltivazione di verdure e ortaggi, oltre che a pascolo per gli animali che si aggirano liberi tra una pianta e l'altra. In queste macchie verdi si inseriscono delle strutture coperte, con tetto a doppia falda, caratterizzate da ampie vetrate rivolte verso il paesaggio naturale circostante. Questi spazi sono destinati alle attività da svolgere al chiuso, quando le condizioni climatiche e le temperature non permettono di godere appieno della bellezza dell'aria aperta. 

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Imparare a coltivare a scuola: sostenibilità ambientale e sociale

La Nursery Fields Forever rappresenta un manuale di buon comportamentoper i bambini nei confronti del pianeta, un memorandum su come agire rispetto a quella natura così benevola da offrire, a loro e alle famiglie, cibo da mangiare, animali da accudire, energia per sopravvivere. I bambini, infatti, oltre alle attività tipicamente agresti, come la coltivazione dell'orto e la cura degli animali, saranno introdotti anche al tema dell'energia rinnovabile. Gli allievi dell'asilo scopriranno il potere nascosto del vento e del sole, imparando il funzionamento delle turbine eoliche e dei pannelli fotovoltaici installati in loco.

Ma la Nursery Fields Forever è anche e soprattutto un progetto che punta alla sostenibilità sociale. Collaborando con i compagni nella cura di piante e animali presenti nella "scuola-fattoria", infatti, i bambini avranno la possibilità di socializzare, di imparare l'importanza di lavorare insieme, di cooperare, di comunicare e di aiutarsi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune, quello di coltivare la pianta o di accudire l'animale in questione.

Conseguenza diretta di questo metodo di insegnamento è la presa di coscienza, da parte dei piccoli, delle proprie capacità. Tutti possono occuparsi della natura se correttamente istruiti e disposti a dedicare il proprio tempo a questa attività. La Nursery Fields Forever vuole formare piccoli eroi, bimbi dall'autostima ben sviluppata e consapevoli dell'importanza di quello che imparano nella scuola materna.

Il progetto non è ancora stato realizzato e già piace a tutti, come dimostra la vittoria del concorso per il team che l'ha partorito, ma la speranza comune è che questi bimbi, una volta terminato l'asilo e conosciuto il mondo delle "scuole tradizionali", non dimentichino quello che hanno imparato e che, al contrario, da adulti, ne facciano tesoro, dimostrando al mondo intero come si può iniziare a rendere migliore il modo in cui si vive già da quando si è ancora bambini.  


Chi ha inventato le lampade a LED?

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Le lampade a LED hanno soppiantato le tradizionali lampadine ad incandescenza invadendo le nostre case e diventando uno degli oggetti più diffusi, eppure non tutti conoscono chi ha inventato questi apparecchi, nè la loro storia lunga mezzo secolo. Dalle prime sperimentazioni al premio Nobel per la Fisica del 2014, i LED hanno dominato il mondo dell’elettronica e rivoluzionato il modo di portare luce nelle nostre case.

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Gli inventori delle lampade LED premi Nobel per la Fisica

Alessandro Volta ha inventato la pila, a Gugliemo Marconi si deve il primo telegrafo senza fili, la macchina a vapore -senza la quale non ci sarebbe stata la Rivoluzione Industriale- è figlia dell’ingegnere scozzese James Watt, la lampadina ad incandescenza fu inventata da Thomas Edison nel 1878. E le lampade a LED? Grazie alla loro resa energetica, i LED, ovvero Light Emitting Diode (diodi ad emissione di luce) hanno invaso le nostre abitazioni attraverso gli oggetti di uso quotidiano, dagli elettrodomestici agli apparecchi illuminanti, sostituendosi alle vecchie lampadine ad incandescenza che avevano monopolizzato il mercato per oltre un secolo.

Il primo LED fu inventato dallo statunitense Nick Holonyak Jr nel 1962 durante una collaborazione con la General Electric. È quest’uomo, ricercatore e docente dell’Università dell’Illinois, ad aver studiato e sviluppato tutte le potenzialità dei semiconduttori sfruttati dai dispositivi optoelettronici come i LED, che negli anni ’60 esistevano solo nella loro versione rossa e, successivamente, verde. Variando la tensione tra lo strato di elettroni (lo strato n) e lo strato delle lacune (lo strato p), gli elettroni si combinano con queste emettendo fotoni, la cui frequenza determina il colore della luce.

La luce bianca e brillante che oggi illumina le nostre stanze con un click dell’interruttore è stata inventata nei primi anni ’90 ed è frutto degli studi di tre fisici giapponesi, Isamu Akasaki, Hiroshi Amano and Shuji Nakamura, che hanno prodotto il primo fascio di luce blu dai semiconduttori, innescando una trasformazione fondamentale per la tecnologia dell’illuminazione.

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Nonostante i notevoli sforzi, sia nella comunità scientifica che nel settore industriale, il LED blu era rimasto una sfida per decenni, ma grazie alla scoperta giapponese, i diodi rossi e verdi potevano finalmente essere impiegati con la luce blu per creare lampade a luce bianca.
La scoperta del LED a luce blu ha richiesto oltre trent’anni di impegno nella ricerca del semiconduttore adatto (cristalli di nitruro di gallio) a liberare la giusta frequenza di fotoni e questo è bastato per ritenere la ricerca di Akasaki-Amano-Nakamura meritevole del premio Nobel per la Fisica 2014.

L’impatto della scoperta del LED a luce blu

Lampadine ad incandescenza hanno illuminato il XX secolo; il XXI secolo sarà illuminato da lampade a LED. In appena 20 anni dalla sua scoperta, il LED a luce blu ha contribuito a cambiare e migliorare il modo di portare la luce nelle nostre case assecondando la necessità di risparmio energetico e la svolta “green” della ricerca nel campo dell’illuminotecnica. Le lampade LED emettono luce bianca, sono energeticamente più efficienti delle obsolete lampadine a bulbo e durano di più. Questa tecnologia viene costantemente implementata in termini di efficienza e questo si comprende comparando i più recenti dati disponibili sulle lampade LED con quelli relativi alle luci fluorescenti e a bulbi incandescenti: una lampada a LED fornisce 300 lumen/Watt contro i 16 lumen/Watt delle normali lampadine ad incandescenza e i 70 lumen/Watt della lampadine fluorescenti.

