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Genesi di un'oasi protetta. Armonia tra economia e natura

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Le oasi sono aree naturalistiche salvate dalla cementificazione speculativa o dal destino di discariche abusive. Oggi sono l’esempio concreto di una possibile armonia tra umanità e natura, in linea con le politiche ambientali europee sullo sviluppo sostenibile. Di seguito, brevemente, segnaliamo alcuni esempi virtuosi di aree protette con l’auspicio possano essere replicati, quindi moltiplicati i loro effetti positivi e denunciamo alcune criticità ancora irrisolte dovute principalmente alla scarsa sensibilità ambientale e lungimiranza di alcuni enti.

OASI WWF E IL CENTRO COMMERCIALE GREEN

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Classificazione delle Aree Protette

In Italia, le aree naturali protette sono riconosciute ufficialmente dallo Stato se rispondono a determinati criteri stabiliti dalla Legge quadro 394/91. Innanzi tutto, la menzionata legge ha disposto un apposito Comitato per la loro tutela, costituito dai ministri (o da sottosegretari delegati) dei seguenti ministeri: MATTM, Politiche agricole, Beni culturali e paesaggistici, Infrastrutture e dell'Istruzione e, infine, da sei presidenti di regione (o di provincia autonoma, o di assessori delegati) designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, con il compito di approvare l'elenco ufficiale delle aree naturali protette. L'iscrizione nell'elencoè condizione necessaria per l'assegnazione di finanziamenti pubblici attraverso il Piano territoriale delle aree protette. La classificazione più recente delle aree protette è stata introdotta dall'IUCN(International Union for Conservation of Nature) e si basa su obiettivi di gestione ben definiti individuando le seguenti otto categorie:

  1. Riserve scientifiche e lande selvagge. Sono aree, adibite alla conservazione della biodiversità e agli studi scientifici, dove i processi naturali si possono svolgere senza l'aiuto dell'uomo.
  2. Riserve e Parchi nazionali. Sono aree istituite per proteggere e preservare l'integrità ecologica di uno o più sistemi.
  3. Monumenti naturali. Si tratta di aree caratterizzate da un elemento naturale, o culturale raro e perciò di notevole valore.
  4. Habitat e natura. Sono quelle aree dove viene garantita la sopravvivenza di specie considerate rare, a rischio di estinzione o minacciate e di comunità biotiche.
  5. Paesaggi protetti. Sono aree in cui la natura e la popolazione umana si devono integrare in maniera armonica.
  6. Siti mondiali della natura. Sono aree considerate patrimonio mondiale.
  7. Aree della Convenzione internazionale di Ramsar. Si tratta di zone umide adibite alla protezione della fauna acquatica.
  8. Riserve della biosfera. Si tratta di aree naturali da conservare per tramandarle alle generazioni future (fanno riferimento ad uno dei programmi dell'UNESCO) scelte dalla comunità mondiale e possono includere anche aree degradate dove si può sperimentare il recupero ambientale.

In ogni nostra regione geografica è possibile ammirare la magia delle oasi dove sono rappresentati quasi tutti gli ambienti naturali: si va dalle praterie alpine alle coste di gesso, dall'insieme di aree umide ai canyon (o gole selvagge), dalle cascate alle grotte, dai boschi planiziali alle foreste mediterranee. Oggi le oasi, se ben gestite, costituiscono la migliore soluzione per la protezione di aree naturali, per sperimentare modelli di sviluppo compatibile con la salvaguardia dell’ambiente, per la realizzazione di progetti di conservazione ad ampio respiro e di elevata efficacia, infine -ma non meno importante- esse rappresentano un habitat confortevole per la fauna alla scala territoriale.

