"Cosa c’entra vivere in maniera sostenibile con la dieta vegan?" si domanderanno in tanti leggendo il titolo di questo articolo. In realtà c’entra, infatti le nostre scelte alimentari sono connesse all’immissione di gas serra, alla devastazione di aree forestali, all’inaridimento dei suoli e desertificazione e al consumo eccessivo di acqua molto più di quello che normalmente siamo abituati a pensare.
Ma cos’è la dieta vegana e perché è sostenibile dal punto di vista ambientale.
Che cos’è la dieta vegana?
La dieta vegana (o vegan) più che una dieta rappresenta uno stile di vita che si intraprende per diverse ragioni, ed è considerata da molti una scelta etica, ecologica e salutista.
Perché la dieta vegana è una scelta etica
Per quanto riguarda la prima ragione, quella etica - ovvero il rispetto di tutti gli animali e di tutti gli esseri viventi del pianeta - chi sceglie di divenire vegan percepisce tutti gli esseri viventi come pari, ognuno dei quali ha il diritto di vivere la propria vita, diritto che può essere rispettato da parte degli esseri umani evitando non solo il consumo di carne, ma anche di tutti i prodotti di origine animale (come latte, formaggio e uova) che impongono a certi animali di vivere solo ed esclusivamente in funzione di generare prodotti ad uso di terzi, a discapito della propria libertà e qualità della vita.
Perché la dieta vegana è una scelta giusta per l'ambiente
Dal punto di vista ambientale, invece, è scientificamente provato che la zootecnica (ovvero l’allevamento di animali) sia causa di una grave devastazione ambientale, per via dall’enorme necessità di acqua, di suolo, e di risorse alimentari indispensabili per supportare questa pratica, a cui si aggiungono l’inquinamento delle risorse idriche, l’immissione di gas serra e la perdita delle biodiversità animali e vegetali che il business degli allevamenti comporta. Per questo motivo ridurre il consumo di prodotti di origine animale è considerata una priorità assoluta per contrastare i gravi effetti negativi causati dalla produzione zootecnica.
Perché la dieta vegana è una scelta salutare
Per quanto infine riguarda la salute, secondo diversi studi scientifici mangiare prodotti animali non sarebbe adatto agli esseri umani, in quanto alcuni ritengono che non saremmo una specie di natura onnivora, ma di natura fruttariana, e il nostro intestino sarebbe, per esempio, troppo lungo per digerire la carne in maniera idonea; inoltre nutrirci di latte proveniente da altre specie animali alla lunga potrebbe essere la causa di alcune malattie anche gravi, ma pure di allergie e intolleranze. Io però non sono qui per parlarvi degli effetti negativi della carne sull’uomo, ma piuttosto del perché la scelta vegana sia sostenibile dal punto di vista ambientale.
La scelta vegana in Italia e nel mondo
Per via della sempre maggiore informazione anche grazie a internet, a nuovi libri sul tema, e a siti specializzati, oggi i vegetariani e i vegani nel mondo stanno aumentando rapidamente rispetto al passato, quando a malapena la maggior parte delle persone sapeva che cosa significasse essere vegetariano o vegano. Solo nel 2013 i vegani e vegetariani in Italia sono aumentati del 6% (6,5% sono persone diventante vegetariane, 0,6% quelle divenute vegane) la maggior parte dei quali ha optato per questa scelta alimentare per motivi etici, il 24% per ragioni di salute, e il 9% per questioni principalmente ambientali. Nel mondo i vegetariani e vegani, sono però 1 miliardo di persone, ovvero 1 persona su 7 appartiene a una di queste due categorie; l’India per esempio è il paese con il più alto numero di vegetariani, mentre in Europa questo primato spetta alla Germania, con 8,6% di abitanti vegetariani o vegani.
Perché consumare prodotti di origine animale non è ecologicamente sostenibile
A partire dalla seconda metà del Novecento, per ragioni economiche il consumo pro capite di carne è più che raddoppiato, anche a causa della crescita demografica che ha visto la popolazione mondiale passare da 2,7 miliardi di persone agli attuali circa 7 miliardi; nel frattempo il consumo di carne è aumentato di cinque volte, passando da 45 milioni di tonnellate consumate all’anno (nel 1950) a 233 milioni di tonnellate (nel 2000). Inoltre il consumo di proteine animali è spesso interpretato come un marcatore di status, infatti in molti paesi in via di sviluppo, che tradizionalmente ne facevano un consumo ridotto, l’utilizzo della carne come alimento è cresciuto assieme allo sviluppo economico. Per esempio in Cina il consumo annuo pro capite di carne si è dilatato del 300 per cento in vent’anni, passando da 13 kg a 53 kg di carne a testa consumata l’anno. Seguendo questa tendenza è stato calcolato che nel 2031 si potrebbe raggiungere un consumo di 180 milioni di carne annui, il che equivarrebbe ai quattro quinti dell’attuale produzione mondiale.
Consumo delle risorse alimentari
La produzione di carne, latte latticini e altri prodotti di origine animale ha un grosso impatto sulle risorse alimentari disponibili, infatti per sfamare le bestie allevate vengono utilizzate risorse maggiori rispetto al cibo che si può ottenere dagli gli animali stessi. Inoltre è stato calcolato che 1/3 della produzione mondiale di cereali – che nel 2007 è stata calcolata essere 745 milioni di tonnellate –, il 60% della produzione di mais, e il 70% della soia prodotti globalmente, sono alimenti che vengono utilizzati come mangime per gli allevamenti di bestiame. L’Europa, per esempio, utilizza il 56% delle sue risorse alimentari come mangime adibito alla zootecnica, mentre negli Stati Uniti si arriva quasi al 60% delle risorse annue disponibili.