Ragionando in termini di consumi e durata, l’efficienza delle nuove lampade è indiscutibile. Una lampada LED dura fino a 100.000 ore (ovvero può rimanere accesa 24 ore su 24 per ben 12 anni), le lampadine fluorescenti 10.000 ore, le lampadine ad incandescenza solo 1.000 ore. Considerando che un quarto del consumo mondiale di energia elettrica è imputabile all’illuminazione, i LED si riconfermano una risorsa importante per risparmiare energia e salvare il pianeta.

Aziende come ZR Impianti si occupano di realizzare impianti di illuminazione LED e progetti di illuminotecnica garantendo un’elevata efficienza luminosa, una ridotta produzione di calore e una durata media elevata degli apparecchi illuminanti per interni ed esterni, abbattendo così i costi di manutenzione e garantendo un ritorno dell’investimento iniziale in pochi mesi. 

Il giardino sul tetto della stazione: Crossrail Place di Foster + Partners

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Da tempo ormai, l’immagine di Londra non è più soltanto legata alla storia ed ai suoi monumenti. Big Ben, Westminster, Buckingham Palace e Tower Bridge restano le attrazioni turistiche per eccellenza, ma stanno pian piano lasciando spazio alla Nuova Londra, costruita da maestri e archistar dell'ultima generazione. La stazione di Crossrail Place a Canary Warf progettato dallo studio Foster + Partners è uno dei simboli della nuova città, con il suo giardino sul tetto già ultima e visitabile.

IL GIARDINO TROPICALE DELLA STAZIONE ATOCHA RENFE DI MADRID

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Viaggiando in questa strabiliante città, si ha l’occasione di assaporare una realtà completamente diversa da quella italiana. Tutto a Londra è architettura, innovazione, ricerca. Perdersi per le sue strade oggi vuol dire anche attraversare aree circondate da cantieri in corso, nuove costruzioni che si affiancano a quelle esistenti o che sempre più spesso ne prendono il posto per contribuire al cambiamento ed alla nuova immagine di Londra.

L’area di Canary Wharfè una delle aree che negli ultimi anni ha consolidato la sua immagine e che si propone come una delle tappe obbligate per chi decide di visitare la Londra contemporanea.

A Canary Wharf, la prima parte del complesso Crossrail è stata finalmente aperta al pubblico: si tratta di una delle 40 stazioni della rete di collegamento fra l’est e l’ovest della città di Londra, progettata dallo studio di architettura Foster + Partners.

L’edificio sostenibile chiamato Crossrail Place ospita un centro commerciale che arricchirà la zona tra il quartiere residenziale e quello finanziario. L’intero complesso sarà costituito da un edificio a 7 piani che si estenderà per circa 300 metri lungo il molo. La conclusione è prevista entro il 2018 ed oltre alla stazione, ci saranno negozi, cinema, ristoranti, caffè e un giardino sul tetto.

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Sono stati inaugurati 4 piani del Crossrail Place tra cui l’ultimo, dove trova collocazione il meraviglioso giardino disegnato dallo studio londinese Gillespies, specializzato in progettazione del verde, che offre una passeggiata panoramica in un bellissimo giardino protetto dalle piogge londinesi. “Il disegno del giardino risponde al linguaggio architettonico del tetto nella creazione di un ambiente adibito a parco originale e riparato. Offrirà ai visitatori un punto di vista del tutto nuovo per guardare i canali e la zona circostante”. Ha spiegato uno dei partner dello studio Gillespies che ha collaborato al progetto con Foster + Partners.

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Passando attraverso ponti di collegamento è possibile l’accesso a questo suggestivo mondo verde popolato da essenze vegetali originarie dei paesi visitati dalla Gran Bretagna durante le esplorazioni marittime: le essenze scelte per il giardino sul tetto del Crossrail Place di Foster, infatti, sono state selezionate per ricordare l’ambiente marittimo della zona e provengono dai paesi visitati dagli inglesi nel XIX secolo per commerciare le navi che furono costruite nei magazzini della zona della stazione dalla West India Dock Company. Questi tre depositi furono abbandonati nel 1960 fino alla chiusura del 1980, con il piano per riqualificare la zona e farne un polo finanziario.

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Il parco che sovrasta la costruzione di sette piani di Foster + Parners è coperto da una struttura in legno lamellare che mediante moduli triangolari consente il posizionamento delle lastre di ETFE, etilene-tetra-fluoro-etilene, una plastica autopulente e riciclabile che non ostacola l’ingresso delle componenti dello spettro luminoso che servono alla crescita delle piante del tetto verde. La copertura della stazione è, inoltre, aperta al centro per il passaggio di luce, aria e acqua meteorica.

L’effetto è davvero suggestivo sia per il contrasto con l’architettura circostante di vetro e acciaio che per la tranquillità che emana il giardino del Crossrail Place, facendo da contrappunto al rumore della metropoli all’esterno.

Un modo tutto nuovo per guardare Londra con occhi diversi.

Non auro sed ferro: mostra di Alessandro Carnevale a Savona

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Su lastre di ferro, alluminio e acciaioAlessandro Carnevale incide scenari post-industriali, relitti romantici e archeologie incandescenti . Dal 19 marzo al 16 Aprileè proprio la sua città, Savona, ad ospitare la mostra "Non auro sed ferro": 40 opere ricoperte di ruggine e acidi realizzate sugli stessi scarti delle fabbriche dismesse. La locationè eccezionale, le Cellette del Priamar, fortezza del 1542 che sorge sul promontorio ligure e abbraccia mare e monti, città e porto. Sulle tele del giovane ligure emergono bagliori puntuali su sfondi scuri, accurati dettagli di travi e lunghe finestrature che ci riportano agli anni della produzione industriale. E quindi, alle lotte sociali, alla manodopera specializzata, all’architettura che sperimenta e che produce in cicli settorializzati.

BATTERSEA POWER STATION: DALLA COPERTINA dei PINK FLOYD AI PROGETTI DI GEHRY E FOSTER

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All’ombra di Priamar, ora cittadella d’arte, sorgevano le fonderie di Savona con 130 anni di storie di successo, bancarotte e manifestazioni in piazza. L’epilogo "scandaloso", come anche in altre città italiane ed estere, si può riassumere nella dismissione, abbandono e parziale demolizione: le ruspe della speculazione edilizia hanno risparmiato qua solo una delle sei ciminiere, tre capannoni e l’ex-edificio della direzione.