I criteri per la definizione di un'oasi protetta

Quali sono i criteri per la definizione di un’oasi protetta? Affinché le aree naturali possano essere iscritte nell'apposito elenco ufficiale devono rispondere ad una serie di criteri come vedremo di seguito (Delibera del Comitato Nazionale per le Aree Naturali Protette del 1º dicembre 1993):

  • Esistenza di un provvedimento istitutivo formale pubblico o privato. Può trattarsi: di una legge o provvedimento equivalente statale o regionale; di un provvedimento emesso da altro ente pubblico; di un atto contrattuale tra il proprietario dell'area e l'ente che la gestisce nel quale siano specificate le finalità di salvaguardia dell'ambiente.
  • Esistenza di perimetrazione. Il perimetro dell’area protetta deve essere documentato da una cartografia.
  • Valori naturalistici. Presenza di formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche o gruppi di esse di rilevante valore naturalistico e ambientale (art. 1, comma 2 della Legge 394/91) e/o esistenza di valori naturalistici, così come previsto dall'art. 2 commi 2 e 3 della legge citata.
  • Coerenza con le norme di salvaguardia previste dalla Legge 394/91. Ciò riguarda, tra l'altro, l'esistenza del divieto di attività venatoria nell'area. Questo comporta che, nel caso di aree protette in parte delle quali viene esercitata l'attività venatoria, potrà essere iscritta nell'Elenco solamente la parte nella quale vige il divieto di caccia.
  • Gestione dell'area. Deve essere garantita una gestione da parte di Enti, Consorzi o altri soggetti giuridici; oppure la gestione può essere affidata con specifico atto a diverso soggetto pubblico o privato.
  • Esistenza di bilancio o provvedimento di finanziamento. Deve essere comprovata l'esistenza di una gestione finanziaria dell'area, anche se questa è solamente passiva.

Quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda d’iscrizione all’elenco delle aree protette?

Il soggetto titolato è quello che ha istituito l'oasi, oppure il gestore provvisto di apposita delega.

Qual è la procedura per rendere effettiva la domanda?

Il soggetto titolato invia la richiesta all’ente nazionale preposto, in Italia è il MATTM, il quale a sua volta invia la documentazione in appositi formulari alla Commissione Europea (CE) per l’inserimento nell’elenco dei Siti d’importanza comunitaria (SIC), parte della rete Natura 2000. Attualmente l’ultimo elenco nazionale ufficiale delle aree protette (EUAP) dei SIC approvato dalla CE (con le Decisioni 2015/71/UE, 2015/69/UE e 2015/74/UE) è il VIII e risale al 3 dicembre del 2014. Esso comprende tutte le regioni “biogeografiche” tipiche del nostro territorio nazionale: alpina, continentale e mediterranea ed è direttamente applicato nel nostro ordinamento. Sottolineiamo che i SIC, sin dal momento della trasmissione della domanda da parte del MATTM, sono sottoposti alle tutele della Direttiva Habitat.
L'EUAP periodicamente viene aggiornato dal MATTM e raccoglie tutte le aree naturali protette ufficialmente riconosciute. 

Chi è titolato a gestire un’area protetta?

Ai sensi dell'art. 2.37 della L. 426/1998 "Nuovi interventi in campo ambientale" la gestione delle aree protette è affidata ad enti pubblici, istituzioni scientifiche, o associazioni ambientaliste riconosciute (frequentemente sono il WWF e la Legambiente) ammettendo anche la gestione integrata tra pubblico e privato delle stesse.

Attività ammesse nelle Oasi

L’accesso e la gestione alle oasi protette sono regolamentati da un Comitato tecnico scientifico, il quale stabilisce anche le caratteristiche della recinzione dei confini territoriali in modo da consentire la libera fruizione degli animali e invece scoraggiare l’intrusione di gente non autorizzata onde evitare la perturbazione della quiete della fauna insediata. Pertanto, le visite devono essere concertate con il custode, o gestore, e generalmente non sono a titolo gratuito, salvo in particolari occasioni.

All’interno delle aree protette i visitatori possono esercitare solo attività regolamentate come ad esempio: l’osservazione degli uccelli e della flora per report scientifici, la visione della liberazione della fauna medicata e la messa a dimora di piante acquatiche. Recentemente sono state ammesse, in via sperimentale, anche la coltivazione in orti botanici e l’agricoltura biologica.

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L'inanellamento degli uccelli

Un’attività scientifica molto importante è l’inanellamento degli uccelli, regolamentata a livello europeo dall'EURING (European Union for Bird Ringing) e nazionale dall'INFS (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica), la quale può avvenire solo nelle oasi autorizzate e opportunamente segnalate. Lo scopo della marcatura (con un anellino di materiale durevole) di una zampa, o di un'ala, della specie di volatile minacciata d’estinzione è di tracciarne le rotte migratorie, e attraverso l’etologia determinarne anche lo stato di salute.

