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Paesi abbandonati in Italia: dove la natura riprende i suoi spazi

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Paesaggi fantasma, paesi abbandonati, ruderi di una quotidianità interrotta. L’uomo con le sue città e le sue attività tende ad invadere sempre più il terreno naturale, occupando talvolta spazi che da sempre sono stati destinati a boschi e campagne. Stiamo parlando di confini urbani sempre più al limite delle campagne, di strade montane o costiere, di residenze e strutture ricettive in paesaggi poco urbanizzati e di interi centri abitati che si spingono vicino al mare o alle pendici dei monti, forse un po’ troppo vicino. 

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Tale modalità costruttiva e di occupazione del suolo ha talvolta portato a distruzioni di interi paesi e tragedie anche di grandi proporzioni, dovute a frane, allagamenti o altri eventi naturali incontrollabili.

È la natura che riprende i suoi spazi. I movimenti della natura, il suo impadronirsi di spazi prima urbanizzati non è sempre sinonimo di disastro: talvolta è un processo molto utile alla rigenerazione del paesaggio.

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Dopo un grave incendio boschivo ad esempio, di cui il nostro territorio soffre specialmente nelle regioni meridionali, la foresta viene profondamente danneggiata e con essa tutto l’ecosistema di fauna e flora. La natura non si ferma e fa ricrescere i primi alberi dopo una decina di anni. Un ritorno alla situazione di partenza invece è più lento e può richiedere anche periodi di tempo che si aggirano intorno al secolo. Se invece consideriamo il ritorno del bosco in zone prima rese pastorali o agricole i tempi si accorciano di molto.

Dopo 5-10 anni i campi e i sentieri nelle aree aperte vengono invasi dalle erbacce e parzialmente nascosti. Nei successivi 10 anni le strade sterrate diventano inutilizzabili, le radure e le aree aperte si riempiono di arbusti che rendono irriconoscibili i campi una volta coltivati. Trascorsi circa 50 anni dall’abbandono del territorio da parte dell’uomo il bosco è cresciuto e non restano che poche tracce del passaggio umano.

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I PAESI ABBANDONATI IN ITALIA

Nel corso della storia sono numerosi i casi di villaggi o intere città abbandonate dall’uomo che per le ragioni più varie si è spostato in altri luoghi a lui più congeniali. Storicamente noto è il caso di Pompei, abbandonata definitivamente dopo l’eruzione disastrosa che ha subito in epoca antica.

Molti però sono anche i casi di paesi abbandonati recentemente.

È il caso per esempio di Roscigno Vecchia, nel Cilento, fatta sgomberare agli inizi del novecento per la minaccia di una frana, oppure Pentedattilo in Aspromonte che ha visto iniziare l’abbandono alla fine del Settecento dopo un terremoto e che ora è un paese fantasma. Consideriamo ancora l’esempio di Resia, in Val Venosta, che ancora oggi vede riaffiorare, dalle acque dell’omonimo lago artificiale, il campanile del vecchio borgo.

In tutti questi luoghi un tempo abitati, la natura lentamente riprende possesso del territorio.

Dopo l’abbandono, il deperimento delle abitazioni è evidente: in qualche decina di anni cominciano a cedere, a partire dai tetti. Dopo un secolo le costruzioni umane, anche se un tempo solide e robuste, spesso rovinano al suolo e negli anni seguenti restano solamente i muri più imponenti o le costruzioni più resistenti come le opere di sostegno o i terrazzamenti, che hanno inciso in maggior modo sul territorio.

La natura quindi, prima o poi, riprende possesso dei propri luoghi, cancellando il passaggio umano.

Questo non deve essere una buona scusa per costruire ovunque e senza pensare alle conseguenze delle proprie opere che talvolta, come visto, possono portare a disastri naturali.

Anche la normativa italiana tenta di arginare i fenomeni di abusi edilizi in zone marine o montane ma anche di frenare pratiche come l’incendio doloso per speculazioni edilizie. Si cita a questo proposito la legge 428/1993 che vieta qualsiasi costruzione in zone boschive danneggiate da incendio e la loro conversione in aree a destinazione diversa da quella precedente l’evento.


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