Il tema coerente e ossessivo dell’intera produzione di Alessandro Carnevale è ritrarre i relitti dell’era industriale in maniera drammatica e penetrante, al contrario delle fredde fotografie dei coniugi Becher e di Basilico. Travi reticolari in successione, ciminiere e silos che si stagliano imperturbabili come simulacri arrugginiti in paesaggi fumosi e acidi, dove si scorgono confortanti luccichii e simmetrie perfette. Sono gli stessi scenari in cui l’autore è nato e cresciuto, che hanno segnato tre generazioni, acceso classi operaie e visto lo sviluppo locale, riassetti delle fonderie e degrado dell’area.

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"Non auro sed ferro recuperanda est Patria" , ovvero "Non con l'oro ma con il ferro delle armi si salva la Patria".

Il titolo della mostraè l’incipit dalla celebre affermazione di Marco Furio Camillo,in risposta al riscatto chiesto dai Galli per lasciare Roma. Se non per i materiali che usa l’autore, la collezione in realtà non ha niente a che fare con la citazione, lotte tra popoli e riscatti mancati. Più che prendere in prestito l’espressione, Alessandro Carnevale vuole proporne una personale reinterpretazione. La libertà del popolo è intesa, si legge nel comunicato stampa, come "…. una patria che si difende col ferro del lavoro e del conflitto, anche ideale. E oggi più che mai è minacciata dall’oro del profitto, dell’instabilità liquida, della globalizzazione sregolata. Che non a caso vede nell’archeologia industriale non un patrimonio simbolico ma solo grandi cubature, grandi affari’’.

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Da tempo è stato riconosciuto il valore archeologico e sociale dei siti industriali dismessi. In Italia però, al di là di alcuni esempi virtuosi a Torino e Firenze Novoli, il mancato accordo tra soggetti privati e pubblici, i costi proibitivi delle bonifiche e il collasso del sistema finanziario hanno bloccato moltissimi progetti di riconversione. Le ciminiere, i silos e i tralicci di Savona, Bagnoli e Taranto, tanto per citarne alcune, testimoniano la storia delle fabbriche e degli smisurati distretti industriali passati attraverso periodi floridi, lotte di partito e delocalizzazioni. Oggi su un territorio deturpato e fortemente edificato, sono simboli ingombranti di disastri ambientali, truffe e spreco delle risorse pubbliche.

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L’inesorabile e “scandalosa” parabola del ferro e dei suoi centri produttivi ("Scandalo metallico"è il titolo della sua precedente mostra curata da Del frate) se non può essere salvaguardata dovrà, perlomeno, secondo Carnevale, essere testimoniata con gli stessi materiali e processi lavorativi del nobile materiale, tristemente soppiantato da plastiche e resine.

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Marine che specchiano gru e piattaforme e notturni costellati dalle luci fredde delle centrali. Le tele, scatti di audaci prospettive e visioni rarefatte, mostrano reverenza verso le fabbriche dismesse, le ex cattedrali del lavoro operaio che, al pari delle fortezze e delle chiesi romaniche, sono entrate a far parte della memoria collettiva e del paesaggio autoctono.

Sul ferro nero, alluminio anodizzato e acciaio grezzo, i dipinti vengono fuori da combustioni e smalti industriali, dall’irrorazione di acidi e soluzioni chimiche. La tecnica non è solo mezzo rappresentativo, ma assieme al Tempo, ne è protagonista, cangiante e grezza, rottamata e depauperata come i soggetti disegnati. La collezione ripropone laconica immagini lunari e atemporali, in cui l’assenza dell’uomo e di qualsiasi attività lasciano pensare all'immobilità, all'attesa di ruspe e progetti avveniristici.

Lungo le banchine dei pontili, all’interno di giganteschi depositi e ciminiere altissime, alcuni possono ricordare aneddoti della propria vita, delle guerre, del tempo in cui si sfruttavano collegamenti e risorse del territorio. Le fabbriche si ergevano come roccaforti pulsanti della produzione senza sosta, e riunivano collettività per lo svago e per conquiste sociali, come il lavoro femminile e i diritti degli operai.

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A ben vedere, le aree industriali sono state forse le prime, le più evidenti, a perdere funzione e significato. A zuccherifici, birrifici e pastifici, si sono aggiunte caserme, ospedali, macelli, porti e aree ferroviarie. Quartieri e palazzoni anni '60-'70, ex-cinema, teatri ma poi sarà il turno dei centri commerciali, di desueti grattacieli rotanti o edifici multifunzione certificati. La città continuerà ciclicamente a lasciare "buchi neri" e a dismettere aree più o meno grandi con cui dovrà relazionarsi e stabilire limiti a cambiamenti, che non siano dettati solo da logiche di profitto e dal profitto di pochi, ma in cui si preveda la salvaguardia della memorie storico-culturale collettiva.

Le fabbriche dismesse, da simboli decaduti di città e di interi bacini industriali, sono diventati landmark di aree da riqualificare; in molte città europee come Amburgo e Marsiglia, sono state convertite in expo, loft e ristoranti. La storia delle città è fatta di ripensamenti, sovrascritture, abbattimenti e mode passeggere. È necessario scegliere continuamente cosa salvare e cosa distruggere, in bilico tra una coscienza immemore che specula e abbatte in nome di una sostenibilità certificata e una coscienza conservativa che ricuce, recupera e limita il nuovo.

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L'opera di Carnevale, in un periodo di gentrificazione ma anche di riconversioni di bunker, cimiteri di locomotive e vecchi aeroplani, ricorda come la salvaguardia di alcune preesistenze sia necessaria per la definizione della città contemporanea stratificata.

La rinascita del complesso rurale di Casa Salina

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Immersa nella campagna siciliana poco distante dalla città di Scicli in provincia di Ragusa sorge Casa Salina: un tempo complesso rurale edificato nel XIX secolo, oggi residenza estiva. La rinascita è avvenuta grazie ad un sapiente lavoro di squadra. Gli architetti Viviana Pitrolo e Francesco Puglisi hanno collaborato con la paesaggista Maria Giardina e con gli ingegneri Raffaele Campo e Giorgio Scrofani, rispettivamente impiantista e strutturista, al fine di mitigare le nuove esigenze abitative con le forme e i materiali della tradizione iblea.

UN FRANTOIO PUGLIESE TRASFORMATO IN CASA VACANZE DI LUSSO

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Il volume originario del complesso rurale è rimasto inalterato ed è composto da alcuni corpi di fabbrica accostati dalle altezze ridotte. La muratura è in pietra locale e i tetti, in parte piani e in parte a doppio spiovente, sono in legno. Casa Salina si dispone in parte su di un unico livello e in parte su due. La zona giorno e due camere con rispettivi servizi sono collocati al piano terra, che si apre da un lato verso la campagna e dall’altro verso il baglio, mentre al primo piano sono collocate altre due stanze da letto con i rispettivi spazi adibiti a servizio.