Questa attività, emozionante per chi la pratica e per chi la osserva, è fondamentale per la ricerca scientifica e quindi per la gestione sostenibile dell'ambiente (inclusa la regolamentazione dell’attività venatoria) ed è tanto efficace quanto più estesa è la rete delle oasi preposte all'inanellamento. Precisiamo che, all'oggi, la Direttiva Uccelli Selvatici non vieta l’attività venatoria, ma semplicemente la regola per renderla compatibile con le esigenze degli habitat.

Invitiamo a riflettere sui dati pubblicati recentemente dalla Bird Life nel rapporto “The Killing”: ogni anno, più di un milione di volatili sono ancora illegalmente uccisi da bracconieri e da cacciatori e risultano purtroppo a rischio circa 40 specie diverse di uccelli canori migratori. Pertanto ci chiediamo se oggi ha ancora senso attribuire alle attività di caccia e pesca la valenza sportiva e per quali ragioni.

La tutela ambientale tra virtuosismi e paradossi

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La prima oasi italiana è del WWF, si trova in Toscana ed è denominata Oasi del Lago di Burano.Fino al 1967 era una riserva di caccia, poi con l’acquisizione dei relativi diritti venatori (da parte del Consiglio del WWF) il suo destino cambia e diventa un'area di protezione degli uccelli.

È la prima delle oltre 100 oasi istituite dall'associazione ambientalista nell’arco di mezzo secolo in tutt’Italia. L'Oasi occupa una superficie di 410 ettari e si trova all'interno di un Sito d'Importanza Comunitaria (SIC IT51A0031) nel Comune di Capalbio. È anche una Zona di Protezione Speciale (ZPS IT51A0033) e della Convenzione RAMSAR per la tutela delle zone umide.

Il suo approfondimento è interessante dal punto di vista ambientale per l’implementazione di un progetto sperimentale su vasta scala definito “mineralizzazione forzata dei sedimenti” per la riduzione del carico organico e quindi dell’eutrofizzazione del lago retrodunale. Il progetto ha previsto la stipula di un Accordo di Programma -tra i vari enti pubblici coinvolti tra cui il MATTM, il Consorzio di Bonifica regionale e l’ARPAT- per il miglioramento dell’ecosistema.

Inoltre, l’Oasi è importante poiché ha inaugurato un magistrale modello di gestione delle aree protette nazionali, sancito nel 2007 con la creazione di un’entità giuridicamente autonoma denominata Società WWF Oasi. Il modello di gestione messo a punto - impiegando centinaia di persone- si prefigge di: conservare campioni rappresentativi di ecosistemi particolarmente rari, o minacciati d’estinzione, sensibilizzare ed educare in particolare le giovani generazioni alla salvaguardia ed al rispetto della natura, sviluppare adeguate ricerche scientifiche per la conservazione, sperimentare modelli di sviluppo compatibile con la salvaguardia dell’ambiente, creare un sistema territoriale di oasi confortevoli per la fauna e quindi rendere più attendibili i risultati dei ricercatori sullo stato di salute di tutti gli organismi viventi (sia selvatici che selezionati dall'umanità) in particolare di quelli in via d’estinzione che li si rifugiano dalla cementificazione insostenibile. 

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Un altro esempio virtuoso di gestione di aree protette che abbiamo il piacere di segnalarvi è quello messo a punto grazie ad un progetto europeo finanziato nel 2010 con un budget complessivo di 1,530,298.00 euro (il 50% dalla UE a fondo perduto). Il progetto denominato “LIFE Colli Berici Natura 2000” si è posto sin dal suo inizio l’obiettivo generale di sperimentare un modello di conservazione della biodiversità, attraverso un sistema di azioni mirate al ripristino e alla conservazione degli habitat naturali protetti nei Colli Berici (SIC IT3220037) e nella fattispecie delle praterie. Il consorzio è tutto veneto dal coordinatore -la Provincia di Vicenza- ai partner: Consorzio di Bonifica Riviera Berica, Servizio Forestale Regionale di Vicenza, Veneto Agricoltura. Oltre alle numerose pubblicazioni scientifiche su flora e fauna autoctone (scaricabili gratuitamente dal sito del progetto) il gruppo di ricerca ha raggiunto i seguenti importanti risultati:

