Le metropoli di oggi si stanno allargando e popolando a dismisura, lo spazio è ridotto e una comoda soluzione per ridurre la richiesta sempre maggiore di abitazioni è estendersi in verticale. Come ovviare però al problema di concentrare all’interno di un singolo edificio centinaia di persone con interessi ed esigenze differenti?
La Start Up “Collective” e lo studio PLP rispondono a questo problema proponendo a Londra, città ad alta densità, un grattacielo per il cohousing in cui è possibile vivere con un low budget e condividere ampi spazi con oltre un centinaio di persone.
In copertina: Particolare della facciata del grattacielo Collective Stratford, PLP Architecture.
COHOUSING A LONDRA: IL PROGETTO RESIDENZIALE COPPER LANE
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Sfruttando la tipologia architettonica del grattacieloè possibile infatti ospitare un considerevole numero di persone all’interno di un singolo edificio, anche in modalità di cohousing, riorganizzare il caos di una città senza aumentarne la diffusione. Questa non è l’unica motivazione che induce Londra e le altre città a ricorrere alla progettazione di grattacieli, poiché un’altra esigenza è elevare riconoscibili landmark che arricchiscano il carattere e il potere visivo di una città. Prendiamo l’esempio del grattacielo di Torino firmato da Renzo Piano che si distingue per la sostenibilità e avanguardia tecnologica, oppure il Burj Khalifa a Dubai che per poco tempo ancora deterrà il primato di altezza mondiale.
I nuovi centri di potere e di aggregazione stanno diventando le “città verticali”, basta guardare Shangai che dalla fine degli anni ’80 ha trasformato il quartiere finanziario in una foresta di grattacieli, aumentando così ogni anno la popolazione per arrivare oggi ad avere 23 milioni di abitanti; trasformando l’area finanziaria da una città del passato ad una del futuro.
La vita nei grattacieli
Diventa tuttavia interessante chiedersi come questa tipologia architettonica influisca sullo stile e la qualità di vita delle persone che abitano in un grattacielo e anche come questo possa influenzare la cultura dei cittadini.
Alcuni studi hanno fatto un’indagine sociologica su campioni di persone appartenenti a due gruppi differenti. Un primo gruppo era costituito da persone che abitavano in grattacieli, mentre un secondo da persone che vivevano in abitazioni monofamiliari.
Nel primo gruppo a causa del frequente ricambio d’inquilini che abitavano lo stesso edificio, si manifestava nei residenti una marcata autosufficienza che comportava il disinteressamento e coinvolgimento nei confronti degli altri sia dal punto di vista pratico che emotivo.
Nel secondo gruppoè stato evidenziato che l’abitare in una casa monofamiliare facilitava l’interazione con famiglie vicine. Inoltre la presenza di uno spazio aperto intorno a queste abitazioni permetteva la condivisione di attività sociali, a differenza del primo dove nella maggior parte dei casi i luoghi di incontro si limitano all’atrio e all’ascensore.
È emerso per entrambi i gruppi che i luoghi di maggior interazione erano quelli in cui gli individui condividevano attività ed interessi comuni, ad esempio la scuola, il lavoro, fitness, ecc.
Sulla base di queste considerazione ci si può chiedere come sia possibile conciliare l’attuale sviluppo delle città verticali con le esigenze di interazione delle persone.
The Stratford collective: il cohousing in un grattacielo
La proposta di cohousing britannico chiamata “The Stratford collective” è innovativa non solo per il consistente numero di persone che potranno condividere spazi comuni, ma anche per aver proposto di applicare questa filosofia di vita all’interno di un grattacielo, a differenza delle tradizionali cohousing sviluppate abitualmente in orizzontale.
Il termine “cohousing” si utilizza per definire insediamenti abitativi composti da alloggi privati e spazi comuni condivisi con una comunità di persone. Solitamente questi spazi sono cucine, lavanderie, laboratori, ecc. Questa nuova filosofia di vita nasce nel 1964 grazie all’architetto danese Jan Gødmand Høyer che progetta la prima comunità di Skråplanet. Il cohousing si diffonde prima in Europa e successivamente negli altri paesi a partire dagli anni settanta. L’obiettivo è condividere spazi della vita quotidiana e ottenere benefici economici, ecologici e sociali. Il cohousing si sta affermando sempre di più come strategia di sostenibilità grazie alla formazione di gruppi di acquisto solidale, al car sharing e altre strategie che favoriscono il risparmio energetico e l’impatto ambientale della comunità.
Il progetto sarà terminato nel 2018 e diventerà una delle cohousing più grandi al mondo. L'edificio conterà 30 piani, 330 nuove abitazioni con camere e bagno privato e 223 spazi comuni da condividere. I residenti potranno fare uso di una cucina comune attrezzata, una biblioteca con aule studio, un teatro, un tetto giardino, un centro benessere,palestra, ecc. Ci sarà poi un ristorante pubblico in cima all’edificio con vista panoramica e a livello della strada saranno collocati spazi culturali e negozi. Il piano sopra sarà poi destinato agli spazi di co-working volti a fornire un ecosistema per i giovani imprenditori, oltre a spazi destinati ad eventi educativi e sociali.
Il progetto The Stratford collective è indirizzato maggiormente a giovani tra i venti e i trent’anni che amano condividere spazi, esperienze e conoscere nuove culture insieme a persone provenienti da tutto il mondo.