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Negli ambienti interni di Casa Salina le finiture originarie e i materiali locali si coniugano con arredi moderni. La muratura è stata lasciata a vista quasi in ogni ambiente: l’intonaco e i rivestimenti in gres porcellanato sono stati applicati solo nei locali di servizio. I pavimenti sono in basole di pietra calcarea e i nuovi serramenti sono in legno per non alterare la composizione delle facciate dell'abitazione rurale. 

Una serie di muri a secco di altezze differenti delimitano la proprietà e il baglio all’interno del quale è stata realizzata una piscina a sfioro. Il giardino, che si espande intorno al complesso, è stato piantumato prendendo in considerazione solo essenze originarie del luogo: ulivi e alberi di carrubo si alternano tra le aiuole e i percorsi disegnati nel prato con pietre calcaree.

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Rispetto della normativa RAEE: Ecolamp al Light + Building di Francoforte

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È stata inaugurata lunedì 13 Marzo 2016 Light + Building di Francoforte,la Fiera sull’illuminazione e la building automation (tecnologie di automazione applicate alla casa) più importante al mondo, con spazi espositivi per un totale di quasi 250 mila metri quadri e oltre 200 mila visitatori previsti in soli sei giorni.

I temi principali dell’edizione 2016 saranno “Smart technologies”, ovvero le tecnologie intelligenti per l’illuminazione e “l’armonia di design e funzione”, con un focus sui materiali e le tecnologie più innovative del settore dell’illuminazione e la loro influenza sul benessere e la percezione degli spazi. 

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Il Consorzio Ecolamp

Ecolamp, il Consorzio senza scopo di lucro per il Recupero e lo Smaltimento di Apparecchiature di Illuminazione, sarà presente alla fiera insieme ad EucoLight, l'associazione europea che dà voce ai Sistemi Collettivi RAEE specializzati nel gestire la raccolta e il riciclo delle lampadine e degli apparecchi di illuminazione.

I numeri di Ecolamp:

  • Oltre 150 i produttori del settore lighting hanno scelto di affidare ad Ecolamp la piena conformità alla normativa RAEE;
  • 55% la quota di mercato delle sorgenti luminose per le quali Ecolamp ha verificato la conformità alla normativa RAEE;
  • Oltre 2 mila  le tonnellate di lampadine raccolte e correttamente trattate nel 2015 da Ecolamp grazie alla rete logistica e ai servizi messi a disposizione di cittadini, professionisti e della distribuzione.

Sei in regola con la normativa RAEE?

Insieme, Ecolamp ed EucoLight, daranno risposta alla domanda “Are you WEEE compliant?” (“Sei in regola con la normativa RAEE?”).

I RAEE sono i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, inclusi gli apparecchi illuminanti dismessi, per il cui corretto smaltimento Ecolamp si impegna da oltre dieci anni.

La normativa sullo smaltimento dei rifiuti provenienti dal settore dell’illuminazione, non è identica in tutta Europa, la trasposizione della normativa Europea nei singoli Stati Membri consente margini di discrezionalità che comportano differenze da Paese a Paese così come da un sistema di conformità all’altro.

Ecolamp, membro di EucoLight e tra i suoi soci fondatori, fornirà chiarimenti sugli adempimenti necessari ad adempiere alla normativa RAEE per i produttori attivi sul mercato italiano, ma potrà fornire anche indicazioni rispetto agli altri Stati Membri. Nel medesimo stand saranno infatti presenti 5 sistemi collettivi cofondatori di EucoLight e operanti in altrettanti Paesi dell’Unione, che saranno a disposizione per rispondere all’importante quesito “Are you WEEE compliant?” (“Sei in regola con la normativa RAEE?”).

L’interazione con i rappresentanti di altri Stati è tra le chiavi per migliorare il sistema normativo riguardante la gestione dei rifiuti del comparto dell’illuminazione.

Per avere maggiori informazioni su come affidare a Ecolamp la conformità alla normativa RAEE e conoscere i servizi messi a disposizione dal Consorzio per i propri aderenti, si invita a vistare Ecolamp alla fiera Light + Building di Francoforte dal 13 al 18 marzo presso lo standEucoLight Hall 4, Level 1, Stand E60.

Nasu Tepee: la casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

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Nasu Tepee è una residenza privata realizzata nel 2013 e progettata dallo studio giapponese Hiroshi Nakamura & NAP nella prefettura di Tochigi, sull’isola di Honshu in Giappone. Completamente immersa nei boschi, la casa sorge in uno dei luoghi giapponesi più conosciuti per la villeggiatura estiva.

Passando attraverso i campi, una strada forestale conduce ad un boschetto di alberi misti. La posizione privilegiata in stretto contatto con la natura è stata scelta dai proprietari, una giovane coppia che nel fine settimana ama dedicarsi all’agricoltura organica e produrre da sé verdure fresche, con la volontà di preservare il più possibile l’ambiente circostante.

VACANZE NELLA NATURA IN PICCOLE CASE MOBILI

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La casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

La casa Nasu Tepee è composta da un unico corpo di 186 metri quadrati, si articola in volumi composti da grandi falde che vanno da cielo a terra generando ambienti dal forte andamento verticale, scelta progettuale legata a due aspetti molto importanti, il primo relativo all’ubicazione: la forma allungata e piramidale segue l’andamento dei tronchi e dei rami, in modo da poter costruire la casa senza dover compromettere la natura circostante.

L’accentuata verticalità della casa-tenda, oltre a sottolineare l’aspetto peculiare del paesaggio giapponese in cui è immersa, serve per poter captare più luce naturale possibile. Diversi lucernari, studiati ad hoc per ogni stanza, creano dei vuoti in questi grandi tetti portando la luce naturale dei boschi all’interno della casa. Si generano dei tagli di luce che caratterizzano le diverse prospettive degli ambienti, essenziali e minimalisti, in cui la luce diventa uno degli elementi protagonisti. L’inclinazione diagonale è studiata in base ai movimenti delle persone all’interno dell’edificio, con altezza massima di 8 metri e minima di 2,60 metri. Il soffitto scende come una tenda da campeggio e consente la creazione di uno spazio di vita caldo che si confonde con gli alberi. La struttura della Nasu Tepee è in legno, le stanze sono collegate tra loro tramite varchi triangolari.