  • sistemazione di 20 percorsi naturalistici (sentieri);
  • conservazione di prati aridi e tutela di aree di pregio floristico (microriserve botaniche);
  • protezione e conservazione delle cavità per favorire la presenza di chirotteri;
  • interventi selvicolturali di tutela degli habitat forestali (acero-tiglieti);
  • ripristino e conservazione di pozze d'acqua;
  • rinaturalizzazione di alcuni corpi idrici superficiali;
  • intervento pilota per il recupero di ex cave (Cava del Volto a Longare);
  • produzione vivaistica di specie vegetali minacciate per la conservazione ex situ e riqualificazione dell’habitat;
  • aggiornamento del formulario “Rete Natura 2000”.

Sempre in Veneto, merita di essere menzionata anche l'Oasi WWF Stagni di Casale “Alberto Carta” la quale gestisce ben tre aree protette tutte situate nella parte meridionale della città, in un raggio di pochi chilometri. 

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Istituita nel 1998, nell’omonima frazione di Casale, l’Oasi degli stagni “Alberto Carta”, è una delle ultime zone umide salvate dalla cementificazione nella provincia vicentina. Tra i principali fautori della sua nascita e crescita menzioniamo, oltre il Comune di Vicenza che ha acquisito i terreni ed attuato i lavori di riqualificazione ambientale, i volontari del WWF che da lustri dedicano anima e corpo alla sua conservazione, primo fra tutti il compianto Alberto Carta (1962-1992), colui che pose le basi per salvare l’area dall’impietoso destino di discarica abusiva e alla memoria del quale è dedicata. 

Oggi l'Oasi occupa una superficie di 24 ettari ed è tutelata in quanto è stata riconosciuta sia area SIC (IT3220005) che ZPS (IT3220005). Al suo interno  si trovano: un centro visite (dotato di un’aula attrezzata per attività culturali) e una torretta di avvistamento per ricercatori e fotografi. All’interno del fitto canneto, un articolato percorso in legno (di oltre cento metri adatto a disabili) e i capanni dislocati lungo esso offrono interessanti punti per l’osservazione delle specie protette. La peculiarità dell'Oasi sono gli stagni didattici, di formazione artificiale poiché l’area -fino agli anni 80- era sfruttata come cava dell'argilla. L’intera Oasi è dotata di segnaletica (foto successiva) per l’identificazione delle specie ed è una stazione autorizzata per l’inanellamento dell’avifauna. 

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L'Oasi della Valletta del Silenzio è situata nella Stradella della Rotonda, a pochi chilometri da rinomate mete turistiche come le ville La Rotonda del Palladio e Valmarana ai Nani. Creata nel 1994, su iniziativa del Comunale di Vicenza, all’interno di una vallata pianeggiante cinta dalle ultime propaggini settentrionali dei Colli Berici, occupa una superficie di 4.200 metri quadrati. Nel 2014 è stata oggetto di un importante intervento di valorizzazione e di ripristino paesaggistico-ambientale sovvenzionato grazie a finanziamenti pubblici per un totale di 115.000 euro, di cui il 63,5% a carico della Regione Veneto (fondo UE strutturale erogato mediante il PSR). La sua peculiarità sono gli orti didattici progettati dal dottore forestale M. Vivona e dall’architetto paesaggista L. Dal Brun. L’Oasi è attrezzata con aree di sosta per pic-nic e segnaletica didattica che include anche la visita al laghetto. (Nella foto successiva, da sinistra a destra: l’assessore comunale all’ambiente e il custode dell’Oasi degli stagni di Casale, il biologo Lorenzo Stefani).

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Il Bosco del Quarelo raggiungibile da viale Sant’Agostino lungo via Ponte del Quarelo.  La sua area si estende per 9 ettari verso l’autostrada A4, tra i corsi d’acqua Cordano e Selmo. Nel 2007 è stata riqualificata paesaggisticamente grazie a circa 40.000 euro provenienti dal tesoretto autostradale e dai fondi regionali. Da questa suggestiva area verde origina un ampio percorso che, sviluppandosi verso Gogna, consente di raggiunge la passerella e il parco del Retrone, un tragitto di quasi 7 chilometri. Quest’ultimo rappresenta un’amena alternativa naturalistica collinare destinata in futuro ad essere collegata con la menzionata Oasi della Valletta del Silenzio.