Un altro fattore che ha un impatto importante sulle risorse alimentari è rappresentato dal miglior utilizzo del terreno; piantare vegetali ha la meglio rispetto all’allevamento di animali: ad esempio, un ettaro coltivato a patate o a riso potrebbe provvedere a nutrire rispettivamente ventidue o diciannove persone, mentre lo stesso ettaro utilizzato per la produzione di manzo può sfamare solo una sola persona.
Consumo delle risorse idriche
L’allevamento di animali a scopo alimentare ha anche un grave impatto sull’utilizzo di risorse idriche, tanto è vero che non solo è necessario un alto quantitativo di acqua per il sostentamento del bestiame, per la pulizia e il raffrescamento degli ambienti adibiti agli animali, per lo smaltimento dei rifiuti, ma si deve tenere anche in considerazione l’acqua utilizzata per la crescita del foraggio destinato a diventare mangime. Ipotizzando il solo consumo di acqua per animale occorre considerare che un manzo può avere bisogno per il suo sostentamento di ottanta litri d’acqua al giorno, un maiale di venti litri e una pecora dieci litri, mentre una mucca da latte può arrivare a consumare in estate duecento litri di acqua al giorno. Ma la gran parte dell’acqua necessaria alla zootecnica è appunto quella utilizzata per la crescita delle piante da impiegare come mangime e che rappresenta il 98% dell’acqua destinata alla produzione animale, ed equivale a 2300 miliardi di metri cubi di acqua.
Per avere un’idea concreta dell’impatto sulle risorse idriche rispetto a quello che mangiamo riporto di seguito alcuni dati che potrebbero farci riflettere: per un kg di carne di pollo sono necessari 4330 litri di acqua, 5990 litri sono usati per 1 chilo di carne di maiale, 200 litri per un uovo, 1020 litri per un litro di latte, 5060 litri per un kg di formaggio, e cosi via. A confronto i cibi vegetali richiedono una quantità di acqua nettamente inferire, infatti, 1 kg di riso (la coltura a più alto consumo di acqua) richiede 2500 litri di acqua, 1 kg di soia 2145 litri, 1 kg di grano 1827 litri, 1 kg di mais 1220 litri, 1 kg di patate 290 litri…
In aggiunta gli allevamenti intensivi sono responsabili di una sovrabbondante produzione di deiezioni animali, che non riescono ad essere assorbite dal terreno a causa dell’elevato numero di capi in uno spazio ridotto. Per questo motivo i residui organici animali, non essendo assorbiti dal terreno, finiscono con il depositarsi nelle acque di superficie e nelle falde acquifere, con gravi effetti sull’ecosistema animale e vegetale indigeno. Da non sottovalutare sono i mangimi ricchi di azoto e fosforo, che sono somministrati agli animali per favorirne una crescita rapida, e vengono poi depositati nell’ambiente. Alla luce di tutto questo anche la FAO ha affermato che "[…] il settore dell’allevamento è la più importante fonte di inquinamento delle acque, principalmente per via di deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dei pascoli".
Emissione di gas serra
Gli allevamenti di animali sono responsabili dell’aumento della temperatura terrestre poiché sono causa del 51% delle emissioni totali, inoltre producono il 35-40% di emissione di metano -che ha un effetto ventitré volte superiore a quello dell’anidride carbonica sul riscaldamento globale-, il 65% di biossido di azoto, anch’esso più dannoso dell’anidride carbonica, il 64% di ammoniaca, che contribuisce alla caduta di piogge acide e all’acidificazione degli ecosistemi. Un altro fattore incidente sul totale delle emissioni globali è la deforestazione, che viene effettuata soprattutto per creare nuovi spazi da adibire all’allevamento, soprattutto in Brasile e America Latina, e che da sola provoca il 35% delle emissioni totali.
Altri problemi causati derivati dalla zootecnica
Anche gli ecosistemi marini stanno subendo grevissime perdite a causa della pesca industriale, infatti, è stato calcolato che dal 1950 al 2006 il 29% delle specie marine (ovvero le specie più commercializzate) abbiano avuto una riduzione del 90%, e nemmeno l’acquacultura, risorsa alla quale si è ricorso negli ultimi anni, può considerarsi sostenibile dal punto di vista ambientale.
Come se non bastasse, la zootecnica è anche una delle cause della perdita di biodiversità perchè le specie indigene (animali e vegetali) vengono più spesso soverchiate dall’arrivo di specie aliene, immesse nel territorio dall’uomo, e che finiscono per sostituirle.
Come migliorare l’impronta individuale e diminuire il nostro impatto ambientale
È stato calcolato da diversi studi che l’impatto ambientale di ogni singolo cittadino sia dovuto principalmente a tre fattori, ovvero il cibo consumato, i trasporti utilizzati, e l’energia utilizzata in e per la casa. Tra questi tre fattori il cibo è da considerarsi l’elemento principale poiché è quello che ha il maggior peso sul territorio, è da adibire a una scelta personale, e può essere cambiato nell’immediato.
Per l’insieme di questi motivi, negli ultimi anni è cresciuto l’ınteresse anche da parte della comunità scientifica su diete in grado di ridurre o eliminare l’uso di prodotti animali nell’alimentazione, evidenziando i vantaggi che è possibile ottenere sull’ecosistema con l’adozione di una dieta vegetariana, evidenziando che la scelta vegana è sicuramente la più proficua per l’ambiente.
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