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L’altezza ed il posizionamento delle aperture della casa-tenda sono stati studiati per generare un effetto camino che permette il ricambio di aria e il raffrescamento estivo. Le falde diventano l’involucro stesso dell’edificio, in alcuni punti si trasformano in una doppia pelle che permette di riutilizzare il calore interno.

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University Island: il concorso per il campus sull’isola abbandonata di Poveglia

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Poveglia, isola dell’arcipelago veneziano, che dal 1380 ha assistito ad un lento e costante abbandono, sarà l’oggetto di un concorso per la realizzazione di un nuovo campus universitario.

Affascinante e misteriosa, complici i mancati collegamenti con la terra ferma, l’isola è oggi abbandonata e preda di una fittissima vegetazione, che ne nasconde le coltivazioni e le architetture.

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Poveglia, dall’aspetto incantato e melanconico, ha recentemente suscitato un rinnovato interesse da parte di privati ed amministrazioni, che intendono pensare ad un nuovo utilizzo dell’isola.

YAC, Young Architecture Competition, sulla scia della riqualificazione dell’isola, ha proposto di trasformarla in centro della cultura Veneta, realizzandovi un nuovo Campus Universitario in cui concentrare attività di tipo didattico e formativo, extra curriculare, di svago e riposo per i numerosi studenti che scelgono l’ateneo veneziano per i propri studi universitari.

L’arduo compito di immaginare la trasformazione di un’isola abbandonata in polo culturale è affidato ai partecipanti della competizione University Island”, bandita da YAC in collaborazione con RIAM. Ai partecipanti è richiesto di ripensare la partecipazione universitaria come una nuova esperienza a 360 gradi, che vada oltre le mere attività didattiche, di legare fortemente il costruito con il paesaggio naturale dell’isola e le preesistenze architettoniche, di progettare un complesso quanto più possibile autosufficiente.

Gli spazi da prevedere necessariamente nel progetto con cui partecipare al concorso di University Island saranno aule e laboratori, uffici di ateneo, biblioteca e sala lettura, mensa ed area ristoro, residenze per studenti, spazi espositivi e polivalenti, dotazioni sportive, un auditorium. 

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Iscrizioni, giuria e premi

Ci si può iscrivere per partecipare alla competizione University Island entro il giorno 8 Giugno 2016.

Gli elaborati devono essere consegnati entro e non oltre il 15 Giugno 2016.

In giuria, Peter Cook di Crab studio, Patrick Luth di Snohetta, Iannis Kandyliaris di BIG, Francesco dal Co di Casabella, Pierluigi Cervellati di Studio Cervellati e Associati, Alberto Ferlenga di IUAV, Andrea Boeri di Unibo, Alessandro Marata di CNAPPC e Francesca Graziani dell’Agenzia del Demanio, assegneranno i 3 premi, 4 menzioni gold e 10 menzioni d’onore.  Per i primi tre classificati è previsto un premio economico rispettivamente di 10 mila, 4 mila e 2 mila euro, mentre per le 4 menzioni gold è previsto un premio di mille euro ciascuna. Tutti i progetti premiati, comprese le 10 menzioni d’onore ed i 30 finalisti, riceveranno un anno di abbonamento alla rivista Casabella.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC


Ristrutturazione casa: quanto costa?

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La ristrutturazione della propria casaè una scelta importante. Sia che si decida di acquistare un nuovo immobile che si voglia adeguare la vecchia casa alle nuove esigenze o alla normativa, ristrutturare comporta una spesa aggiuntiva per il bilancio familiare.

Ma quanto costa ristrutturare casa

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Perché si ristruttura

La ristrutturazione della casa non risponde solo a motivi estetici, all’esigenza di modificarne l’organizzazione interna per assecondare il mutare delle esigenze di chi la abita o alla volontà di rivoluzionarla per incontrare una tendenza in fatto di interior design. Accade spesso che gli interventi di ristrutturazione siano necessari per motivi tecnici: ad esempio per adeguarla alle norme antisismiche, per eliminare le barriere architettoniche, o per renderla più efficiente dal punto di vista energetico.

Se l’obiettivo principale è quello di ristrutturare casa per migliorarne l’efficienza energetica, ci si potrebbe avvalere degli incentivi per cui il costo reale della ristrutturazione (cioè il costo sostenuto al netto dei rimborsi IRPEF) potrebbe abbassarsi. 

Gli interventi di riqualificazione energetica volti a migliorare l’efficienza degli elementi dell’involucro degli edifici esistenti sono soggetti a detrazioni fiscali del 36%.

Approfondimento: Riqualificazione energetica: detrazioni fiscali ed incentivi

Qualunque sia il motivo per ricorrere a dei lavori di ristrutturazione, ci sarà una spesa da affrontare per avere una casa più luminosa, trendy, efficiente, confortevole.

Il budget per la ristrutturazione

Il problema del budget andrebbe affrontato a priori, fissando un tetto di spesa e scegliendo lavorazioni e materiali sulla base dell’ammontare massimo che si è disposti a spendere.

La posizione dell’immobile non è un aspetto da sottovalutare. La sua collocazione geografica incide non poco sui costi di ristrutturazione. È infatti calcolato che tra Nord, Centro e Sud d’Italia ristrutturare casa ha costi diversi e, a parità di lavorazioni, si può arrivare anche a 6.000 euro di differenza sul costo totale, passando da un costo di 633 euro/mq per una ristrutturazione da effettuare a Venezia contro i 566 euro/mq per un identico intervento da effettuarsi a Napoli.

È sempre importante avvalersi di untecnico qualificato che ci consigli su cosa intervenire, come farlo e ci aiuti ad individuare la ditta più competente a cui affidare i lavori di ristrutturazione. La preventivazione sarà una prima linea guida per il mostro tecnico, per ripartire le spese e investire su materiali ed impianti di buona qualità e a portata di budget.

La scelta della ditta a cui affidare lavori costa tempo e denaro. Fissato il tetto di spesa massimo, il preventivo steso dall’azienda potrebbe essere una discriminante fondamentale nella scelta della ditta che eseguirà la ristrutturazione.

Se le idee sui lavori da effettuare sono abbastanza chiare, potrebbe essere utile ricorrere ad un comparatore di prezzi, facile da trovare digitando poche parole chiave nei motori di ricerca. I prezzi varieranno molto in base ai metri quadri da ristrutturare, alla tipologia di abitazione e al suo stato di conservazione, da cui dipenderà l’entità dei lavori.