Il parco di Boldara è l’esempio di come, all’interno della stessa regione Veneto, la differenza tra una buona e una cattiva gestione della cosa pubblica dipenda in larga misura dal differente grado di  sensibilità e di etica degli amministratori delle pubbliche amministrazioni. La genesi del parco merita di essere raccontata con le parole del suo fondatore Claude Andreini (nella foto successiva) e attuale presidente dell’omonima associazione Un Parco Per Boldara (UPPB) con la speranza di contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica verso l’importanza di ridurre al minimo la frammentazione delle aree naturalistiche ai fini della proliferazione delle specie autoctone e ad incoraggiare la denuncia di qualsiasi pratica contraria alla salvaguardia dell’ambiente naturale. 

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La storia comincia nell’autunno del 1989, quando il fotografo italo belga, Andreini, inizia il faticoso lavoro di recupero paesaggistico-ambientale di una zona abbandonata a se stessa e da anni destinata a discarica abusiva, supportato dalla sua famiglia e dall’architetto Paolo De Rocco (1950 -2012). Nel 1995 il nostro fonda a Gruaro l’Associazione UPPB, installa le prime schede botaniche didattiche e inaugura le passerelle sopra la roggia Battiferro.

L’area è fruita anche dalle associazioni locali di pesca sportiva che vi organizzano gare con effetti devastanti sull’ecosistema di fronte ad un silenzio assordante da parte della pubblica amministrazione locale (presieduta paradossalmente da un sindaco architetto), la quale si dimostra insofferente verso le opere di volontariato per la tutela dell’area piuttosto che le attività di pesca sportiva e caccia. Andreini, in qualità di presidente dell’associazione UPPB, per contrastare il perpetrare dello scempio, ante e post, le gare indette dalle associazioni sportive -dopo invani tentativi di richiesta di tutela- si vede costretto ad azioni eclatanti di disturbo durante ogni gara sportiva.

Tali azioni, purtroppo gli costeranno una denuncia sui giornali per disturbo delle competizioni sportive e un serio attentato vendicativo, fortunatamente senza gravi danni alla sua persona, ma distruttivo nei confronti delle sue opere (le passerelle di collegamento con Portovecchio sul fiume Lemene, la rotta dei mulini del grano) e così viene dimezzata la passeggiata naturalistica. Dopo ben 30 anni d’incessanti e vandaliche competizioni sportive, nel fiume rimangono solo le trote da gara (seminate appositamente) e la situazione ambientale è anche compromessa dal malfunzionamento del depuratore di Gruaro. Inoltre, per palesi interessi elettorali, la Provincia di Venezia regala la gestione delle rive restaurate (a spese dell’UPPB) alle associazioni di pesca sportiva.  

Nel 2002, sotto la dicitura di “percorso ciclo pedonale”, l’amministrazione comunale di Gruaro (diretta dal sindaco Gasparotto) autorizza l’apertura di un cantiere lungo la riva destra del Lemene a Boldara. In mezza giornata, in un assordante silenzio delle istituzioni e delle associazioni ambientaliste locali, il magnifico bosco naturale -costeggiante per circa 400 metri il fiume Limene- scompare inesorabilmente sotto i dirompenti cingolati delle ruspe. Sia i cantieri che le gare di pesca vengono autorizzate anche durante il periodo di nidificazione degli uccelli acquatici.

Per tali ragioni, la UPPB denuncia le autorità responsabili per una gestione inappropriata del territorio pubblico (ormai riconosciuto di grande valore botanico e faunistico) e quindi per favorire pratiche sportive deleterie per l’habitat naturale. Inoltre, per non perdere un importante bacino elettorale, il Comune di Gruaro evita di multare i gruppi di pescatori sportivi nonostante sia ormai pubblicamente noto il loro nefasto modus operandi: abbattimento e avvelenamento abituale della vegetazione per agevolare i percorsi dei pescatori durante le gare abusive lungo le rive del fiume compromettendo la nidificazione (vedasi foto sottostanti).