Da considerare è ancora una volta il ricorso alla rete. Un servizio online, come quello offerto da Edilnet, può venirci in soccorso, richiedendo fino a 4 preventivi gratuiti e senza impegno dalle aziende presenti in zona. Per avere un preventivo occorrerà descrivere il servizio richiesto nei dettagli e saranno le ditte, in competizione, a proporre una stima dei costi di intervento. Giardino, infissi, impianti, ristrutturazioni e traslochi, ogni tipo di lavoro necessario potrà essere commissionato in pochi minuti scegliendo l’azienda più adatta consultando le valutazioni lasciate da altri utenti che hanno già usufruito del servizio.

Il luna park tra i boschi è ad energia zero: lo azionano i visitatori

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Nonostante ci troviamo nell'epoca in cui per divertirsi si usa il pc, la Playstation, la tv e altri dispositivi elettronici infernali che contribuiscono a far lievitare l'importo della bolletta, c'è qualcuno, a Treviso, che sembra apprezzare anche attrazioni alternative. A dimostrarlo è il parco divertimenti "Ai Pioppi" di Nervesa di Battaglia, nel trevigiano, che a poco tempo dall'apertura è già in grado di vantare un boom di visitatori attratti dall'idea di un Luna Park funzionante ad energia zero.

ENERGY CAROUSEL: LA GIOSTRA AD ENERGIA CINETICA 

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Divertimento a energia zero: il luna park nel bosco

Il parco divertimenti sorge in una foresta fitta e rigogliosa, caratteristica che ha suggerito il nome, "Ai Pioppi". Le attrazioni che lo compongono non sono collegate all'energia elettrica, ma la loro "vita" è diretta conseguenza della forza motrice prodotta dai visitatori che si divertono con esse. 

Il Luna Park si compone di 50 giostre, da quelle più tradizionali come le catenelle, il pendolo, gli scivoli e le altalene, a quelle più originali e innovative. Una delle attrazioni si presenta, addirittura, come un omaggio all'uomo vitruviano, essendo caratterizzata da un anello con dei fermi in corrispondenza dei quadranti a cui vengono fissati mani e piedi dei visitatori per lasciarsi andare all'oscillazione e al divertimento. 

L'ideatore delle attrazioni a energia zero è Paolo Schiavetto, disegnatore tecnico locale, capace di trasformare un concetto in realtà assicurandosi, preventivamente, della sicurezza delle giostre che hanno permesso al parco divertimenti di essere inserito dalla rivista The Guardiantra le dieci attrazioni più bizzarre fatte a mano del mondo.

caption: foto di Osteria Ai Pioppi

caption: foto da idealista.it

La storia del Luna Park "Ai Pioppi" parte da Disneyland

Il Luna Park non presenta solo la particolarità di essere interamente eco-friendly e sostenibile dal punto di vista energetico, ma incuriosisce anche per via della sua storia. Il fondatore Bruno Ferrin, già proprietario di un'osteria in zona, ebbe l'idea dopo essersi reso conto che, quando ci si reca in un parco divertimenti come Disneyland o Gardaland e si sale sulle giostre, si viene imbracati e si vive l'attrazione in modo alquanto passivo. Di qui l'idea: creare un parco giochi in cui i visitatori non salgono sull'attrazione in azione per divertirsi, ma si divertono mettendo in azione l'attrazione.

La cellula da cui ha avuto origine l'intera struttura è stata una semplice altalena che Ferrin si era messo in testa di costruire accanto all'osteria di famiglia. Poi, visto il successo del piccolo gruppo di giostrine, il progetto si è esteso sempre di più, entrando nel cuore della foresta in cui svettano pioppi, ovviamente, castagni, olmi, faggi e betulle e diventando un posto costantemente frequentato da chi ha il desiderio di vivere un'esperienza diversa da tutte le altre.

Un ulteriore punto di forza del parco, oltre al divertimento "attivo" assicurato dal funzionamento delle giostre che le compongono, è costituito dai suoi costi contenuti, soprattutto per chi decide di pranzare all'osteria. Per questi ospiti, in particolare, l'ingresso è gratuito. 

caption: foto da idealista.it

Nel verde del bosco si sviluppano percorsi su ponti sospesi, composti semplicemente da assi di legno e funi, reti elastiche, liane, carrucole con funi, altalene, girotondi e scivoli. A queste attrazioni si accostano giostre di taglia maggiore, come pendoli e strutture azionate tradizionalmente con energia elettrica e che, in questo caso, non consumano neppure un centesimo. Tutte le giostre sono perfettamente in sicurezza e costantemente controllate dal personale.

A pochi mesi dall'apertura il parco di ad energia zero vanta già 50 mila visitatori all'anno e le previsioni delle presenze sono più che rosee, vista l'accoglienza calorosa che il luna park "Ai Pioppi" ha ricevuto da parte dei chi ne ha anche soltanto sentito parlare. 

Per l'Italia è motivo di orgoglio avere, nel proprio territorio, un parco giochi che, diversamente da quelli esistenti, si preoccupa di produrre energia pulita e priva di sfruttamenti di qualsiasi genere. Il tipo di sostenibilità promosso da questo progetto si può definire a 360 gradi, abbracciando l'aspetto ambientale, quello economico e, non meno importante, quello sociale. Le giostre, infatti, essendo azionate dall'attività di chi si sta divertendo con esse, spinge gli ospiti a interagire e a collaborare per un obiettivo comune, il movimento e il funzionamento della giostra eco-friendly e, più in generale, friendly.

caption: Ragazzo al parco di avventura © Noblige, via Dreamstime.com

Certificazione FSC. I prodotti in legno certificato per la tutela delle foreste

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FSC®è un marchio riconosciuto internazionalmente che identifica i prodotti che contengono del legno proveniente da foreste certificate FSC, ovvero gestite secondo gli standard del Forest Stewardship Council (FSC – traducibile in italiano come “Comitato per la gestione delle Foreste”), un’Organizzazione non governativa internazionale senza scopo di lucro la cui nascita risale al 1990, in California, quando una serie di produttori e consorzi attivi nel settore compresero l’importanza di stabilire un criterio per la gestione sostenibile delle foreste.

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Al fine di tutelare le foreste e fare in modo che queste vengano sfruttate in maniera sostenibile, il Forest Stewardship Council (FSC) ha redatto una serie di rigidi criteri da rispettare. Secondo il FSC la gestione delle foreste deve essere:

  • Rispettosa dell’ambiente - la raccolta del legno deve assicurare che si mantenga la biodiversità del bosco e rispettare i processi ecologici, in modo da preservarlo.
  • Socialmente utile - la raccolta del legno deve avvenire in modo tale da risultare un vantaggio per le popolazioni locali in termini sociali, lavorativi, economici.
  • Economicamente sostenibile - il profitto che si ricava dalla raccolta del legno non deve avvenire a scapito della risorsa forestale, dell’ecosistema o delle popolazioni interessate.

Il Forest Stewardship Council (FSC) si batte quindi per uno sfruttamento sostenibile delle foreste che tuteli l’ambiente naturale, riesca a portare vantaggi alle popolazioni locali assicurando un ritorno economico.

FSC Italia

Il FSC Italia nasce circa dieci anni dopo l’illuminante incontro canadese, quando nel 2001 si istituì un punto di riferimento tutto italiano per la Gestione Forestale Responsabile.

Da allora, sono state certificate oltre 1700 aziende, definiti standard di buona gestione forestale e organizzati concorsi ed eventi promozionali e formativi per sensibilizzare all’importanza della gestione sostenibile delle foreste i professionisti e le scuole (1500 scuole sono state coinvolte nel programma formativo “Le foreste non si salvano da sole”).

I 10 Principi e Criteri FSC

I Principi e Criteri FSC (spesso indicati come P&C FSC) sono stati pubblicati per la prima volta nel 1994 (e sono stati successivamente modificati).

Si tratta di 10 Principi e Criteri da applicare in qualsiasi attività di gestione forestale affinché questa possa ricevere la certificazione FSC. Non sono principi che variano da nazione a nazione, ma principi internazionali, validi in tutto il mondo, per tutte le aree forestali del mondo.

Principio 1: Rispetto delle leggi
Principio 2: Diritti dei lavoratori e condizioni di lavoro

Principio 3 Diritti delle popolazioni indigene

Principio 4: Relazioni con la comunità
Principio 5: Benefici derivanti dalla foresta

Principio 6: Valori ed impatti ambientali

Principio 7: Pianificazione della gestione

Principio 8: Monitoraggio e valutazione

Principio 9: Alti valori di conservazione

Principio 10: Realizzazione delle attività di gestione

Approfondisci i 10 Principi e Criteri FSC sul sito di FSC Italia

A partire da questi dieci principi e criteri, un gruppo di lavoro nazionale sta sviluppando degli standard contenenti indicatori più appropriati dal punto di vista locale per ciascuno dei Criteri.

Il vantaggio di scegliere prodotti in legno certificato FSC

Preferendo prodotti in legno certificato FSC si sposano i criteri della Gestione Forestale Responsabile, si compie una scelta contro il disboscamento incontrollato, il taglio di foreste antiche, l’uso di prodotti chimici altamente tossici. Si prende una posizione importante contro la gestione socialmente, ecologicamente ed economicamente insostenibile delle foreste.

Preferendo i prodotti in legno certificato FSC si sceglie di dare loro un valore in più. La pensa così Quadrifoglio Sistemi d’Arredo, che utilizza per i suoi mobili solo legno proveniente da foreste gestite in maniera responsabile e legale.

Lampada Little sun: luce pulita per un miliardo di persone

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Il sole è in cielo, ma la sua luce può essere portata ovunque. Non è uno scherzo ma, più semplicemente, una lampada. Si chiama Little Sun, è tedesca ed è una piccola lampada alimentata dall'energia solare, nata con l'intenzione di provvedere, seppure in parte, al problema della mancanza di elettricità che affligge numerose zone disagiate nel mondo. 

In copertina: foto di Tomas Gislason

DESIGN SOSTENIBILE PER CAMBIARE LA VITA A 10 MILIONI DI PERSONE

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La Chatham House, istituto londinese impegnato nella promozione dello sviluppo sostenibile, ha svolto recentemente uno studio i cui risultati sono a dir poco sconcertanti. Mentre i media puntano i riflettori su guerre, povertà, calamità naturali e mari agitati dalla presenza di barconi, nel mondo si sparpagliano 60 milioni di rifugiati. Di questi soltanto l'11% può contare sulla presenza dell'energia elettricanel posto in cui vive. 

L'esito dello studio ha spinto Olafur Eliasson e Frederick Ottesen, rispettivamente artista e ingegnere, ad avviare una startup con il preciso obiettivo di portare l'elettricità a queste persone. La strada perseguita è stata quella delle fonti rinnovabili, sostenibili e pulite, oltre che a basso costo, caratteristica fondamentale se la si relaziona alle condizioni di povertà in cui vertono i popoli coinvolti dallo studio.

Nasce così, nel 2012, la lampada Little Sun, alimentata esclusivamente con la luce del sole. La carta vincente del progetto è il ricorso ad "Una luce pulita, affidabile, conveniente. Per oltre un miliardo di persone".

caption: Foto di Merklit Mersha

Little Sun: un successo mondiale

Dal suo lancio, Little Sun ha riscosso molto successo, guadagnandosi la fiducia di numerosi investitori pronti a scommettere sulla validità del progetto. I primi a farsi avanti sono stati i membri del Bloomberg Philantropies, firmatari di un assegno da 5 milioni di dollari. Il finanziamento ha permesso agli autori della lampada di affinare la tecnologia, di verificare l'efficienza e di distribuire il prodotto finito in numerose zone del pianeta.

Attualmente Little Sun illumina Ghana, Senegal, Etiopia, Zimbabwe e Kenya, oltre che Giappone, Indonesia, Filippine, parte dell'Europa, Canada e Stati Uniti. Nell'arco di un anno, infatti, la distribuzione del dispositivo ha raggiunto soglie di 200 mila pezzi venduti

caption: Little Sun, terrazza de la Rinascente, Milano, 2012, foto Marco Beck Peccoz

"Ho sempre pensato che la luce fosse ben più di una fonte di illuminazione. La vita e la luce sono di fatto inseparabili" ha affermato Olafur Eliasson, confidando di voler fare qualcosa "che mi permetta di usare la luce in modo più ambizioso e più utile per il mondo".

Questa ambizione, per Eliasson, si è trasformata in una volontà condivisa con il collega: formare i giovani delle comunità "illuminate" da Little Sun per fare in modo che sorgano piccole aziende in loco. Queste saranno sempre collegate alla sede centrale, ma provvederanno alla produzione delle lampade in diretta relazione con il fabbisogno energetico della comunità e direttamente nel luogo in cui è necessario introdurre Little Sun. 