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Gli atti di vandalismo nei confronti dell’UPPB s’intensificano: 100 schede botaniche didattiche vengono irrimediabilmente distrutte, abbandonate importanti quantità d’immondizia all’interno del parco di Boldara, il quale viene anche usato come vespasiano pubblico. Nell’arco di 30 anni la famiglia Andreini ha speso l’equivalente di 25.000 euro a cui vanno sommati tempo e salute sacrificati. Tuttavia, Andreini è felice per gli importanti risultati gratificanti anche se molti lavori realizzati hanno durata limitata perché la natura è viva! 

Con l’aiuto di un gruppo di giovani volontari di Cordovado sono state eliminate le specie infestanti e quelle alloctone (rovi, acacie), reintrodotta la vegetazione localmente molto rara (pado, carici, querce, frassini ossifilli, spino nero, tiglio selvatico, carpino, corniolo, ciavardello, pero e melo selvatico, nespolo, sorbo degli uccellatori, lantana, aglio orsino, carici vari,) recuperate preziose zone umide -sottraendole all’agricoltura intensiva o alle speculazioni urbanistiche- attirato il ritorno della fauna caratteristica (martin pescatore, poiana e scoiattoli) e la stabilizzazione di altre specie più diffuse localmente (germano, tuffetto e folaga).  

Il risultato più incoraggiante arriva però nel 1996: la zona diventa un’Oasi di Protezione della Fauna (n. 2 “Boldara di Portovecchio”) con un’estensione di 136 ha ai sensi della L.R. 1/2007, Piano Faunistico e Venatorio. Inoltre, nel 2003 parte dell’area del parco di Boldara viene inserita nell’elenco delle Zone di Protezione Speciale (IT3250012 - “Ambiti fluviali del Reghena e del Lemene – Cave di Cinto Caomaggiore”) ai sensi della Direttiva “Uccelli” (2009/147/CE) ed entra a far parte della Rete Natura 2000 della UE. Successivamente, nel 2004 l’intera Oasi del Parco di Boldara viene considerata un Sito d’Importanza Comunitaria (IT3250044 “Fiumi Reghena e Lemene - Canale Taglio e rogge limitrofe - Cave di Cinto Caomaggiore”), ai sensi della Direttiva “Habitat” (92/43/CE). 

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Concludendo, riconosciamo al presidente Andreini, oltre all’altruistica iniziativa di promozione del parco di Boldara come meta turistica (ormai riconosciuta da migliaia di visitatori, tra cui numerose scolaresche) anche i seguenti encomiabili meriti: coinvolgimento dell’associazione locale dei cacciatori nella trasformazione del territorio in oasi protetta, eliminazione dalla cartografia delle gare di pesca sportiva della riva sinistra del Lemene, creato le premesse per la nascita, nelle vicinanze, di un agriturismo e valorizzazione del tracciato di Giralemene. Infine, è sua anche l’idea di usare il parco come amena cornice per eventi artistici (mostra fotografica Artinbosco) per avvicinare la gente alla natura.

Nonostante le continue pressioni da parte dell’UPPB, con l’appoggio del WWF, e gli elencati riconoscimenti conseguiti a livello ambientale, all'oggi rimangono ancora irrisolte due importanti minacce per la salvaguardia del prezioso habitat: la Provincia di Venezia persiste ad autorizzare gare sportive senza richiedere una previa Valutazione d’Incidenza Ambientale (obbligatoria per qualsiasi intervento perturbante le aree SIC e ZPS) e, infine, il nuovo proprietario di un fondo -costeggiante il fiume Lemene a monte del vecchio mulino- avendo unidirezionalmente proibito la manutenzione del percorso naturalistico ne ha, di fatto, compromesso l'agibilità. Purtroppo i rovi hanno ripreso il possesso di parte di esso creando un’impenetrabile maglia intrecciata ai rami e agli alberi caduti. 

In ultima istanza, facciamo da eco dunque al messaggio di preoccupazione del presidente Andreini per le sorti di quasi un chilometro di percorso paesaggisticamente restaurato -con molta dovizia e fatica- affinché l'ente pubblico possa interessarsi alla vicenda e manifestare la concreta volontà di giungere ad un accordo sostenibile di gestione ambientale.


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