In questo senso, il progetto tedesco si configura come un'intenzione di sostenibilità a 360°: oltre a quella energetica, viene dedicato un pensiero anche a quella sociale. È stato pensato, infatti, un metodo per incrementare l'occupazione giovanile, per promuovere l'imprenditorialità e per offrire un futuro "luminoso" anche a chi, dopo la vita che ha condotto fino a quel momento, davanti a sè vede soltanto il buio. 

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caption: foto di Maddalena Valeri

Com'è fatta la lampada Little Sun?

Little Sun è un piccolo sole, appunto, del diametro di 12 cm. Pesa solo 120 grammi, così da poter essere tranquillamente trasportato in mano oppure appeso al collo. Il suo funzionamento si basa su un sistema di celle solari collegate a una batteria ricaricabile. Con 5 ore di carica sotto i raggi solari la lampada ha un'autonomia di 10 ore in modalità "soft" e di 4 ore in modalità "hard". La vita utile della batteria si esaurisce dopo 3 anni. Allo scadere del tempo preventivato è possibile che debba essere sostituita. 

Il prezzo della lampada non è fisso, ma varia in base al collegamento esistente o mancante alla rete elettrica. In aree servite dall'energia pubblica, infatti, Little Sun costa circa 22 euro, cifra dimezzata per le zone off-grid. 

Restando in ambito economico, sono molto importanti i risparmi che l'uso di Little Sun comporta. È dimostrato, infatti, che la sostituzione delle tradizionali lampade a cherosene con le lampade tedesche permette di ridurre, nell'arco di tre anni, del 90% i costi relativi all'illuminazione. Mentre le spese scendono, la quantità di luce sale, poichè Little Sun produce un fascio luminoso maggiore e qualitativamente migliore di quelli delle altre lampade. 

caption: © merklit mersha, 2012

caption: Laboratorio didattico Riverbed-LittleSun – Lousiana Museum

La soluzione ideale per agire subito

Little Sun potrebbe davvero rappresentare la svolta per risolvere un problema particolarmente sentito dalla comunità internazionale. Ci sono persone, nei Paesi più poveri del mondo, che non hanno la possibilità di compiere sotto la luce i gesti più comuni. È per questo che l'ONU e la Banca Mondiale hanno lanciato un programma finalizzato alla realizzazione di reti elettriche nelle zone off-grid non oltre il 2030. 

Quindici anni, tuttavia, possono sembrare pochi per chi non sa cosa si prova a vivere perennemente al buio, ma sono un'eternità per chi vorrebbe avere la luce del giorno anche di notte. Fortunatamente ci sono persone, come Eliasson e Ottesen, che non intendono stare a guardare i granelli di sabbia cadere verso il fondo di una clessidra, ma preferiscono agire e proporre una soluzione rapida, originale, artistica e capace di aprire infinite possibilità

caption: Imagine Burundi-Terimbere Foundation

La casa-girasole compie 30 anni: il proprietario e ideatore si racconta

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La casa di Michele Beltramone, a metà tra un enorme fungo e una navicella spaziale, ruota su se stessa compiendo un giro completo in 56 minuti. L'abitazione mobilerealizzata a Barge, in provincia di Cuneo, compie 30 anni e, come altri prototipi, sfrutta al massimo l'irradiazione solare tutto l'anno con il movimento meccanico della piattaforma alla base della costruzione. La peculiarità di questa storia è legata al suo proprietario/costruttore, un infaticabile ex-idraulico, ora ottantenne, che ha terminato gli studi con la sola quinta elementare. Della sua casa-girasole intende custodirne misteri e calcoli della struttura, ma ne racconta appassionato aneddoti e ultime volontà. Riguardo al progetto del "suo riposo eterno" rivela orgoglioso: "Non ho ottenuto i permessi ma ho costruito ugualmente una tomba unica, disegnata da me, coperta da una cupola semicircolare, sorretta da un'enorme pietra da 160 quintali. La "Casa che gira" resterà ai miei famigliari e decideranno loro che cosa farne".

CASA ROTANTE GIRASOLE: gira per ottimizzare la radiazione solare

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Questa storia ci ricorda come persone semplici e determinate possano riuscire, anche con mezzi di fortuna ma tanta volontà, a costruire la casa dei propri sogni. Infatti piattaforme girevoli, ingranaggi e ruote che permettono ad interi edifici -addirittura grattacieli!- di ruotare per seguire il sole (anche in minor tempo) sono comparsi dagli anni Trenta in tantissime versioni. La peculiarità di questo edificio sta proprio nella determinazione e creatività del suo proprietario, che si racconta sulle pagine de La Stampa. L'idea non deriva da esempi esteri o da trasmissioni su case straordinarie, ma da ragioni pratiche (proprietà di un piccolo lotto su uno sperone roccioso) e da consigli del suo geometra. La forma suggerita dal tecnico è quella dei funghi, presenti in tutto il territorio cuneese, mentre è il palco del ballo liscio in una festa di paese a suggerirgli il meccanismo di rotazione.

E da lì Michele decide la sua abitazione speciale: inizia a schizzare la pianta sulla strada con del gesso, disponendo le stanze attorno ad un nucleo fisso. Il progetto della casa-girasole inizia nel 1983 e terminerà dopo tre anni, con continui aggiustamenti e migliorie. L'edificio è di circa 8 m, diametro di 16 m e ruota attorno ad un piedistallo fisso di 5 m. Nel 2016 l'abitazione girevole compie 30 anni.

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"Il motore, 2 cavalli, è alimentato a elettricità. Consuma pochissimo, come una vecchia lampadina da 100 candele, e permette alla casa di girare su stessa in 56 minuti, ed è la velocità massima, mentre con quella minima la rivoluzione completa si compie in 24 ore. Così, se sto seduto in cucina tutto il giorno, sono sempre baciato dal sole. Ho assemblato pezzi, ingranaggi, rotelle, pulegge, acquistando qualcosa e recuperando altro. All’inizio avevo anche parti di una vecchia Mercedes".  

Per la casa-girasole da cui si vede l´intero paese, Torino fino alle Langhe, è giunta anche un'offerta di acquisto e conversione in club privato. Con semplicità e orgoglio il simpatico cuneese, declinando l'offerta aggiunge: "È un progetto unico e non saprei dargli un valore. Avvio la rotazione quando organizziamo cene o feste o quando voglio passare una giornata interamente al sole".

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